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Opus Reticulatum. Tessere o cubilia? Facciamo il punto sul lessico.

Un tema specialistico? Sì, ma neanche troppo#

Per parlare di reticolato, eccovi un bel muro del teatro di Pompeo a Roma (55 a.C.)

Su questo tema non mi dilungo, essendo l’argomento iper tecnico. Mi piace però l’idea di portarlo al grande pubblico offrendo anche una mini bibliografia a chi desiderasse approfondirlo. D’altronde, non è questo un blog intitolato “Muri per tutti”? E allora andiamo alla scoperta del perché esiste questa discussione lessicale. 

Non solo lessico

Ecco l’immagine che ho in mente quando penso alla discussione lessicale sul reticolato (bellissima immagine dal sito la bussola dell’innovazione)

Quasi mai è (solo) una questione di lessico, in qualsiasi disciplina. La questione del lessico è, in fondo, un po’ come la punta di un iceberg: veleggia in mare aperto nascondendo negli abissi una radice profondissima e antica. Ecco, sul tema cubilia/tessere siamo all’incirca di fronte alla stessa evidenza. Già, perché l’uso dell’uno o l’altro termine porta con sé differenti approcci e metodi applicati all’evidenza materiale all’atto di interrogarla in prospettiva archeologica. 

Come sapete, la mia missione è ambiziosa: sto lavorando con voi e per voi, con l’obiettivo di aprire le porte dell’archeologia al più vasto pubblico, letteralmente evadendo dalle costrizioni imposte dalle aule universitarie e portando fuori dalle sale studio accademiche le novità e gli aggiornamenti della ricerca. Nella mia testa, questa è una (seppur minuscola) rivoluzione culturale che non può che partire dal basso per poter essere utile ed efficace.

Divulgazione: chi potrebbe farla e perché 

Proprio lui, il grande Piero Angela, ci ha dato una bella lezione di divulgazione scientifica (il bellissimo ritratto viene dal sito web Focus.it)

Concedetemi una digressione. Questa cosa qua alcuni la chiamano divulgazione; altri la chiamano archeologia pubblica. Tra i primi, alcuni pensano che la divulgazione sia qualcosa di povero e banale, che nasce da chi poco sa e per questo si rivolge al “volgo”, senza manifestare grandi qualità.

Beh, come avrete capito io non la vedo così. Anzi, tutto il contrario. Comunque la si chiami, questa attività di incessante dialogo con i colleghi, ma soprattutto con i curiosi e gli appassionati, non è una attività che possa nascere dal nulla, né senza molti, moltissimi anni di studio e ricerca. Lo diceva Piero Angela, e lo dicevo anche io prima ancora di sapere che lo avesse detto il grande Piero, il che mi consola assai: per poter semplificare e portare al grande pubblico i grandi temi e i grandi e piccoli problemi dell’archeologia, bisogna averli studiati, a lungo.

E in profondità. Ed è per questa ragione che, trovandomi in questa esatta condizione, mi permetto di farlo e, naturalmente, sarete voi a decidere se sto procedendo bene o meno. E vi invito a domandarvi sempre chi state ascoltando e da dove viene, quale percorso ha fatto e in nome di cosa vi sta proponendo quel dato contenuto. Siete voi i primi a poter operare una selezione delle informazioni: di questo ne avevamo discusso anche con il giovane storico Simone Fleres (@historiarum_cantor) con la sua rubrica #StoriaInLocanda.

Qui trovate l’intervista che mi ha fatto Simone Fleres, a proposito di comunicazione dell’archeologia.

In ogni caso, mi preme ribadire che divulgare è anzitutto instaurare un dialogo paritario con il grande pubblico.

Dialogare, non impartire lezioni.

Ascoltare le risposte alle domande.

Accogliere il dubbio.

Accendere la curiosità.

Provare ogni giorno a soddisfare il desiderio di conoscenza e, al tempo stesso, alimentare la voglia di ampliare gli orizzonti. 

E poi, certo, semplificare temi complessi, per farli arrivare il più lontano possibile. E questo è un lavoro nobile, che meriterebbe tanto sostegno e molto apprezzamento, specialmente da parte delle istituzioni (non mi riferisco a voi che già mi leggete e apprezzate moltissimo!).

