Si può davvero riassumere la storia del mondo attraverso dieci scoperte? E quali scoperte descrivono quale Archeologia in quale momento storico? Andrea Augenti, archeologo, medievista, autore di alcune delle pagine più importanti per la ricerca storico-archeologica su Roma medievale, ce lo racconta brillantemente in questo piccolo ma importante libro, che nasce da un programma radiofonico.
Ve ne parlo in questo post!
“Dalla terra alla Storia”
Il libro A come archeologia. 10 grandi scoperte per ricostruire la Storia (Carocci 2018) nasce, come spiega l’autore nell’introduzione, da un programma radiofonico da lui scritto e condotto su Radio Tre, dal titolo “Dalla terra alla storia”. Il programma è andato in onda tra giugno e agosto 2017, il libro è quindi venuto subito dopo.

Già il titolo ci fa comprendere quale sia la matrice dalla quale è nato Augenti: l’archeologia contestuale, globale e stratigrafica. Ma se ciò non bastasse, la conferma la si troverà nell’indice e, di conseguenza, nell’approccio e nel linguaggio adottati nel racconto delle dieci scoperte.
Un archeologo che abbia abbracciato la rivoluzione stratigrafica, accesa in Italia da una scintilla di Andrea Carandini negli anni ‘60, si riconosce tra un milione. Il perché è presto detto: parla di strati, di ceramica, di durata, di contesto e di metodi. E di persone.
Questo libro, quindi, è molto valido per conoscere la storia di alcune delle principali scoperte archeologiche mondiali, proprio per come è stato strutturato e per il linguaggio che usa, semplice ma azzeccato, esatto, che inevitabilmente tradisce la solida formazione metodologica dell’autore.
Archeologia e fascino, emozioni e pericoli
Il libro consta di 167 pagine di testo, 22 figure e il formato è più piccolo di un A5: un tascabile perfetto. La lettura è al contempo lieve, piacevole e illuminante. E sì, si può essere illuminanti anche in sole 167 pagine di un libro divulgativo, dove la chiave, per me, sta tutta nella costruzione dell’indice e nell’uso di un linguaggio adeguato, espressione di un certo approccio disciplinare.
Nell’Introduzione, Augenti spiega che cosa rende tanto affascinante il mestiere dell’archeologo portando il caso dell’impennata delle iscrizioni alla facoltà di Archeologia a Melbourne dopo l’uscita della saga di Indiana Jones e vari casi di uso di effigi e simboli del passato per campagne pubblicitarie moderne.
Il motivo è uno solo, sempre lo stesso: l’enorme fascino che sprigionano l’archeologia e la figura dell’archeologo.
Tuttavia, il fascino è un territorio pericoloso perché è legato alle emozioni: è una faccenda viscerale, quindi non lascia spazio per le spiegazioni e spesso si fonda su stereotipi ed equivoci, travisamenti.
Ma come precisa poi l’autore, il lavoro dell’archeologo si svolge in biblioteca, in laboratorio e sul campo e dunque è la ricerca il vero ingrediente del fascino legato a questo mestiere.

