Il nuovo Museo della Forma Urbis al Celio. Prime impressioni.

Il Museo che non c’era#

Scene da (bel) museo. Signore intente a leggere la simbologia della Forma Urbis.

F I N A L M E N T E U N B E L M U S E O ! Lo dico senza remore e senza pormi troppi dubbi. Quello che ho visto qualche giorno fa al Celio è un piccolo miracolo in una città che non fa altro che sfornare discutibili (quando non allucinanti) mostre di Archeologia. Nel silenzio dei media e, al tempo stesso, nella attonita reazione di professionisti e pubblico.

Mi ha sorpreso il silenzio che ha accompagnato questa apertura. Un silenzio, forse intenzionale, o forse dettato dal “non ce la faremo mai” che invece poi ha avuto buon esito. Sta di fatto che il silenzio, questa volta, ne ha amplificato il successo (da quel che vedo), se non altro quello sui social, dove è stato oggetto di tante e diverse curiosità.

Noi di #murpertutti non siamo stati da meno! Avrei voluto mostrarvelo in diretta ma sul Celio non c’è buona connessione, per cui ve l’ho raccontato a posteriori nelle storie e ora ve ne parlo qui.

Sempre con l’invito (questa volta senza alcuna possibilità di frustrazione) ad andare a godervelo di persona!

Non vi deluderà.

Perché è una cosa nuova.

Un allestimento coinvolgente che vi farà chinare a terra, vi farà passeggiare per ore in una Roma di carta, e vi porterà a contatto con un frammento di una frammentaria pianta marmorea, che però porta con sé tutta la sua specialità.

Anche questa volta, purtroppo, ci sono alcune lacune anche serie, ma, credetemi, non inficiano la potenza che l’allestimento della pianta marmorea vi trasmetterà. E mi auguro che di quel che manca ci sarà modo, prima o poi, di compensare l’assenza. Di fatto, è un allestimento aperto e credo possa ben prevedere miglioramenti in corso d’opera.

D’altronde, siamo romani e i romani di oggi tendono a ragionare per piccoli obiettivi alla “meglio di niente”. Giusto o sbagliato che sia, questo passa l’amministrazione e su questo dobbiamo ragionare. E, perché no, sognare. E a dirla tutta, su questo dobbiamo imparare a leggere gli allestimenti per imparare, di nuovo, a chiedere e a desiderare che siano migliori domani.

E in questo processo spero di potervi essere di aiuto.

Vediamo cosa ho amato di più e cosa meno di questo allestimento.

ACCESSIBILITÀ: TOTALE

La sala della Forma Urbis, dove viene naturale chinarsi per indicare e capire meglio.

Come sempre scrivo e dico, le accessibilità sono due: fisica e cognitiva. In questo caso, tutti, in modo diverso, possono vivere comunque un’esperienza interessante.

Il motivo è lo spazio allestito. Una stanza grande, luminosa, con il tetto alto e quindi ariosa, nella quale la pianta marmorea è stata collocata sotto a un pavimento trasparente. Nei pochi punti in cui i frammenti marmorei si conservano, e sono collocabili con certezza, si aprono dei “buchi” nella base cartografica che è la pianta di Giovan Battista Nolli edita nel 1748.

Perché proprio lei? Perché è la prima pianta misurata mai realizzata, tipico prodotto della cultura illuminista. Ed è essendo un prodotto ancora Settecentesco, racconta una Roma non ancora sventrata dal piccone umbertino, né dal successivo piccone fascista. Sì, lo chiamo fascista perché tale era, senza sfumature e senza neologismi di sorta. Una Roma che ha ancora ben evidenti i caratteri delle precedenti epoche, dalla tarda antichità al medioevo, dal Rinascimento all’alba della modernità.

Vi verrà voglia di inginocchiarvi, di camminare veloce, piano, di ballare un waltzer, di roteare su voi stessi, di sedervi per terra (fin quando il custode non vi ammonisce). Per questo la immagino perfetta per i bambini (se gli concediamo di sentirsi liberi), per chi è diversamente abile, sulla sedia a rotelle penso sia agevole e divertente roteare sul Nolli!

Sulla accessibilità dei contenuti, l’esposizione è quasi intuitiva. Se penso alla striscia con la simbologia dei segni tracciati dai lapicidi (altezza giusta per bambini e chi è in sedia a rotelle), ringrazio mille volte chi l’ha pensata così. I pannelli no, quelli sono un pò antipatici, anche se ben scritti (li vediamo dopo).

