#live alla Porticus Aemilia (o Navalia?)

Archeologia pubblica dietro le sbarre🚧

Archeologia pubblica in diretta Instagram a Testaccio

Martedì 28 maggio 2024 ho imparato una lezione: la Community è la tua forza. L’ho imparato arrivando all’appuntamento per la #live da Testaccio e trovando il muro di cui volevo parlare chiuso da una cancellata e quindi inaccessibile.

Lo so, avrei dovuto fare un sopralluogo prima, starete pensando. In verità, no. In questo progetto di archeologia pubblica dal basso, fatta di/con/per la Comunità, reale e virtuale, non si fanno le prove generali ed è sempre buona la prima.

Ci muoviamo per la città, fuori città, tra siti archeologici più o meno noti e qualche volta capita che la loro condizione sia cambiata. Che siano migliorati o, come nel caso di oggi, peggiorati. Ma d’altronde è così, “Muri per tutti” si muove al passo con i tempi e si imbatte nelle bellezze tanto quanto nelle brutture di questo nostro sistema culturale.

E dunque sì, martedì abbiamo trovato i muri dell’edificio noto tradizionalmente come PORTICUS AEMILIA a Testaccio, chiuso dentro a una gabbia. Ma nonostante questa cocente delusione (mi ero già immaginata di chiamare i residenti dal cortile e di invitarli ad affacciarsi al balcone), abbiamo comunque svolto la nostra inarrestabile esplorazione archeologica alla scoperta di una struttura iconica, meravigliosa, poderosa e negletta.

La Community reale alla “Porticus Aemilia” in posa per la foto di rito

E in aggiunta, da dietro alle sbarre, abbandonata alla sporcizia. Per fortuna alcuni studenti di archeologia, immortalati loro malgrado nella nostra diretta, erano alle prese con fettuccia e cordini per redigere un rilievo dell’edificio.

E almeno vederli all’opera, in quella gabbia, ha reso il tutto un pò meno frustrante.

“Attorno alla nuda pietra”

Un libro del 2006 da leggere e rileggere…

Voglio usare le parole dell’archeologa Andreina Ricci per definire quello che, con la Community, abbiamo fatto ieri. Nel suo duro ma poetico libro “Attorno alla nuda pietra” (2006, Donzelli Editore), Ricci offre una lettura critica e lucida del rapporto che abbiamo scelto di (non) instaurare con i ruderi dell’antichità azzerandone il valore sociale e il potere di fascinazione e aggregazione e, al contrario, privilegiandone la funzione di bene da proteggere separandolo dalla sua comunità.

La separazione avviene in tanti modi, il più diffuso è la recinzione. Un dispositivo che, pur eventualmente messo in atto per “proteggere” un bene culturale, finisce, inevitabilmente, per umiliarlo e condurlo alla morte, togliendolo all’uso che la comunità avrebbe potuto farne, anche solo considerandolo parte del proprio quotidiano.

Eccoci con le mani tra le sbarre. De hoc satis.

Ecco, nel caso della “Porticus Aemilia” a Testaccio, non c’è rudere antico che esemplifichi meglio la situazione descritta oramai quasi 20 anni fa da Andreina Ricci. Gli abitanti dell’isolato di via Rubattino/Via Franklin hanno la cresta del più mastodontico edificio in opus incertum della storia di Roma letteralmente dentro casa, ma la percezione che oggi abbiamo avuto del rapporto rudere/comunità/città è ancora una volta legato, semmai, alla segregazione.

Uno scorcio delle strepitose strutture in opera incerta viste da via Franklin

Un orso in gabbia, depresso e maltrattato. Ecco come ci è apparso ieri il muro della “Porticus Aemilia”.

E poi, a me, questa idea che il cittadino vada ammonito con una recinzione che lo tenga a distanza dal bene culturale non ha mai convinto. Anzi, se l’intento è pedagogico temo susciti la reazione opposta a quella desiderata (il rispetto). Io sono per lo sviluppo di metodi di ri-appropriazione del bene culturale che nascano da un amore, da un coinvolgimento personale.

Prima o poi ci arriveremo. E intanto con i nostri sopralluoghi ci stiamo provando.

Muri DI TUTTI

Avrete capito che dietro a “Muri per tutti” c’è un’idea precisa: promuovere in tutti i modi l’incontro e il dialogo tra noi, le nostre esistenze e quotidianità, e i resti materiali del passato sparsi per il mondo romano (mettiamola così). E ogni volta che mi riesce di farvi entrare in contatto mi dico che ne è valsa la pena mollare l’Accademia (per disperazione e sconfitta) per investire in questa nuova avventurosa versione dell’archeologia pubblica.

E l’idea mi è venuta perché credo, da sempre, che il nostro “timore” verso il passato vada superato, affrontandolo a viso aperto, conoscendolo meglio, imparando a leggerlo. Dal mio punto di vista, naturalmente, e quindi attraverso l’analisi dei muri.