D’altronde di questo ne avevamo parlato anche in uno dei miei primissimi post sul tema “che cosa è l’archeologia”, al quale rimando per trovare ulteriori spunti su questo affascinante argomento.
La storia del mondo in 10 scoperte
È indubbio che dalle dieci scoperte messe in fila da Augenti viene fuori una certa Storia dell’umanità e dell’archeologia. E per questo amo la sequenza proposta: mi ci riconosco pienamente.
Vi svelerò qui l’elenco e qualche chiave di lettura, ma il piacere, credetemi, sarà tutto vostro nel trascorrere qualche giorno immersi in questo viaggio nel tempo.
Esatto, quello che traccia Augenti è un viaggio.
, tra Africa, Asia ed Europa. Un viaggio nei secoli, tra fatti storici ed eventi metodologici. Un viaggio nel mestiere dell’archeologo, un mestiere sempre affascinante ma molto diverso al variare dei luoghi e dei secoli in cui è stato praticato.
Il fatto è che quando si ha a che fare con gli aspetti culturali di una civiltà, anche i vari responsabili di grandi scoperte hanno, con la loro cultura e il loro approccio, influenzato le scoperte stesse. Per questo, nei decenni, l’archeologia ha cercato sempre più la strada della scienza, ricorrendo a procedure sistematiche, protocolli e analisi scientifiche.
E in questo libro, seppur in poche pagine, ritroverete tutto il bello e il brutto del mettere mano a un patrimonio universale inseguendo ora un’ossessione (come fece Schliemann con Troia) oppure una rivoluzionaria domanda storica (come fece Carandini a Settefinestre).
E allora, vediamole brevemente queste scoperte.
Vi svelo l’indice
- L’alba dell’uomo: Lucy
- La mummia venuta dal ghiaccio: Ötzi
- Scoprire una civiltà: Ebla
- Archeologia del mito: Troia
- Storia di tre uomini e due zanzare: Tutankhamon
- I custodi dell’imperatore: l’esercito di terracotta di XI’an
- Nel cuore dell’economia romana: la villa di Settefinestre
- Nascita, vita e trasformazione di un monumento antico: la Cripta di Balbo
- Alle origini della Francia: la tomba di Childerico
- Tutankhamon in Gran Bretagna: la tomba di Sutton Hoo
Pensieri sparsi di una lettrice archeologa
Già solo a riscrivere l’indice la mia mente è tornata con emozione a quelle terre e a quei sudori, che nel libro di Augenti percepite tutti.
La maestria dell’autore sta in questa scelta “del tutto arbitraria”, come dice lui stesso, e totalmente azzeccata: si va in lungo e in largo tra i continenti e i metodi, tra la metà dell’Ottocento e gli anni 80 del Novecento.
– Lucy
Lucy è la nostra antenata e le siamo tutti, penso, molto affezionati. Le circostanze di quella scoperta sembrano quelle di una sceneggiatura hollywoodiana. L’archeologo americano giovane che dà un calcio a un mucchio di sassi e trova il corpo sparso dell’australopiteco afarensis.
Già, perché stavano a 40 gradi all’ombra nella regione dell’Afar. Roba che oggi – aggiungo polemicamente io – una scoperta del genere sarebbe accolta da una classe dirigente repellente all’africano. Fortuna che, invece, la scoperta dell’anello mancante sia avvenuta nel 1974, in un clima diverso. Il giovane paleontologo americano Donald Johanson la chiamò Lucy in onore della celebre canzone dei Beatles Lucy in the sky with diamonds, che risuonava nel campo base.
Altrimenti il suo nome tecnico sarebbe stato “AL 288”. Afar Locality 288. Lo sapevate ?

– Ötzi
Sto andando a memoria, per scrivere questo post. Voglio dire che vi sto comunicando quello che mi è evidentemente rimasto impresso di ogni scoperta che ho letto. Parliamo di Ötzi.
Della sua scoperta è memorabile la casualità. Due alpinisti in giro per le montagne che pensano si tratti dello zaino abbandonato di un altro alpinista. Poi di un cadavere di un alpinista. E quindi lo toccano, “inquinano” il contesto, dopo non si sa quanti altri prima.

Qui, nel 1991, c’era già stato passaggio. E per la prima volta, nel 1991, allo stesso tempo si fa una scoperta eccezionale e la si viola con lo stesso entusiasmo. Solo nel 1998 il corpo di questo cacciatore ribattezzato con il nome delle montagne dove è morto, probabilmente cacciando, giungerà a Bolzano, dove giace tuttora, al sicuro.
E qui mi inserisco io.
Quale è il problema procurato dalla curiosità che fa “smucinare” i corpi/reperti ? Che poi non si capisce più l’ordine delle cose. Nel caso di Ötzi questo ha significato che non si sa ancora bene se gli oggetti trovati attorno a lui fossero parte di un corredo funerario oppure della sua dotazione personale di cacciatore. Questo cambia molto le cose, perché quando si tratta di sepoltura, quindi di ritualità, tutto si fa più complesso, delicato, profondo.
Dunque se vi capitasse mai di individuare un reperto lasciatelo stare, non lo toccate. Come fosse un cadavere fresco. Semmai, chiamate le autorità e saranno gli archeologi a toccarlo, sapendo dove mettere le mani.
E se state ripensando a tutti i casi in cui i reperti sono stati “recuperati” da privati cittadini (ad esempio i famosi bronzi di Riace), beh, sappiate che sì, i Musei avranno dei nuovi meravigliosi pezzi da esporre, ma la loro storia sarà compromessa per sempre e quel che si dirà somiglierà molto più a una storia vaga (come quella dei Bronzi di Riace, appunto).
– Ebla
Ebla. Una storia talmente remota che quando all’università ebbi la fortuna di studiarla, mi sembrava quasi onirica. A Ebla c’era una civiltà potente e avanzatissima. C’erano archivi con tavolette in un alfabeto cuneiforme mai conosciuto prima. C’erano quaranta chili di lapislazzuli nel palazzo.
E di quei lapislazzuli ebbi la fortuna di ascoltare il racconto della scoperta dalla viva voce di Paolo Matthiae, l’archeologo che a vent’anni andò in Siria, ad Aleppo a cambiare il corso degli studi sul Vicino Oriente antico.