In ogni caso, tutto considerato, mi sembra l’esperienza archeologica più accessibile che abbia visto negli ultimi tempi in città.

IL TEMA: SUPER INTERESSANTE

Il settore del Ludus Magnus e del Colosseo, sopra e sotto la pianta di GB. Nolli (1748).

Della Forma Urbis se ne parla, in realtà, da sempre, per lo meno nell’area dei Fori Imperiali. Nelle aule universitarie, non c’è corso di Archeologia che non contempli questo argomento. Chi non è del settore, forse, non la conoscerà così, anzi, forse per niente, o forse a sprazzi. L’avrà vista, ad esempio, al compianto Museo della Crypta Balbi, dove campeggiava una copia del frammento raffigurante il teatro di Balbo e la scritta MINI (per Minucia) relativo alla porticus Minucia Frumentaria Nova.

Quindi sì, è un tema interessantissimo, sempre attuale e molto archeologico. Penso, quindi, sia un gran bene che sia stato portato all’attenzione di tutti. Ma siamo qui per domandarci COME sia stato portato all’attenzione di tutti. E se devo trovare una pecca (no, in verità non devo, ma forse una pecca c’è), temo sia proprio relativa alla storia archeologica e interpretativa della pianta marmorea.

Il tema topografico è stato sì trattato, attenendosi strettamente alla topografia antica in un’ottica antica. Tuttavia, se oggi sappiamo come e dove collocare i pochissimi frammenti superstiti, lo dobbiamo ad una lunghissima tradizione di studi, una tradizione a cavallo tra Ottocento e Novecento, nella quale dobbiamo includere Rodolfo Lanciani, poi Gianfilippo Carettoni, Antonio Colini, Guglielmo Gatti e Lucos Cozza (autori di uno studio fondamentale nel 1960) e poi Emilio Rodriguez Almeida, Filippo Coarelli, solo per citare i più famosi.

Cosa c’è da sapere su questo tema? Ad esempio, siamo al cospetto della più antica forma di rappresentazione catastale della città di Roma attualmente conservata. Tale versione risale all’età severiana, primi anni del III secolo, e dunque all’ultimo momento di grande prestigio vissuto da Roma, prima dell’inevitabile e improcrastinabile declino, già cominciato, sottotono, al tempo di Adriano.

Una pianta per usi catastali, quindi, realizzata su un enorme lastra di marmo bianco, prima affissa alla parete dell’aula del Foro della Pace (oggi a sinistra dell’ingresso alla chiesa dei Santi Cosma e Damiano) e poi inesorabilmente crollata, fatta a pezzi e dispersa.

IL RACCONTO: MOLTO (FORSE TROPPO) SEMPLICE

Un esempio della “traduzione” del linguaggio simbolico usato dai lapicidi antichi.

Della pianta marmorea di Roma si raccontano poche e semplici cose: cosa è, perché la abbiamo, come e quanto si conserva, dove stava. Se ne traduce il linguaggio grafico in un modo efficace e coinvolgente, usando (lo abbiamo capito dopo un pò) i pezzi verosimilmente impossibili da collocare.

I segni del lapicida sono stati riprodotti su una lunga striscia alla base della parete e, con l’aiuto dei molti frammenti non collocabili (mancano i nomi degli edifici e non sappiamo come localizzarli), il visitatore può imparare a leggerli direttamente sul marmo. Molto bello.

Una cosa che ho apprezzato molto è stato il modo in cui i curatori hanno “messo le mani avanti” rispetto alla fruizione della pianta marmorea. Già, perché la pianta marmorea era stata pensata per essere affissa (dicevo prima, nell’aula sud-ovest del Foro della Pace), mentre oggi la “calpestiamo”.

E così, il primo pannello dice subito perché è diventata, di fatto, una parete a terra. A Roma siamo particolari, i musei sono pieni di mosaici – di fatto dei pavimenti – appesi al muro, e ora l’unico caso di una pianta che era appesa la mettiamo per terra. A esser sincera, questo era uno degli aspetti che mi “stressava” di più prima di visitare il museo, ma devo ammettere che è stato divertente realizzare che il pensiero assillava, evidentemente, anche i curatori.

In ogni caso a mio avviso la cosa funziona.