E i muri sono di tutti, specie quelli pensati per essere ricordati per sempre (dagli antichi costruttori), e poi riscoperti e integrati nel tessuto urbano (dagli archeologi del primo Novecento), affinché fossero memoria di un passato glorioso.

E noi no, non possiamo, oggi, chiuderli in gabbia e trasformarli in una discarica. Per nessun motivo. Nessuno.

I muri sono di tutti e solo così possono svolgere al meglio la loro funzione di testimonianza del passato e di ponte verso il futuro (altrimenti non ha senso che stiamo qui a parlarne: no, non siamo nostalgici qui).

Porticus Aemilia o Navalia?

Ecco l’edificio tratteggiato a partire dai frammenti della Forma Urbis (in grigio); il fiume è a sinistra (da Coarelli, “Roma”)

Affrontato il tema più scottante (la delusione per il muro in gabbia), passiamo ora alle questioni divertenti. Ho scelto di parlarvi della “Porticus Aemilia” perché costituisce uno dei temi di discussione archeologica più intriganti (per me), dal momento che pone non solo il classico dilemma topografico, ma anche un importante quesito architettonico e costruttivo.

Il mio obiettivo qui è offrirvi una sintesi del problema di interpretazione, condividendo qualche immagine e, soprattutto, la bibliografia, per agevolare un vostro eventuale approfondimento sull’argomento a partire dalle fonti più aggiornate.

Come sempre dico, infatti, se non siete dottorandi o Phd, difficilmente potreste entrare in questi universi chiusi ed esclusivi dove solo gli esperti hanno il privilegio di conoscere il perché quel muro altissimo e bellissimo sia così tanto importante da essere risparmiato dalle novecentesche ruspe urbane e “salvato” nel giardino condominiale di via Rubattino.

Versione breve: il muro che abbiamo esaminato in diretta è stato attribuito per lungo tempo alla Porticus Aemilia, un portico edificato dai censori Lucio Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo nel 193 a.C.

Circa settanta anni dopo è stata messa in campo una nuova ipotesi che ha identificato nell’edificio di Testaccio i Navalia ricordati da Cicerone e legati al nome dell’architetto greco Hermodoros di Salamina, attivo a Roma tra (arrotondando) il 150 e il 145 a.C.

E il problema, tra i tanti, è: se fosse la Porticus Aemilia del 193 a.C., l’edificio costituirebbe il più antico esempio di opus caementicium con rivestimento in opus incertum della storia di Roma. E soprattutto il più grande.

Il paramento in incertum più bello di Roma! In basso, la porzione in sotto squadro è di restauro.

Ma se, invece, fosse da identificare con i Navalia, e quelli di Hermodoros della metà del II secolo a.C. non sarebbe l’esempio più antico, restando comunque sempre l’esempio più eclatante e mastodontico mai visto.

E tuttavia, proprio l’aspetto tecnologico e progettuale andrebbe considerato per bene, non potendo risolversi la sua costruzione in 4-5 anni.

E allora vediamo in estrema sintesi chi ha ipotizzato quale identificazione, quando e perché.

Cioè vediamo la versione lunga della storia.

La Porticus Aemilia (1934)

I frammenti della Forma Urbis sui quali è inciso l’edificio di Testaccio

Dobbiamo all’archeologo Gugliemo Gatti l’intuizione che alcuni frammenti della Forma Urbis (23 e 24 a-c, oggi al Museo della Forma Urbis al Celio), sui quali era rappresentato un grande edificio rettangolare con pilastri, andassero spostati nell’area del Testaccio, lungo la riva del fiume. In origine erano stati piazzati in Campo Marzio.

A Testaccio, infatti, si conservavano i resti di una gigantesca costruzione di età romana in opera incerta (chiamiamola così per brevità), il cui aspetto, però, era palesemente cambiato per via degli usi successivi. In ogni caso, l’altra intuizione di Gatti – una volta “spostati” i frammenti della FUR dall’area del Campo Marzio al Testaccio – fu quella di identificare l’edificio con la Porticus Aemilia.

Su uno dei frammenti della pianta marmorea severiana, infatti, campeggiano tre lettere

-L I A

nella porzione sinistra dell’edificio. E così Gatti pensò bene di integrarla con (PORTICVS AEMI)LIA.

Essendo un archeologo in forze nella Soprintendenza, ebbe l’agio di aprire dei saggi di scavo nell’edificio, documentando alcune caratteristiche costruttive e segnandole sui suoi famosi (e da noi archeologi amatissimi) taccuini, sebbene in maniera non esplicita.

Tali annotazioni, però, furono solo parzialmente valorizzate fino al successivo studio del 2006, di cui ora vi dirò.