Già, un poco più che ventenne che – come ci racconta Augenti – nel 1962 arriva ad Aleppo (tipico scenario da scoperta archeologica ammantata di mistero), visita il locale museo archeologico e ha un’intuizione semplicemente guardando un reperto in una teca.
“Semplicemente” lo dico io come un eufemismo, perché intuizioni del genere non vengono certo a tutti. Ebbene, quel giovanissimo archeologo parte da lì per andare a scavare a Tell Mardikh, scoprendo una città fiorita quattromila anni prima, potentissima, con una storia movimentata e complessa.
Quando oggi sento nominare Aleppo al telegiornale mi viene un gruppo in gola, ripensando a quelle ricerche, a quella storia di sviluppo, intraprendenza, potere, a quegli spazi immensi oggi martoriati.
– Troia
E Troia? sono certa che vi sta venendo in mente la famosa fotografia che ritrae la moglie di Schliemann adorna di magnifici gioielli, il “tesoro” di Priamo. Bene, l’immagine è azzeccata, ma la storia è un po’ più complessa.

Come comprenderete dalle pagine di Augenti, quella di Schliemann è stata prima di tutto una grande ossessione. L’ossessione di un bambino curioso e fantasioso cresciuto con il mito di Troia e dei suoi protagonisti.
Per tutta la vita ha cercato di raggiungere una posizione economica agiata con l’obiettivo di poter finalmente mettere le mani nel terreno e “tirare fuori”, letteralmente come un cane fa con l’osso, la “propria” idea di Troia.
E lo ha fatto senza competenze, senza mezzi adeguati, senza un valido approccio. A un certo punto si fa quanto meno coadiuvare da archeologi professionisti (siamo alla fine dell’Ottocento), ma in parte il danno era fatto. E quel tesoro con cui ha addobbato la moglie, forse non è mai nemmeno esistito…
– Tutankhamon
E andiamo avanti con le altre velocemente. Tutankhamon rappresenta probabilmente la più emozionante scoperta, per ogni archeologo. La località esotica, i remoti e affascinanti egizi, la piramide che nasconde qualcosa di inaspettato… tutto vero, verissimo.

Ma per fortuna qui c’è stata l’illuminazione del ricco Lord che ha pagato l’impresa di un altro ventenne sfacciatamente fortunato, Howard Carter. Quel Lord ha intuito che era necessario documentare i reperti trovati nella tomba del giovane faraone. E così chiama un abile fotografo del MET di New York (ovviamente fiutando l’affare in fatto di pubblicità e promettendo lo scoop al Times).
E sapreste dirmi che cosa hanno in comune Tutankhamon e Downton Abbey? Io non ve lo dirò, ma la risposta è nel libro!
– L’esercito di terracotta
Quanto all’esercito di terracotta scoperto in Cina, beh, confesso che non ho potuto fare a meno di pensare ai fratelli Sassi e alla fortuita scoperta del sepolcro degli Scipioni al primo miglio della via Appia.
Non ci crederete, ma anche in Cina c’è di mezzo lo scavo di un pozzo e la scoperta fortuita del più grande monumento funerario della storia, dove un intero esercito è stato riprodotto in terracotta per accompagnare il suo sovrano all’altro mondo.
– Settima e ottava
La genialità di Augenti viene fuori alle scoperte numero 7 e 8. Di tutte quelle che avrebbe potuto citare, queste due forse non sarebbero venute in mente proprio a tutti. Anzi, sono casi di rilevanza internazionale, certo, ma anche molto nostrani.
Ebbene, qui, secondo me, c’è tutto il pregio dell’autore. Su dieci, due scoperte sono un vero e proprio investimento nel comunicare un preciso approccio e una precisa faccia dell’archeologia: quella stratigrafica, dalla quale deriva anche la sua matrice.
E anche la mia, per questo provo un senso di profonda gratitudine per Andrea, che ha scelto di osare tanto per far arrivare alle orecchie dei suoi ascoltatori (con il podcast) e agli occhi dei suoi lettori un messaggio molto importante per la conoscenza della storia dell’archeologia: dopo gli scavi a Settefinestre e poi a Cripta Balbi l’archeologia italiana, e mondiale, non è più stata la stessa.
Carandini, negli anni ‘60, in piena contestazione, ha posto per la prima volta in Italia una domanda storica nuova, che ha ribaltato la prospettiva. E la risposta a quella domanda indovinate dove è andato a cercarla? In mezzo alla terra, fra i cocci, quando tutti ancora pensavano che l’archeologia più nobile coincidesse con l’arte classica, elegante e marmorea.

