L’Antiquarium Comunale del Celio – cosa c’è da sapere.

Un cadavere urbano#

Il cadavere dell’Antiquarium Comunale, che appare davanti agli occhi dei visitatori del nuovo museo della Forma Urbis al Celio.

Ammetto di aver preso un abbaglio. Ero convinta che il nuovo museo della “Forma Urbis” (di cui parlo in questo post) forse stato allestito all’interno dei locali dell’Antiquarium del Celio. Un luogo tanto importante quanto negletto.

E invece mi sbagliavo. Devo aver letto troppo velocemente un accenno all’Antiquarium nei vari post pubblicitari e devo aver travisato il contenuto. Forse l’Antiquarium era stato usato come riferimento topografico, mentre il nuovo museo della “Forma Urbis” è stato allestito nel giardino alle sue spalle e all’interno dei locali dell’Opera Nazionale Balilla.

Ma dal momento che quando andrete a visitare questo nuovo Museo, troverete ancora lì i resti dell’Antiquarium Comunale, ammaccato e abbandonato, tanto vale che mi renda utile e vi fornisca una risorsa bibliografica (direi più unica che rara), con la quale potrete conoscere la storia di questo cadavere urbano che non ci si decide e rimettere a posto. O a demolire. Di certo, così, non ha più molto senso.

Un edificio stratificato

Un esempio di pianta di fase: la fase VI (l’ultima) della storia architettonica dell’Antiquarium (da Arata, Balistreri 2010, fig. 4)

Lo studio sull’Antiquarium Comunale è stato condotto dal funzionario archeologo della Sovrintendenza capitolina, Francesco Paolo Arata, e dall’archeologa Nicoletta Balistreri ed è stato presentato al convegno “il primo miglio della via Appia a Roma” organizzato dall’Università di Roma Tre nel lontano 2009 e pubblicato negli atti che ne seguirono, nel 2010. Tenetelo a mente perché ho visto circolare le immagini di questo articolo su vari altri articolo nel web (come quello di Artribune) senza che (mi sembra) sia citata correttamente la bibliografia. Male male così, le fonti si citano per bene!

Lo studio è maturato nell’ambito dei seminari sul primi miglio della via Appia, ideati e condotti da Daniele Manacorda per la cattedra di Metodologia della Ricerca Archeologica a Roma Tre, dove anche io mi sono formata per diventare l’archeologa che sono. Ricordo come fosse ieri, quando fu assegnato alla nostra collega il tema “Antiquarium del Celio”. Tra noi studenti ci guardammo sorpresi, domandandoci perché mai un rudere come quello, abbandonato in mezzo all’immondizia e mezzo crollato, dovesse essere oggetto di un’analisi archeologica.

Beh, se mi avete seguito qui sul blog, sapete come la penso: Manacorda ci ha insegnato (e soprattutto, ce lo ha dimostrato) che l’archeologia non è la ricerca dell’ “antico vaso”, né significa occuparsi di cose antiche. L’archeologia è un modo di guardare il mondo, è una lente, con la quale analizziamo la realtà di qualsiasi epoca (se volete, trovate il mio focus qui).

Ecco, il caso dell’Antiquarium del Celio, grazie all’analitico e praticamente impeccabile studio della Balistreri, supportato dall’esperienza sul campo di Arata, secondo me vi aiuta a capire il senso di quella frase. In questo studio diacronico, attraverso la documentazione d’archivio, fatta di planimetrie e di fotografie, di diari e di reperti, è stata tracciata la storia dell’edificio dal 1885 al 1943. Una storia articolata in sei fasi edilizie durante le quali l’Antiquarium ha cambiato più volte forma e, in parte, anche identità.

Una storia materializzata in altrettante piante di fase, redatte da Balistreri sulla base delle planimetrie d’archivio e delle informazioni tratte dalle fonti. Un caso di studio illuminante su cosa significhi applicare il metodo stratigrafico (con i suoi strumenti grafici, come le piante di fase e ricostruttive) e quali risultati possa dare.

