Ridere per non piangere#

Mai recensione di una mostra fu tanto attesa dai lettori del mio blog. E mai una mostra fu tanto imbarazzante da dover recensire.
Nell’era del digitale, dell’intelligenza artificiale, dei grandi gruppi culturali mondiali, ancora ci tocca visitare mostre sciatte e senza cura. E dobbiamo farlo pagando anche un biglietto.
La mostra “Dacia”, ora in corso alle Terme di Diocleziano, una delle prestigiose sedi del Museo Nazionale Romano, aveva solleticato gli appetiti di molti, archeologi e non solo. Finalmente - pensavamo – una mostra che racconti quella terra ricca ed esuberante attraverso le sue testimonianze materiali. Finalmente – speravamo – una mostra che illustri le novità della Ricerca sulle popolazioni indigene e la loro storia, prima e dopo la conquista romana.
La Dacia, in fondo, almeno per noi romani di Roma che studiamo archeologia romana ai piedi della Colonna Traiana, suona come una delle province più famose e glorificate nelle aule universitarie. Seconda, forse, solo alla Gallia di Cesare, per ovvie ragioni cronologiche.
Le aspettative su questa mostra, quindi, erano altissime. Complice anche la rinomata fattura del vasellame e dell’oreficeria della cultura romena antica, come pure la celebre fierezza dei guerrieri Daci e del loro re, Decebalo, immortalati nei rilievi della coclea marmorea e in decine di statue in marmo nell’area dei Mercati di Traiano.
Ma come in un brutto sogno, in cui immaginiamo l’incontro con la nostra persona ideale, che speriamo bella, fascinosa e impeccabile, ma che non appena apre bocca e parla biascicando, ci delude e infastidisce, così, la visita alla mostra “Dacia” ci ha lasciato una sensazione sgradevole addosso. Uso il plurale perché questa volta siamo palesemente in tanti e lo abbiamo detto e scritto sui social.
Da visitatrice iscritta all’Icom, in primis, e poi da studiosa del mondo romano, docente di archeologia romana e cittadina del Lazio, mi sono sentita presa in giro, trascurata, ingannata da una delle istituzioni culturali più importanti della nazione, il Museo Nazionale Romano. Per tutta la mostra non ho fatto altro che ridere di una risata isterica, a tratti incredula, per non piangere di fronte a tanta sciatteria e incuria nell’allestimento e nella presentazione di reperti, che da parte loro, si sono dimostrati a dir poco pazzeschi.
Senza farla troppo lunga, vediamo le mie osservazioni per punti.
ACCESSIBILITÀ: PARZIALE

Partiamo dalla voce oggi più di moda: l’accessibilità. Come sapete, io ne considero di due tipi: quella fisica e quella cognitiva. Sulla prima, nulla da obiettare. Sulla seconda, purtroppo, non ho notato grandi sforzi. Non ci sono percorsi per bambini o altre categorie cognitivamente deboli, non ho notato pannelli facilitati posti ad altezze adeguate ai più piccini. Ci sono, in verità, dei bei disegni ricostruttivi, grandi e colorati, anche se alcuni sono male illuminati o mal collocati.
IL TEMA: PROMETTENTE

Dai, confessiamocelo: tutti almeno una volta, pensando a Decebalo, ai Daci e a Traiano sul Danubio abbiamo sperato di sentirne parlare compiutamente in una mostra. Non tanto dal punto dei vista dei monumenti (sulla colonna Traiana è stato fatto molto e proprio in questi giorni ha inaugurato una nuova mostra al Colosseo), dico proprio sui personaggi e sulla popolazione, le sue tradizioni, i suoi prodotti artistici, le sue leggende.
Il guaio è che un tema, pur essendo molto promettente, può essere totalmente svalutato da un allestimento poco convincente o poco curato. E proprio la mancanza di cura nei testi, la mancanza di logica nell’esposizione, le pecette e le toppe sparse qua e là, hanno a mio avviso spento quel fuoco che, sono certa, non solo io avevo dentro immaginando una mostra da capogiro sulla Dacia, in una sede meravigliosa come le terme di Diocleziano. Ma che dico, meravigliosa: una sede UNICA AL MONDO.
IL RACCONTO: SCARNO E CONFUSO