Concludo questo primo segmento della storia, riportando che la Porticus Aemilia è ricordata da Tito Livio: fu costruita dai censori Lucio Emilio Paolo e Lucio Emilio Lepido nel 193 a.C., in concomitanza con le strutture del nuovo porto (Emporium). Sempre Livio, poi, riporta un “restauro” o “ricostruzione” dell’edificio vent’anni dopo, nel 174 a.C.

Navalia (2006)

E fin qui, tutto sembrava filare liscio.

Per decenni la Porticus Aemilia ha occupato pagine e pagine di libri di architettura, di tecniche costruttive, di topografia e di storia, per la sua importanza: il più grande e più antico edificio in opera cementizia con rivestimento in opera incerta conservato a Roma, datato all’anno e ancora conservato.

Però.

Nel 2006 gli archeologi Lucos Cozza (il mio preferito!) e Pier Luigi Tucci, lanciano una rilettura dell’edificio: i resti andrebbero identificati con i Navalia, il luogo deputato a contenere la muta di navi della flotta romana.

Panico.

Voglio riportare qui le parole che Lucos Cozza scrive nell’incipit dell’articolo scientifico, scritto a quattro mani con Tucci, nel quale è condensata tutta la sua geniale umiltà e prodigiosa intelligenza (edito nella rivista Archeologia Classica, 57, 2006, pp. 175-202).

Cozza, per inciso, era un uomo totalmente immerso nella stratificazione di Roma, era un profondo conoscitore della storia della città da tutti i punti di vista e aveva una cultura letteraria vastissima. E una fornitissima biblioteca domestica.

Indimenticabile : Lucos Cozza che osserva la sua intuizione (da Cozza, Tucci 2006)

Leggete come nasce la sua intuizione.

(cito dall’articolo del 2006)

Consultando un libro del 1905 sulla navigazione interna italiana (Notizie raccolte dagli Ingegneri del Genio Civile Luigi Cozza e Giovanni Grillo della Berta: laghi, fiumi e canali navigabili), il nome di Luigi Cozza (1867-1955), padre di mio zio Alessandro Cozza, mi ha subito spinto a leggere il suo testo sul Tevere e a pagina 90 ho trovato lo spunto:

“Le opere eseguite dai Papi per il miglioramento della navigabilità, si limitarono ai cosiddetti Porti di Ripagrande e di Ripetta. Il primo fatto eseguire nel 1692 da Innocenzo XII, quasi di fronte all’antico luogo di approdo costruito dai Romani nel sito detto Navalia oggi Marmorata”.

E già qui capite che quando vi dico che è leggendo altro che vengono le migliori idee, è perché conosco storie come questa.

E poi capite quanto, certe volte, certe intuizioni sono quasi scritte nel destino familiare e si tramandano tra discendenti. O se non altro, in casa si hanno i libri nei quali riceverle.

Ma il bello deve ancora venire. Ora capirete chi era Lucos.

(cito ancora dall’articolo)

“Subito c’è stata una forte attrazione: la parola Navalia mi ha immediatamente portato alle lettere -LIA finali di un nome inciso su un frammento della Pianta Marmorea.”

Così, senza girarci intorno. Dritto al punto.

Poi nell’articolo, che vi invito a leggere (ve lo lascio in fondo al post), Cozza prosegue la riflessione spiegando che ha proceduto a raccogliere tutte le testimonianze espresse in merito, tra le quali quella di Steven L. Tuck, che proponeva di integrare le tre lettere con (horrea Corne)LIA, riferendosi a un edificio ad opera di Silla, degli inizi del I secolo a.C.

Ma Cozza non è convinto che sia condivisibile, per una serie di ragioni, che elenca (e in effetti non regge, specie per la tecnica costruttiva). Inoltre – aggiunge Cozza – un altro gigante dell’interpretazione della Pianta Marmorea, Rodriguez Almeida, con la luce radente sulla lastra aveva verificato che le tre lettere erano precedute da un’asta obliqua.

Un dettaglio dei frammenti della FUR, per guardare meglio il complesso

Ok, ora visualizzate le tre lettere -L I A.

Anteponete un’asta obliqua… quale lettera state visualizzando ? Forse una A ? E quindi la sequenza sarebbe -A L I A ?

Esatto. Però Rodriguez Almeida non se la sentì di smentire un gigante come Guglielmo Gatti (e lo capisco) e dunque confermò la sua lettura: (Aem)ILIA.

Lucos Cozza, invece, in quelle tre lettere precedute da un’altra lettera con asta obliqua, legge il nome (nav)ALIA. E di questa storia io ricorderò soprattutto l’assist del parente defunto, che dalle pagine di un libro gli suggerì quale fosse la X dove “scavare” (per citare l’indimenticabile scena di Indiana Jones e l’ultima crociata).

E quindi, il muro a Testaccio?