Ora provo a sintetizzare l’allestimento usando delle sezioni tematiche mie personali (non sono chiamate così in Museo, non vi confondete) per aiutarvi a inquadrare il tutto.

IL MANUFATTO ANTICO. Rispetto alla completezza del racconto, ho trovato che l’impianto generale della narrazione ha puntato sulla comunicazione di poche e selezionate informazioni, attinenti in modo particolare alla storia antica della pianta marmorea: dov’era, a cosa serviva, come è stata fatta, quali problemi poneva anche in antico (divertentissimo il pannello sugli ERRORI DEI LAPICIDI). Una scelta che posso capire: focalizzarsi per arrivare al punto.

LA CARTOGRAFIA MODERNA. Una sezione (sulla parete opposta all’ingresso) tratta invece il tema cartografico, spiegando perché la base cartografica è la pianta di Nolli del 1748 e spiegando anche perché l‘anno “zero” dell’a pianta marmorea, dal punto di vista archeologico, è il 1561, quando, cioè i primi frammenti emersero dagli scavi Farnese nell’area del Foro della Pace e, di lì, cominciarono ad essere trascritti dagli antiquari del XVI e XVII secolo, fornendoci le primissime interpretazioni topografiche.

PROBLEMI APERTI. Un pannello (forse un po’ poco) nella sala successiva a quella principale, offre un focus su un altro “temone”: il problema della difficoltà di localizzare frammenti attestati nel medesimo luogo. E qui si fa l’esempio degli Aedonea e del Tempio di Faustina, entrambi sul Palatino, entrambi in posizione compatibile con le tracce rimaste. Un tema che forse, messo in questi termini, di certo avverte il visitatore che non si tratta di un semplice puzzle da ricostruire da un disegno noto. Tuttavia, a me è sembrato un po’ poco rispetto alla marea di problemi interpretativi che ciascun frammenti si porta dietro. E di cui non si parla.

I frammenti del mio cuore: il primo miglio della via Appia.

UN ESEMPIO TIPICO. Parlo di quel che so. Due dei frammenti che hanno appunto posto non pochi problemi di localizzazione sono quelli relativi all’inizio della via Appia, luogo che, come sapete, studio da almeno dieci anni. Questi frammenti si trovavano proprio nella parte più alta della FUR e il problema che pongono è quale sia l’altezza esatta alla quale collocarli: un po’ più su o un po’ più giù? Quella “V” indica (ne siamo ormai certi) la V(IA APPIA) e possiamo dirlo perché abbiamo la sequenza dei toponimi della Regio I augustea, grazie ai testi dei Cataloghi Ragionari di età costantiniana. Ecco, manca del tutto, per esempio, un riferimento a quali siano le fonti dalle quali possiamo conoscere la lista di edifici esistenti nel III secolo a Roma. E la fonte non è certo la pianta marmorea, della quale abbiamo solo il 10%.

L’ALLESTIMENTO: IL PUBBLICO PROTAGONISTA

Erano anni che non mi fermavo ad osservare un pubblico coinvolto, interessato, protagonista di uno spazio espositivo, e mi sto riferendo ai luoghi in cui si parla di archeologia.

Purtroppo non riusciamo ad uscire dallo schema per cui parlare di archeologia implichi o una banalizzazione totale, oppure una esclusione senza mezzi termini dei visitatori o, ancora, una pericolosa mistificazione della realtà.

Ecco, nel Museo della Forma Urbis non ho respirato nulla di ciò. Al contrario, ho sentito e visto sprigionarsi, per la prima volta dopo tanto tempo, qualcosa di molto bello da parte del pubblico: un sincero e partecipato coinvolgimento.

C’era chi si chinava, chi camminava avanti e indietro, chi cercava di ritrovare la propria casa, chi quel monumento che aveva visto giorni prima, ah sì, i templi dell’area sacra di largo Argentina. Non è immediata la comprensione della pianta, né i luoghi si trovano facilmente, nonostante a parete (sotto alle finestre) ci sia un pannello (coraggiosissimo, complimenti) in cui si cerca di rappresentare in assonometria i frammenti sul topografico attuale. Non facile.

Di fatto, quindi, si va per intuito e in preda alla propria curiosità. E credo che sia proprio questo che funziona. Non è tanto un’esperienza di comprensione della storia archeologica della FUR, bensì, per come l’ho vista, è un’esperienza di Roma rappresentata. Naturalmente, partiamo dal principio che la fruizione odierna è totalmente diversa da quella antica. Ma chi ha detto che dovesse essere la stessa? Anzi, credo che stesa per terra, la città si possa esplorare meglio.

