Ciao e bentrovati ! Nonostante sia già trascorso qualche giorno, ho voglia di condividere con voi il percorso fatto con la Community lo scorso 20 maggio tra Celio e Aventino. Un percorso che ha toccato tanti temi e tante storie sepolte e anche una mostra di disegni davvero meravigliosa. Vi racconto tutto in questo post !
“YES”
Avete presente come si sono conosciuti John Lennon e Yoko Ono? Era il 7 novembre 1966 e Yoko stava per inaugurare una mostra alla Indica Gallery a Londra.
In una delle tante interviste Lennon raccontava come la curiosità lo spinse ad andare a questo happening e rimase sorpreso dall’installazione di una scala in un angolo della stanza, presso la quale pendeva una lente di ingrandimento. Lui salì sulla scala, prese la lente e guardò verso la parete bianca, per scoprire la minuscola scritta “YES”, sì.

La cosa lo sconvolse e in sostanza quel giorno capì che Yoko Ono era la donna della sua vita. Ho ascoltato quell’intervista centinaia di volte, sì, perché – confesso – ho sviluppato molto giovane una vera ossessione per l’universo dei “Beatles”. E il racconto di John Lennon mi è sempre rimasto impresso.
Quando penso a “Muri per tutti” ripenso spesso a quella scena. Lui risponde a una chiamata, c’è l’happening, la scala, la lente, l’invito a scoprire e ad affermare. Geniale. Umilmente, mi piace pensare che gli incontri “Muri per tutti” siano dei veri e propri happening, perché sono un modo per conoscerci, per ritrovarci, per scoprire cose nuove, insieme.
E il segreto credo sia proprio questo, guardare con occhi nuovi, con i vostri occhi una realtà che io vedo a modo mio da anni, ma che insieme a voi assume altre e inedite sfumature.
Una nuova vecchia coffee-house al Celio
Prima tappa dell’esperienza partecipata che ho chiamato Un caffè con Caracalla è stata la Casina del Salvi, l’edificio neoclassico costruito nel 1835 e praticamente inaugurato nel 2025. Solo a Roma !
Il Celio ha sempre vissuto di riflessi, se ci pensiamo. Colle periferico rispetto al foro romano al tempo della fondazione della città, eppure legato alla cacciata dei re Tarquini, come ci ricordano ancora alcuni toponimi, ad esempio via Celio Vibenna.
Divenuto poi molto presto luogo prediletto dell’aristocrazia romana, si è subito distinto per la sua meravigliosa armonia tra paesaggio e architettura, nel segno di una continuità mai interrotta. Sul Celio si costruisce il tempio al divo Claudio, quasi periferico; poi un padiglione con ninfeo della Domus Aurea, poi case aristocratiche lussuose, spazi corporativi, aule e biblioteche in uso fino all’età cristiana.
Poi sopraggiungono battisteri e chiese, una più bella dell’altra (i Santi Quattro a coronati vi dice qualcosa?). Sempre all’ombra del Colosseo, quasi in disparte, ma è proprio questo il fascino del colle delle querce.
Per questo Gregorio XVI, Papa rinnovatore dell’urbanistica di Roma, investì proprio sul Celio, creando un orto botanico con annessa Coffee House, sul modello di quella fatta fare dal Valadier al Pincio. Ecco da dove viene la Coffee House del Celio. L’architetto è Gaspare Salvi: ed ecco da dove viene il nome.

L’idea è il frutto del tipico blend culturale ereditato dal contatto con l’alta società anglosassone ed europea, che dai tempi del primo Grand Tour circolava in città portando colori e idee.
L’Antiquarium e la disgrazia
Poi, però, tutto cadde in disgrazia. Con l’Unità d’Italia e i forsennati scavi per la creazione della capitale d’Italia, si pensò ad un Antiquarium che potesse accogliere i tanti reperti venuti copiosamente in luce. Non pensate, però, a reperti di serie A. Secondo la mentalità dell’epoca, infatti, i reperti, quelli “belli” (le sculture) andavano dritti ai Capitolini. Tutto il resto (vasi, tubi dell’acqua, arredo fittile eccetera) essendo ritenuto meno bello e, quindi, di serie B andava messo altrove. Ecco, quindi, l’idea dell’Antiquarium.

Un posto che a vederlo dalle poche foto in circolazione appare semplicemente magnifico e, però, anche lui, ha subito la ‘disgrazia’ del Celio. No, non c’è nessuna maledizione, figuratevi. Ci si è messa di mezzo la statica, con lo scavo delle gallerie della metropolitana, che ha fatto franare la pendice del colle verso via di San Gregorio. E poi ovviamente, il retaggio della memoria fascista dietro a quei muri di fine Ottocento, per cui l’edificio è stato lasciato morire senza mai un vero piano di recupero che volesse valorizzarlo.