“Bricciole”

Io sono qui a scrivere questo breve articolo per solleticare la vostra curiosità sulla storia architettonica dell’Antiquarium Comunale e non ho ancora visto l’allestimento del Museo della Forma Urbis, che aprirà domani. So, però, che di sogni su quel rudere abbandonato ne ho ascoltati tanti negli anni passati, sogni emersi proprio nelle aule di Roma Tre. Come potrete intuire, sono oltremodo curiosa di tornare sul Celio per visitare l’area nuovamente allestita e finalmente riqualificata. E per giunta con un progetto didattico sulla pianta marmorea severiana di Roma!

Nell’articolo di Arata e Balistreri, leggerete una avvincente pagina della storia dell’archeologia romana di Roma, dove personaggi come Rodolfo Lanciani (nell’articolo capirete chi era), di fronte alle fresche brezze di novità che cominciavano a soffiare portando l’interesse per una archeologia finalmente contestuale, non più solo “di marmo” o tipologica, esprimeva il suo commento rispetto alle testimonianze, variegate e talvolta umili, esposte nel Magazzino Archeologico: “sono bricciole” in confronto alle esuberanti collezioni Capitoline, diceva.

Erano altri tempi…? ( Ultimamente sembra di essere tornati a “quei” tempi). Quel che posso e voglio fare, è allegare qui l’articolo sull’Antiquarium Comunale, così che da domani possiate andare a visitare il nuovo museo della “Forma Urbis”, conoscendo anche la storia di quella carcassa color mattone abbondonata a pochi passi dal Colosseo, senza che se ne faccia parola. Anzi, pare sia incluso in un progetto di restauro con il PNNR (fonte Artribune), ma per ora non se sa molto di più.

Facciamo chiarezza

Ho provato a fare una ricerca su internet digitando “Antiquarium Comunale Celio” e, tra le prime occorrenze, ho trovato la pagina Turismoroma.it dove è tracciata per sommi capi la storia dell’Antiquarium. Mi ha incuriosito il fatto che non c’è una foto del nostro cadavere color mattone, bensì una foto del giardino (oggi ripulito e facente parte dell’area esterna musealizzata con il Museo della Forma Urbis), con alcuni degli “oltre 80.000 frammenti” di proprietà della Sovrintendenza Capitolina, provenienti dagli scavi urbani per Roma Capitale e poi del Ventennio.

Fate attenzione, quindi: l’Antiquarium non è il giardino, bensì quell’edificio di cui vi racconto in questo post, al quale appartenevano anche le migliaia di frammenti marmorei che oggi troviamo nell’area alle spalle dell’Antiquarium medesimo. Frammenti dei quali in situ non si dice nulla, ma che sulla pagina “Turismoroma” sono brevemente descritti cosi:

“I materiali che si possono approssimativamente stimare in circa 80.000 reperti, provengono dagli scavi della Necropoli Esquilina, dell’Area sacra di Sant’Omobono o dai depositi votivi di Santa Maria della Vittoria e del tempio Minerva Medica e sono databili tra il XII sec a.C e il VI secolo d.C.”

Che dire allora: facciamoci trovare pronti! Allego qui sotto il pdf dell’articolo di Arata e Balistreri 2010. Servitevene pure per le vostre passeggiate e le vostre meditazioni urbane. E non perdetevi la mia recensione sul nuovo Museo della “Forma Urbis”!

Referenze bibliografiche

F.P.Arata, N.Balistreri, L’Antiquarium Comunale del Celio, in Il Primo Miglio della Via Appia a Roma, a cura di D. Manacorda e R. Santangeli Valenzani, Atti della Giornata di Studio (Roma, 16 giugno 2009), Roma, “Croma”, 2010, pp. 269 – 282.

Ecco la copertina del volume degli atti, contenete anche l’articolo sull’Antiquarium del Celio.

Commenti

3 risposte a “L’Antiquarium Comunale del Celio – cosa c’è da sapere.”

  1. Avatar Il nuovo Museo della Forma Urbis al Celio. Prime impressioni. – Muri per tutti

    […] questo non ci è piaciuto. Se vi va, andate a leggere il post che ho scritto sull’Antiquarium del Celio e troverete alcune info utili a inquadrare questo parco di marmo. Ma è ancora tutto da […]

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  2. Avatar delfo44
    delfo44

    Molto interessante, brava!

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