Ciò premesso, capirete ora perché il tema di cui accenno in questo breve articolo potrebbe sì, sembrare un tema per specialisti, ma di fatto non lo è. Mi permetto, quindi, di portarlo a conoscenza di tutti, perché sono sicura che molti di voi, che siate archeologi o storici dell’arte, guide o appassionati, vi siete trovati, o vi troverete presto, a raccontare qualche muro in opera reticolata. E come li volete chiamare gli elementi che compongono la tessitura del reticolato?

E qua vi voglio. 

Cubilia o tessere? 

Se parliamo di opus reticulatum, non possiamo ignorare questa fondamentale lettura: Vitruvio, autore cesariano, ci descrive le opere in voga nel suo tempo, tra cui l’opus incertum e il reticulatum.

La scelta tra un vocabolo e l’altro è, di fatto, una vera e propria scelta di campo. L’opzione, infatti, da decenni divide gli archeologi italiani in due fazioni: i sostenitori del termine cubilia da una parte, e coloro che preferiscono invece il termine tessere, due vocaboli che esprimono concetti molti diversi. Vediamo di capirne meglio il senso.

Prendiamo un muro un reticolato, anzi, per meglio dire, in opus reticulatum. Con questa definizione ci riferiamo ad una delle tecniche più famose del mondo romano e precisamente la tecnica costruttiva che ha segnato un’epoca: il passaggio dalla repubblica al principato. Di questo particolare modo di costruire i muri, ve ne ho parlato di recente, sia qui sul blog (qui trovi il mio articolo), sia sul mio Canale YouTube “Archeotube”, dove ho letto per voi alcuni passi del De Architectura di Vitruvio riferiti proprio al paragone tra l’opus incertum e il reticulatum, quest’ultima detta “venustius”, più graziosa.

Ecco il video sul mio canale, nel quale ho letto per voi alcuni passi dell’opera vitruviana sull’opera reticolata.

Nel momento in cui nel mondo romano, intorno alla metà del III secolo a.C., si affina la produzione del conglomerato cementizio, la miscela “magica” che tutto il mondo conosciuto ci ha invidiato per secoli, gli edifici cominciano ad essere confezionati con materiale di dimensione sempre più piccola, tenuta insieme sì dal cementizio, ma anche da una tessitura muraria spesso elaborata.

Secondo Vitruvio, che scrive alla metà del I secolo a.C., ad esempio, i muri in opera incerta sono più resistenti di quelli in opera reticolata, in quanto il perimetro irregolare degli elementi di pietra, lavorava meglio alla tenuta della struttura di quanto non facessero le assise oblique del reticolato, a lungo andare. 

Dal punto di vista lessicale, ‘cubilia’ (solo apparentemente latino) è un termine che tende a valorizzare la sola superficie dell’elemento troncoconico con cui si costruisce un muro in reticolato (o anche in incerto, ma non è regolare la sua forma). È come se il muro lo guardassimo solo in superficie, senza valorizzare la sua tridimensionalità. Un muro dotato di paramenti è un muro tripartito, ci spiega Cairoli Giuliani: due parti sono i paramenti esterni e una parte centrale è la massa cementizia nella quale gli elementi sono inseriti.

Ecco perché sarebbe meglio, senza dubbio, chiamare quegli elementi TESSERE. Il principio è lo stesso che sottende alla posa in opera di un mosaico. Come si chiamano quelli elementi parallelepipedi (ancorché minuti) con cui si realizza un tappeto musivo? Tessere, appunto. Esse affondano nella preparazione in calce che fa da collante. E così funziona, a scala diversa, la messa in opera di un muro in reticolato.

Senza peli sulla lingua, quindi, vi posso dire che chi oggi usa il termine ‘cubiliain sostanza rifiuta (o magari non conosce) le riflessioni scientifiche in materia di archeologia dell’architettura. E qui vi invito a ragionare voi stessi su quale dei due termini adottare d’ora in poi nel vostro frasario.