Ma quale fetta di quale società si raccontava da secoli a quella maniera? Ecco, pensate un po’, un uomo aristocratico fin nelle midolla come Carandini ha rivoluzionato il modo di concepire la ricerca storica, il ruolo dell’archeologo e il modo di esserlo.
Per inciso, vi consiglio di leggere tutti i suoi i libri, ma in modo particolare “Giornale di scavo”, edito da Einaudi nel 2000. Non è l’unico archeologo ad aver scritto pensieri sparsi sulla sua professione, ma per l’importanza che ha avuto nella rivoluzione metodologica (una rivoluzione che purtroppo non ha ottenuto i risultati sperati, secondo me) i suoi pensieri sono particolarmente significativi. E veri.
Per ciò quando nei miei video o post vi dico che Carandini è un personaggio fuori dal comune è appunto perché ha saputo uscire dalla sua zona di sicurezza e ha guidato un enorme cambiamento anche nella formazione accademica. Si questo punto Augenti, infatti, insiste.
E per Daniele Manacorda, suo primo allievo, vale lo stesso discorso, con alcune ulteriori sfumature. Manacorda ha introdotto a Roma, per la prima volta, il concetto di Archeologia Urbana, ideando e praticando lo scavo nell’isolato di via delle Botteghe Oscure.
Dopo venti anni di scavi, un museo (ora purtroppo chiuso da due anni) e molte pubblicazioni sia scientifiche che divulgative, ha portato sulla scrivania dell’archeologo, e della comunità, tanti nuovi strumenti concettuali, ma soprattutto una nuova ottica.

Ed è da lui che abbiamo imparato che l’archeologia non è propriamente una disciplina, bensì uno stato mentale, una lente attraverso guardare le cose, per cui archeologico non è il reperto lontano nel tempo – l’antico vaso – ma il modo e gli approcci con cui noi lo analizziamo. E così, anche una vita recente, vicina a noi, può essere vista ed esaminata con approccio archeologico. Per questo leggeremo insieme il suo Prima lezione di archeologia (Laterza 2004) il prossimo 7 febbraio su Instagram.
Vogliate scusarmi se mi sono inserita nel discorso, prendendomi uno spazio forse troppo ampio. Ma per me fare scuola con un personaggio come Manacorda ha significato acquisire una visione totalmente nuova, della quale, oggi, non saprei fare a meno.
– Medioevo, per finire
Sulle ultime due scoperte, l’autore si rivela un inguaribile appassionato della sua specifica branca. Augenti è un bravissimo medievista e il fatto emerge – almeno ai miei occhi – nella lunga e dettagliata descrizione che riserva agli ultimi due contesti.
Di fatto, la scoperta della tomba di Childerico in Francia ha segnato la nascita dell’archeologia merovingia, e la scoperta della necropoli di Sutton Hoo rappresenta tuttora il luogo prediletto per l’analisi e la conoscenza dell’archeologia funeraria di VII secolo.

E da quante parole spende per farci afferrare al meglio le tante questioni che scoperte del genere hanno sollevato, rende evidente la sua profonda passione per questa pagina della storia dell’uomo.
E lascio a voi tutto il piacere di leggere e comprendere, con il suo aiuto, quante e quali meravigliose informazioni siamo ora in grado di associare all’archeologia medievale europea.
Finale
Il libro di Augenti non ha un finale. Il sipario cala sulla nave vichinga di Sutton Hoo e sulle illuminanti lezioni di vita che l’archeologo Martin Carver, erede delle indagini, ci ha lasciato nei suoi scritti.
Riassume Augenti :
Non si dovrebbe mai scavare un sito in maniera totale […].
È necessario coinvolgere nel processo della ricerca il pubblico, prima tra tutti le comunità che vivono nei luoghi in cui scaviamo […].
E anche in questo caso, direi che la maestria dell’autore sta anche nell’aver scelto un caso esemplare di archeologia, tipicamente anglosassone, nel quale etica e responsabilità vanno di pari passo allo scavo e alla distruzione di testimonianze storiche che, senza alcun dubbio, sono e resteranno universali.
Con questo focus sul libro “A come Archeologia” spero di avervi fatto venire una voglia irresistibile di leggerlo, o magari rileggerlo, o magari anche di recuperare il podcast su Raiplay. Io vi aspetto, come sempre, nei commenti per conoscere i vostri pensieri a riguardo.
Ringrazio la casa editrice Carocci per avermi gentilmente omaggiato il volume e ringrazio voi per avermi seguita fin qui. Al prossimo libro! Valeria
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Grazie Valeria come sempre sicuramente comprerò questo libro perché quando ne descrivi il contenuto già so che mi appassionerà spero solo che sia alla mia portata
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Sono certa che lo troverai alla tua portata e molto interessante ! Ti aprirà nuove porte 🙂
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