L’AREA ESTERNA. IL GRANDE BOH.

Parte della collezione di frammenti allestita nel giardino, di cui non si sa nulla.

Un punto a parte merita l’area esterna. La marea di frammenti marmorei di ogni genere, sistemata in un giardino completamente ripulito, ci ha lasciato perplessi. Non ero la sola a domandarmi ad alta voce perché non ci sia nemmeno un cartello a spiegare la situazione.

Sarebbe andato bene anche un banale “work in progress” così da rassicurarci sul fatto che, prima o poi, ci darete qualche notizia sui pezzi. Io, sul momento, mi sono ingegnata con un bravissimo collega esperto di decorazione architettonica e su Instagram abbiamo lanciato qualche chiarificazione estemporanea. Ma non può essere la soluzione.

Uno di voi con il quale ho scambiato qualche messaggio in diretta, l’ha giustamente definito il “cimitero di marmo”, riferendosi in particolare a quella un pò inquietante sequenza di cippi funerari lungo il percorso all’intero del giardino.

Ecco, questo non ci è piaciuto. Se vi va, andate a leggere il post che ho scritto sull’Antiquarium del Celio e troverete alcune info utili a inquadrare questo parco di marmo. Ma è ancora tutto da fare.

Il GRADIMENTO: ALTO

Una piccola parte della community #muripertutti riunita al Museo!

Il gradimento di questo Museo, dopo una prima visita, è alto. Come ho detto, c’è ancora tanto da fare, ma ciò non toglie riduce la potenza di questa esperienza di archeologia a Roma.

Assocerò sempre questo Museo anche ad un altro fatto: ho conosciuto alcune persone della nostra Community che, sapendo della mia visita, mi hanno raggiunta. Io non so descrivere l’emozione provata. Ci siamo conosciute e ritrovate, abbiamo parlato di Roma, della situazione culturale e del Museo. Ho avuto la percezione che questo mio lavoro sul blog stia servendo a qualcosa e ve ne sono profondamente grata.

E dunque come non essere doppiamente contenta di questa esperienza di archeologia? Naturalmente, spero ci saranno tante altre occasioni di conoscervi tutti. Nel frattempo, devo dire che anche via messaggio ci stiamo consultando molto in questi mesi e ciò mi dimostra che una comunità consapevole è davvero nata e si sta sviluppando.

LE MIE RISORSE UTILI

Dal momento che nell’esposizione manca totalmente la discussione critica sulla formazione della nostra conoscenza su Roma antica, che ci ha consentito, nei secoli, di poter ricostruire e interpretare anche la Forma Urbis marmorea, vi fornisco qui alcuni link per esplorare voi stessi alcune risorse accessibili nel web.

Mi metto nei panni di chi dovrà condurre gruppi in visita, accompagnare studenti, parenti, amici e vorrà sapere da dove ci viene questa immensa conoscenza sulla storia topografica di Roma. Nell’era dell’appiattimento delle conoscenze, della decurtazione dei contenuti e della complessità che li accompagna (cosa che erroneamente chiamiamo semplificazione), serve secondo me di recuperare qualche “pezzo” mancante.

E spero che il mio essere ricercatrice possa davvero dare in contributo concreto al nostro progresso scientifico collettivo.

PRIMA RISORSA: la storia della Forma Urbis Romae, la mastodontica opera di Rodolfo Lanciani creata (ancora non riusciamo a capire con quali energie!) negli anni 1893-1901 e che consta di 46 tavole, nelle quali, per la prima volta, si collocano sulla cartografia dell’epoca (lo stato di fatto) i frammenti archeologici della città di Roma allora noti, sia tramite la Forma Urbis severiana, sia grazie a tutte le scoperte fatte negli anni di Roma Capitale.

INFO: cliccate sul link ed esplorare il progetto della Chigago University. Poi troverete il link interno alla FORMA URBIS WEBSITE e arriverete su un altro sito specifico per la FUR di Lanciani.