Quando penso al racconto in una mostra, penso ai contenuti che i curatori vogliono diffondere attraverso un allestimento ragionato. Quando penso al racconto, penso quindi a una storia, non necessariamente cronologica (va bene anche tematica o che so io), ma una storia che abbia un capo e una coda; una storia che intrighi chi la legge; una storia che diffonda conoscenza e faccia aprire gli occhi, inviti a colmare le proprie lacune e che sappia accendere la curiostà. Una storia, insomma, che faccia bene.
Il racconto in “Dacia” è un racconto “strano”. Sulle prime mi era parso accuratamente semplificato, “finalmente!” – pensavo- è stato elaborato per andare incontro ai visitatori, assumendo un tono adatto a tutti, esperti e non.
Procedendo nella lettura dei pannelli, però, ho cominciato a capire due cose: il senso della narrazione non era logico; la qualità della narrazione un pò scarsina. Il senso non era logico perché, sebbene nel pannello introduttivo alla mostra una bella linea del tempo vi spiega le diverse “culture” della terra di Romania, nella quale la conquista romana è trattata alla stessa stregua delle altre culture locali (giustamente, ma per noi romanocentrici è parecchio strano), nei pannelli a seguire si parte invece a manetta con la fase romana. Dopo varie sezioni, si arriva alle culture primitive, la lunga “età del ferro” che in sostanza va dal IX secolo a.C. alla conquista romana, per poi finire con gli ori tardoantichi.
Ciò mi ha dato l’impressione che gli arredi siano stati riciclati e che, per motivi di spazio, l’allestimento sia stato fatto cambiando la sequenza (senza però accordare i testi), anteponendo, quindi, la fase romana a quella protostorica. Forse per usare meglio lo spazio? Vero o no che sia, non solo io ho avuto la sensazione di essere confusa dalla sequenza delle vetrine, dovendomi quindi abbandonare a quel che più detesto: passare da una vetrina all’altra, pensando: oh bello, beeelllooo, carino, brutto.

La qualità del racconto finisce per essere più banalizzata che semplificata. Espressioni come “Dacia: la California dell’antichità” usata in una delle prime sezioni in riferimento alla ricchezza in giacimenti minerari, in un certo senso mi conferma che siamo lontani dall’offrire al pubblico informazioni rese semplici pur conservando la loro qualità scientifica. Se arriviamo a strizzare l’occhio al pubblico con espressioni così, di cui, credetemi, non abbiamo alcun bisogno e non ci aiutano a capire meglio, vuol dire che stiamo imparando dai maestri sbagliati o non stiamo tenendo in conto le lezioni dei maestri in gamba.
Perché ha preso piede questa moda di attualizzare forzatamente l’antico pensando che piaccia al pubblico? L’antico è antico e ha i suoi riferimenti geografici e temporali così come i suoi lessici. Non dobbiamo lavorare sullo spostamento dei meridiani e dei paralleli, bensì, forse, sul desiderio di raccontare e quindi emozionare il pubblico con quanto di più affascinante esista: la realtà.
L’ALLESTIMENTO: PEZZI STREPITOSI, ARREDI RICICLATI (?)
PEZZI PAZZESCHI

Partiamo da una nota positiva: i pezzi esposti, per quanto alcuni siano molto molto reintegrati, sono a dir poco pazzeschi. Ori, gemme, motivi decorativi preziosi e complessi, argenti, fanno da contrappeso a manifestazioni artistiche in pietra dalla connotazione stilistica decisamente locale.
Ho trovato molto interessante questa convivenza tra produzioni di raffinatissima qualità e manifestazioni artistiche che più provinciali (in questo caso va bene dirlo) non si può. Peccato che non ci sia un raffronto tra le parti, una lettura guidata a tanta meravigliosa produzione materiale.