Ci sono cascata pure io. Quando cominciò a diffondersi la notizia che avevano inaugurato il nuovo museo della Forma Urbis ero sicura che la sede fosse il vecchio Antiquarium. Scrissi addirittura un post ma poi dovetti correggerlo, perché mi ero sbagliata. E così cercai di recuperare raccontando la storia di quel cadavere urbano: trovate tutto in questo mio vecchio post.
Appia, primo miglio
Preso un caffè alla Casina Salvi, ci siamo incamminati verso valle, per raggiungere il parco di Porta Capena e l’inizio della via Appia.

Mi fa piacere ricordare qui che con molti di voi ci siamo conosciuti proprio in occasione delle visite organizzate con il progetto Appia Primo Miglio e, più di recente, in occasione dello scavo Open ARV alle Terme di Caracalla.
Come forse saprete, al tema dell’Appia ho dedicato gran parte delle mie ricerche e una delle più recenti è stata proprio incentrata sulla ricostruzione archeologica del suo tracciato nel tratto iniziale, oggi sepolto. Sapevate che l’Appia giace a circa 8-10 metri di profondità nel punto in cui sorge oggi il “rudere” di Porta Capena?
Il motivo ha a che fare con le caratteristiche geomorfologiche del paesaggio: pendici del Celio e dell’Aventino, zona di fondovalle, per giunta ricchissima di acque sotterranee. Per tutto il medioevo e il rinascimento questa zona, infatti, si è impaludata spesso creando non pochi problemi. Vi lascio qui il link alla conferenza del 20 maggio 2025 al Museo Ninfeo sugli scavi alle Terme di Caracalla nella quale racconto proprio questo paesaggio.
Il rudere presso il quale ci siamo fermati, quindi, sarebbe quel che resta di una vecchia Osteria (l’osteria di Porta Capena) allestita a inizio Novecento nei resti di una precedente torretta medievale, costruita sui resti delle mura ‘Serviane’ e usata per lungo tempo come alloggio e fienile, quando qui si estendeva la vigna dei monaci di San Gregorio.

L’esistenza delle Mura e dell’apertura forse compatibile con porta Capena fu accertata dall’archeologo inglese John Henry Parker a partire dal 1868, attraverso dei saggi di scavo: una storia alla quale dedicherò presto un focus qui e su YouTube. Nel frattempo, potete recuperare una mia breve storia archeologica del contesto in questo articolo.
Terme di Caracalla, un aggiornamento dopo gli scavi ARV 2022
Abbiamo allora attraversato l’arteria pericolosissima di Viale delle Terme di Caracalla, con la consapevolezza che il tratto est corrisponde probabilmente alla via Appia imperiale, mentre quello ovest all’asse traslato nel medioevo della Via Nova severiana (cliccate di nuovo qui per recuperare il video sul convegno al Museo Ninfeo e ascoltate l’intervento di Daniele Manacorda).
Ci siamo fermati sul prato situato alla base delle Terme, dove ancora oggi si allineano le tabernae severiane e dove nel 2022 è stato aperto lo scavo archeologico condotto insieme dalla Soprintendenza Speciale e l’Università di Roma Tre; è stato un approfondimento molto rapido, mirato a chiarire la situazione della viabilità, per il quale io ho curato il progetto di Archeologia Pubblica. In sintesi, qui passava la via Nova severiana e ancora nel X secolo un vicolo ne ricalcava, a quota più alta, il tracciato.

Per tutte le altre novità tornate al link che ho inserito sopra e recuperate tutta la conferenza organizzata al Museo Ninfeo sui risultati degli scavi: vi piacerà !
La mostra Immaginare Roma
Siamo quindi entrati alle Terme, puntando dritto alla mostra sui disegni, direi archeologici, di Francesco Corni.

Sembra che Francesco Corni disegnasse con la Bic. Nella vita ha ritratto quasi tutta Roma antica, usando la tecnica dell’assonometria a tratto. Si tratta di un modo di rappresentare le architetture antiche molto in voga nel mondo dell’archeologia, è lo stile prediletto di Cairoli Giuliani e Carla Maria Amici, ad esempio.
Cito questi maestri perché io stessa mi sono appassionata al Rilievo in ambito archeologico proprio a partire dai prodotti grafici che trovavo nei libri di testo. Poi sono passati vent’anni e il 3D ha preso il sopravvento, potenziando, da un lato, la rapidità e la completezza dell’informazione metrica e visuale, e allontanando (secondo me), dall’altro, il fruitore dalla comprensione e dall’esperienza dall’oggetto grafico rappresentato.
Appena entrati nella prima delle due sale nelle quali è allestita la mostra, ci siamo subito sparpagliati tra i disegni, per poi ricongiungerci di fronte a questo o quel soggetto. Veniva istintivo spiegare, riconoscere, ricordare, associare, capire. Il tutto davanti a una semplice superficie bianca disegnata a tratti neri.