SECONDA RISORSA: Il mega database della Forma Urbis Romae elaborato dalla Standford University in collaborazione con la Sovrintendenza Capitolina (che naturalmente “possiede” i pezzi). È un ricchissimo progetto del quale noi vecchi studenti dei seminari del Primo miglio della via Appia ci siamo serviti per imparare a visualizzare i frammenti digitalizzati e per studiare la problematica archeologica circa la ricomposizione di questo complicatissimo puzzle.

TERZA RISORSA: rimetto qui di nuovo il mio articolo sull’Antiquarium del Celio e sul contesto, anche per avere qualche info sui pezzi esposti nel giardino.

Aggiungerò poi altre risorse nei prossimi giorni. Intanto fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo Museo di Archeologia a Roma!

INFO PRATICHE

Il Museo è aperto dal martedì alla domenica, dalle 10 alle 16 (controllate sempre il sito ufficiale).

Il biglietto intero per i residenti costa 6,50€, ridotto 5,50€

Per i non residenti, intero 9€, ridotto 6,50€

GRATIS per MIC CARD e tessera ICOM.

Per tutte le altre gratuità ed eccezioni controllate il sito.

Esiste un catalogo, o meglio, una mini guida bilingue (quindi con poco contenuto) al costo di 20€, ridotti a 15€ in museo.

Volevo acquistarlo ma in cassa non avevano il resto cash e quindi non l’ho preso.

Commenti

8 risposte a “Il nuovo Museo della Forma Urbis al Celio. Prime impressioni.”

  1. Avatar Roma Archeologia e Restauro Architettura 2022.

    Ciao Dott.ssa Di Cola, Grazie per l’utile ed importante articolo, ma siete a conoscenza del fatto che nel 2020 è stato scoperto sul colle Aventino un nuovo frammento della “Piana marmorea Forma Urbis”? Ti inoltrerò a breve il mio articolo e le mie fotografie… grazie Martin mgconde[@]yahooo.com (22/03/2024).

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    1. Avatar Valeria Di Cola
      Valeria Di Cola

      Grazie e sarò felice di ricevere il suo articolo e di leggerlo! Buone cose

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      1. Avatar Roma Archeologia e Restauro Architettura 2022.

        Grazie per la risposta, I frammenti (= Aventino) sono stati menzionati nel nuovo periodico ‘ARCHEO’ (marzo 2024); e di seguito sono riportate le risorse aggiuntive aggiuntive; in realtà diversi nuovi frammenti sono stati scoperti nel Foro della Pace (inedito = Comune versus Parco Colosseo?) e in quello sull’Aventino…ti mando il link quando gli articoli sottostanti verranno caricati sul mio blog… grazie Martino

        — Roberto Meneghini, NUOVI DATI E OSSERVAZIONI SULLA FORMA URBIS SEVERIANA – Un nuovo frammento di Forma Urbis dagli scavi dei Fori Imperiali. ArchCl LXXIV, 2023, pp. 537-560.

        — Letizia Rustico, Roberto Narducci, Claudia Devoto; UN FRAMMENTO DELLA FORMA URBIS SEVERIANA DAL COLLE AVENTINO. ArchCl LXXIII, 2022, pp. 407-430

        — L. Rustico, R. Narducci, D. Nepi, D.I. Pellandra, «Pavimenti inediti dall’Aventino. Nuove scoperte e riscoperte», in C. Angelelli,
        C. Cecalupo (a cura di), Atti del XXVI Colloquio AISCOM, Roma 2021, pp. 101-116.

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      2. Avatar Roma Archeologia e Restauro Architettura 2022.

        Perfavore guarda: Dott.ssa Valeria Di Cola, in: Blog / Muri Per Tutti (22/01/2024); in:

        — ROMA ARCHEOLOGICA & RESTAURO ARCHITETTURA 2024. ROMA – FORMA URBIS SEVERIANA & IL MUSEO FORMA URBIS – Un nuovo framment[o/i] di Forma Urbis dagli scavi dei Fori Imperiali & Colle Aventino; in: ARCHEO No. 469 (Marzo 2024): 98-103; S.v., Roberto Meneghini, ArchCl LXXIV (2023): 537-560; Letizia Rustico et al., ArchCl LXXIII (2022): 407-430 & Letizia Rustico et al., Atti del XXVI Colloquio AISCOM, Roma (2021): 101-116. (23/03/2024). Nota: Insieme ad ulteriori riferimenti online e altre informazioni storiche sui FUR, dall’inizio del XX secolo fino ad oggi.https://wp.me/pbMWvy-4Ow

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