ALLESTIMENTO RICICLATO?
Come ho anticipato prima, camminando per le sale espositive, ho avuto la netta sensazione che l’allestimento sia stato riciclato da una mostra precedente. I motivi sono due: la mancanza di logica nel percorso (e l’ho detto al punto precedente) e le “ferite” riportate dagli arredi e rattoppate con nastro adesivo in tinta, quando possibile.
Capiamoci: nell’era della necessità di riciclare per salvaguardare l’ambiente, la filosofia “zero waste” merita rispetto. Ma un conto è riciclare per salvare il pianeta, altra cosa è riutilizzare i pannelli e gli arredi di una mostra allestita altrove senza adeguare la sequenza espositiva alla nuova sede.
La mia impressione è che la sfilata di pannelli sulla cultura dell’età del ferro sia stata allestita nella grande aula/cisterna delle terme di Diocleziano dopo la fase romana, e non prima, come logica vorrebbe in un racconto cronologico, per motivi di spazio, lasciando all’ultima sala la fase tardoantica. Sicuramente sbaglierò, non se anche voi avete fatto la stessa valutazione.
BEWARE OF TYPOS

Per quanto riguarda i pannelli, non sarò certo io a svelarvi che i testi sono un tripudio di refusi, traduzioni insensate o errate, parole o interi periodi tronchi e neologismi. Prima ancora di visitarla, avevo già saputo da molti di voi, nonché letto in rete, degli strafalcioni nemmeno troppo mascherati.
L’aspetto forse peggiore, in tutto ciò, è la ‘pecetta’ incollata al pannello sul tema della PAX ROMANA, nella prima sala, sulla quale è scritto che i testi sono a cura dello MNIR, cioè l’istituto Romeno che ha curato l’allestimento e i contenuti. Ma vi pare una cosa normale? E secondo la Direzione del Museo Nazionale Romano, questa pecetta dovrebbe sollevare la parte italiana da qualsiasi responsabilità? Io, tutti noi in verità da quel che ho sentito, siamo rimasti scioccati di fronte a questo “disclaimer”, nemmeno fossimo su YouTube. Una brutta caduta di stile.
DIDASCALIE
Quanto alle didascalie, non c’è alcun riferimento alle tecniche di oreficeria o ai dettagli decorativi dei pezzi esposti. Sarebbe stato bello poter imparare qualcosa di più su queste popolazioni e sulle loro produzioni, e invece no: sugli oggetti non si spende una parola di più oltre al nome, talvolta pure tradotto male (come la PHIALE che diventa LA FIALA); nei pannelli introduttivi alle sezioni, poi, ci si perde in dei panegirici “alla Marzullo” (e qui cito la brillante espressione di una cara collega) per cui alla fine della lettura non hai capito niente.
Stupore ha destato la frequente ripetizione della parola INVENTARIO in riferimento all’elenco dei pezzi presenti all’interno delle sepolture. Ho sentito diverse persone pensare ad una mala traduzione di “corredo funerario”, perché di questo, in effetti, si tratta. Ma nel testo in inglese delle varie didascalie in cui la parola INVENTORY è riportata, c’è spesso anche GRAVE GOODS, i beni della sepoltura. In realtà si tratta, secondo me, esattamente di un inventario, nel senso di una lista dei reperti, immagino fatta al momento della scoperta e poi trasmessa. In questa scelta lessicale forse si cela un approccio forse più antiquario che stratigrafico alla lettura dei contesti.
E a questo proposito, la mia impressione è che metodologicamente l’impianto scientifico della mostra è vagamente più antiquario che archeologico in senso contestuale.
IL PERCORSO ESPOSITIVO IN SINTESI
Si parte dalla grande aula termale in cui si parla della “pax romana” e della Dacia ridotta a provincia; segue il Pantheon e un excursus sulla vita quotidiana ed economica “provinciale” (cioè in provincia) basato su oro e metalli preziosi; passando alla sala della grande cisterna, si affrontano singoli temi, come “L’elmo da Cotofenesti”, il magnifico elmo d’oro laminato, di cui in realtà non si dice granché; “antiche popolazioni vicine: Illiri, Sciti e Greci”; “un periodo di cambiamenti dinamici” (e qui capite che la confusione regna sovrana perché si tratterebbe delle premesse locali alla successiva dominazione romana: aiuto!); “una nova élite di guerrieri arcieri a cavallo”; e a seguire in ordine sparso, la dominazione romana nei Balcani (riecco i Romani); la simbiosi uomo-cavallo (tradotta malamente in “il cavallo… la coppia dell’eroe”); i Bastarni; le élites femminili; i Sarmati; la Scizia; focus sulla città di Sarmizegetusa.
Nell’ultima sala, il periodo tardoantico, con pezzi da far lacrimare gli occhi per la quantità di oro e gemme preziose, sui quali, belle ricostruzioni grafiche offrono al visitatore la collocazione dei monili, ma poco o nulla si dice sull’ oreficeria.
QUALCHE PERLA DAI PANNELLI
Dopo questa esperienza di visita, non mi dò pace al pensiero che ci si prenda gioco del pubblico (pagante e non) in questo modo sfacciato. E non è la prima volta, negli ultimi tempi, che restiamo delusi dalle mostre sul mondo antico (mi limito, per competenza, a parlare di queste) che la città di Roma ci propone nelle sue sedi culturali istituzionali.
Per allietarvi, trascrivo alcune divertenti quanto tragiche toppe testuali:
APPLICA DECORAZIONE per applique decorativa
UMBO per umbone
”A PROVINCE BUILT A FUNDAMENTIS” diventa “un’edificata provincia”
RITTONE per Riton, contenitore per liquidi
II SEC. P.C. Invece che D.C.
PONDERA EXAMINATA diventa Ponderazione Equilibrata
IL DACO invece del Dace
GLI ORI DACICI invece di Daci
MORSO CON BOCCAGLIO in riferimento al morso con le briglie
E potrei andare avanti…
E poi: numeri dei pezzi messi alla rinfusa, restauri con evidenti strati di paraloid o non so cosa di giallastro, didascalie povere, per cui vana è ogni chance di imparare qualcosa di più sulla cultura dacica, specie quella locale anteriore alla conquista romana
IL GRADIMENTO: LOW POINT
In italiano mi ci vorrebbero troppe parole per dire che la sensazione rispetto a questa mostra è di grande fastidio, rabbia, frustrazione, però anche meraviglia, sorpresa. Sensazioni contrastanti dove però quelle negative prendono il sopravvento.