Sulla scorta dell’intuizione di Lucos Cozza, l’archeologo Pier Luigi Tucci offre ai lettori la sua rilettura archeologica del muro testaccino, partendo dalle lettere incise sulla Forma Urbis per poi passare all’analisi formale e strutturale dell’edificio di cui faceva parte.

Naturalmente, Tucci ha ripreso in esame anche i taccuini di Gatti che, dovete sapere, sono magici: ogni volta che li sfogli ci leggi qualcosa di nuovo.

E Tucci ci ha trovato molti più elementi a sostegno della propria ipotesi sui Navalia di quanti non ne avesse esplicitati lo stesso Gatti nella sua ipotesi/Porticus Aemilia.

Ora, senza farla troppo lunga (tanto vi ho linkato l’articolo completo) voglio dirvi questo :

  • L’asta inclinata della lettera vista a luce radente non è dettaglio da poco
  • La tipologia dell’edificio non ha proprio a che fare con le porticus, non tanto per la dimensione spropositata, quanto per l’articolazione interna dei muri.
  • Le dimensioni (colossali!) farebbero entrare tonde tonde 50 quinqueremi (ricordate dalle fonti nella flotta romana).
  • L’alto muro di fondo era per metà cieco (la porzione oggi sottoterra) e per metà arieggiato da feritoie. E Tucci ne è sicuro perché ne era sicuro Fabretti nel 1680.
  • L’edificio è stratificato. E quindi, dopo la dismissione dell’arsenale (una volta che Roma ha conquistato il Mediterraneo) l’edificio è stato riconvertito e sembra che sia attestata la parola NAVALIA per edifici con funzione commerciale.
  • E non dobbiamo dimenticare che la Forma Urbis è un documento Severiano del 203-211 d.C., quindi parecchio più recente del tempo in cui furono eventualmente costruiti i Navalia.

I numeri

E a proposito delle dimensioni, ecco i numeri dell’edificio:

487 x 60 m

294 “pilastri”

7 file di ambienti

50 vani paralleli larghi 8.30 m

Una questione aperta (?)

Insomma, lo studio di Tucci ha messo insieme l’evidenza materiale, le fonti letterarie e ha offerto una affascinante contestualizzazione storica e funzionale dell’edificio.

Grossomodo il muro di via Rubattino si sviluppava così digradando fino al Tevere (da Cozza, Tucci 2006)

Non dobbiamo però dimenticare che nel suo manuale “l’edilizia nell’antichità” Cairoli Giuliani spende molte e fondamentali parole sulla complessità architettonica e cantieristica dell’edificio e si ipotizza che i vent’anni che intercorrono tra le due date relative alla costruzione e poi alla ricostruzione della Porticus Aemilia siano stati necessari al completamento dell’opera.

Ecco, abbiamo appena detto che potevano essere i Navalia del 150-145 aC. Ma questo cambierebbe le cose dal punto di vista costruttivo ? Cioè, improvvisamente non sono più necessari vent’anni al tiraggio completo delle malte in quest’opera cementizia mastodontica ?

Vi risparmio, poi, le polemiche suscitate dall’articolo di Cozza e Tucci che qui vi ho sintetizzato e le riprese della discussione.

Resta il fatto che quel muro in via Rubattino è strepitoso, bellissimo e porta con sé ancora molte domande. E speriamo anche che venga restituito al godimento collettivo delle sue tenacissime murature.

La suggestione (potentissima) di Lucos Cozza e Pier Luigi Tucci sulla funzione dell’edificio a Testaccio (da Cozza, Tucci 2006)

The power of Community

In conclusione, voglio ringraziare di cuore tutti i presenti alla #live.

In primis coloro che si sono connessi da casa e hanno avuto la pazienza di ascoltarci nonostante le difficoltà logistiche e la distanza, che certamente non aiuta.

E ovviamente anche gli audaci che sono venuti a via Rubattino per condividere il caldo, la delusione e le gioie della ri-scoperta del muro più famoso di Testaccio: Alessia, Fabiola, Silvia, Valeria e Dario.

Un ringraziamento speciale va alla signora Gina (nome di fantasia) che al bar di Testaccio, dopo la Live, ci ha ringraziati, commossa, per quanto aveva potuto ascoltare affacciata al suo balcone.

Voi tutti siete l’orgoglio dell’archeologia pubblica 💜

Una Community connessa e solidale (facendo ombra sul tablet per poter mostrare le immagini a chi era a casa)

Risorse

E ora, gettatevi senza tema nella travolgente storia dei Navalia 💫 (e ringrazio Alessandro aka @Aloarcheo, lui sa perché).

Al prossimo muro !

P.S.: le foto fatte sul campo sono opera e patrimonio della Community

P.P.S.: le foto dell’edificio e dei paramenti purtroppo sono poche perché il cancello era chiuso.

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