Davanti a ogni disegno ci si potrebbe trascorrere decine di minuti, perdendosi nel mondo che si comincia inevitabilmente ad animare davanti agli occhi. Chiaro, è un disegno misurato, basato sulle reali proporzioni degli edifici, ma non è stratificato, né spiega lo stato attuale delle architetture ritratte.
Semmai, è un focus sul progetto, o su un momento in particolare: il cantiere della cupola del Pantheon secondo una delle teorie in campo; la lunga vita del portico d’Ottavia; la costruzione del Colosseo. Anzi, quelle del Colosseo vi sembreranno familiari.

Sta di fatto che è un disegno altamente comunicativo. È esplicito. spiega senza parole, senza device, senza occhiali speciali, non si inceppa, non vi chiedere di saper spingere tasti. È lì. E vi comunica qualcosa.
Con questo non voglio demonizzare l’avanzamento tecnologico, ma considerando quanto effimera e quanto costosa sia l’esperienza virtuale, specie se diffusa come una sovrattassa sulla comprensione dei contesti, penso che abbandonando il disegno al tratto abbiamo tutti perso qualcosa.

Ci siamo tutti inevitabilmente allontanati dal passato rendendo ancora più classista e ingiustamente selettivo il nostro modo di comunicarlo al mondo. Dico “nostro” e non so perché mi ci metto anche io, che non prendo decisioni, semmai, come tutti voi, le subisco.
Ma ecco, non posso nascondervi che di fronte a quei disegni al tratto ho realizzato che questa corsa “in avanti” ci ha fatto perdere parecchi pezzi per strada. Certo, vuoi mettere visitare la Domus Aurea senza il superbo 3D di Katatexilus? No, non si capisce niente. Eppure, sono convinta che i disegni di Corni (o nello stesso stile) avrebbero dato un senso chiaro e semplice a quelle architetture senza dove patire chiusure o interruzioni del servizio per guasto.
Stiamo disimparando a leggere le architetture, stiamo disimparando a interagire autonomamente con le vestigia del passato, per come io vedo che sta andando il rapporto tra noi e l’antico, per lo meno a Roma. A voi non pare ?

Ecco, penso che Francesco Corni, con il suo lavoro, per altro scaricabile gratuitamente sul sito web dedicato, ci ha lasciato una preziosa e inossidabile eredità, un patrimonio informativo che, per quanto filtrato dal suo sguardo, ci restituisce i luoghi con tutta la loro anima. Ci restituisce contesti urbani in un colpo d’occhio.
Ripeto, ok, non c’è stratificazione delle fasi storiche, ma tanto quelle ce le scordiamo pure nel 3D: è il risultato più difficile da ottenere con le animazioni, tanto è vero che sono molto più comuni le rappresentazioni dello “stato di fatto”. Fateci caso.
Il mio consiglio è di scaricare le immagini, plastificarle e usarle nelle vostre sessioni didattiche, a scuola, in giro con i gruppi, tornarci di tanto in tanto per immagine un po’ come doveva essere costruire quelle possenti architetture, passarci accanto, viverci dentro.
Guardando gli edifici del Campo Marzio avrete una rivelazione: finalmente capirete il perché di tante corrispondenze urbanistiche. Ritroverete il senso di molti allineamenti e di strane curve che le strade descrivono. È tutto potrà venire con voi, perfino in formato cartaceo. Senza device. Senza interferenze.
Voi e Roma, con gli occhi di Francesco Corni, che non ringrazierò mai abbastanza per aver disegnato così bene e così tanto Roma antica.

La mostra dura fino al 19 ottobre ed è ospitata in due ambienti della Palestra Occidentale. L’allestimento è semplice e accogliente, anche per l’incredibile opportunità di alzare gli occhi e trovarsi sotto una volta cementizia del 216. Vale davvero la pena di farci un salto e di prendersi un giusto tempo per ricostruire un rapporto visivo con la città, che io stessa trovo ormai sempre più difficile da cogliere nella sua interezza e specificità.
Ringraziamenti
Ecco alla conclusione, l’ho fatta un po’ lunga ma mi sembrava utile condensare tutto in un unico post. Spero abbiate trovato il focus interessante e spero che gli articoli e le risorse video che ho linkato vi siano di aiuto per i vostri approfondimenti.
E spero che troviate il modo di visitare la mostra o di scaricare i disegni esplorando la pagina web: la trovate a questo link.
In conclusione, desidero ringraziare chi della community ha trovato il tempo di venire all’ happening : Fabiola, Alessia, Antonella e Riccardo e poi Valeria, che ci ha raggiunti. È stato bello condividere queste emozioni sotto la pioggia insieme. Vi sono grata per il vostro tempo e la vostra energia.

Per ora mi fermo qui e ci rivediamo presto! Ciao, Valeria
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1 pensiero su “Dalla Casina del Salvi alle Terme di Caracalla + la mostra di Francesco Corni”