La scelta cromatica della pannellistica l’ho trovata felice: nei pannelli primari, fondo nero e testi bianchi, immagini belle e vivaci; forse meno belli i pannelli secondari, a fondo arancione con testo bianco troppo chiaro. Ho trovato gradevole e coinvolgente anche la disposizione dei pezzi, alla portata dello sguardo e dunque facili da esaminare.
Ma ripensando a quel cerotto arancione in cui ci si scarica la responsabilità del disastro compiuto, mi sento tradita da un’istituzione, il Museo Nazionale Romano, che dovrebbe avere cura di me, di noi e dei cittadini del mondo che lo visitano. Sarà mai possibile un mondo migliore?
info pratiche
Il biglietto è gratis, fra gli altri, per soci Icom e cittadini Romeni e Moldavi. Il costo del biglietto intero è di 11€ (8€ più supplemento mostra 3€).
La mostra merita comunque una visita? Se volete guardare da vicino dei pezzi molto particolari (a costo di non imparare niente), vi dico di sì. Non mi pare adatta ai gruppi perché, perfino io che amo cimentarmi in qualsiasi tema, la trovo difficile da trasmettere, mancando la sostanza scientifica.
Ah, naturalmente il catalogo NON ESISTE.
Vi aspetto nei commenti. Scatenate l’inferno!

Scopri di più da Muri per tutti
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Grazie per essere così sincera la voglio vedere e avrò così un occhio già preparato però se la tua delusione è alta mi preoccupa questa tendenza a non fare mostre attente e di livello.
"Mi piace"Piace a 1 persona
So che non è mai bello influenzare gli altri, ma in questo caso è più importante stare all’erta verso questo tipo di atteggiamento imperante negli ultimi tempi. Grazie a te, Vincenzo
"Mi piace""Mi piace"
Encomiabile la tua analisi, deprimente la noncuranza delle istituzioni.
"Mi piace"Piace a 1 persona