Un po’ di storia degli studi 

Italo Gismondi (1887-1974) in uno scatto del 1919-20 (dal sito Ostia-antica.org)

Il termine TESSERA lo usava Italo Gismondi nella sua prima e preziosa analisi delle tecniche costruttive di Ostia. Italo Gismondi è stato un personaggio fondamentale nella storia del disegno archeologico e nella storia delle tecniche edilizie del mondo romano. Era un geometra, un “tecnico”, come lo definiremmo oggi in un mondo di iper laureati, ma era un tecnico genuino che sapeva molto bene come rappresentare l’architettura antica. 

Non solo. Gismondi ha segnato un’epoca, dal momento che gran parte dei disegni di Ostia antica e dell’area archeologica centrale che possediamo sono opera sua. Lui disegnava in un ‘epoca (il Ventennio) nella quale si era deciso che il metodo stratigrafico, introdotto da Giacomo Boni anni prima, era una perdita di tempo perché rallentava i lavori. 

E così, Gismondi, che tuttavia aveva un occhio sensibile alla stratificazione, e alla sua importanza per la comprensione e la ricostruzione di una città antica, disegnava “lo stato di fatto”. Aveva però elaborato un complesso sistema di segni grafici con cui cercava (io dico: disperatamente) di dare conto della stratificazione degli edifici che disegnava, pur nella dimensione di una pianta “plurifase”. 

Uno stralcio della pianta di Ostia antica disegnata da Italo Gismondi, edita nella Topografia Generale (1953). Il dettaglio è tratto dalla Regio terza. In nero sono campiti i muri della fase originaria, mentre i vari rigati le altre fasi. Un prodotto grafico unico nel suo genere!

Per me Gismondi era un vero asso della grafica archeologica. E i suoi prodotti grafici sono preziosi. E non mi sorprende che proprio lui usasse il termine TESSERA per riferirsi all’opera reticolata, come anche all’opera incerta dei muri ostiensi. 

Sul tema, poi, ci sono ci sono alcuni studi fondamentali più recenti rispetto alla Topografia Generale e sicuramente più avanzati nell’approccio: uno, in tedesco, di F. Rakob, anni ’70; l’altro, meno ostico e imprescindibile per gli studi sul reticolato, di M.Medri 2001. Quest’ultimo dovete assolutamente leggerlo e so per certo che in pochi lo conosco, altrimenti non staremmo qui a fare questo articolo (scaricatelo qui). 

In questo articolo, Maura Medri riprende le riflessioni sul lessico offerte in prima istanza da Rakob e le amplia con uno studio analitico delle opere reticolate italiche, rilevate A MANO 1:1 tramite contatto. L’esito di questo studio è illuminante: tra le fondamentali conclusioni raggiunte, si afferma che, a parità di cronologie, si rilevano esempi di reticolato molto diversi fra loro (dal quasi reticolato al reticolato perfetto), segno del fatto che l’idea di una evoluzione lineare della capacità di costruire muri così non sia per nulla, appunto, lineare. Semmai, dipende dalle maestranze (quali, quante), dalla loro provenienza e formazione, dal loro know how.

Questa pagina dovete guardarla per intero per capire come guardare l’opera reticolata. La cronologia degli edifici citati non corrisponde – per capirci – alla buona o cattiva fattura del muro corrispondente (da M.Medri 2001, La diffusione dell’opera reticolata: considerazioni a partire dal caso di Olimpia, in BCH, sup. 39, 15-40).

Abbandoniamo, quindi, il concetto che “prima” si faceva peggio e “dopo” meglio. Questa considerazione non sembra essere del tutto applicabile alle murature e alle tecniche costruttive che le caratterizzano. Inoltre, se ne ricava che il reticolato è l’espressione della “maniera romana”, è la cifra dell’età augustea, una tecnica che parla della conquista del mondo e della nuova Roma di Augusto, vista così specialmente nelle province. È il progresso.

Il mio consiglio di studiosa, e di divulgatrice, è dunque quello di leggere la bibliografia e di usare senza troppe perplessità il termine TESSERA, perché di fatto è quello che meglio descrive l’elemento che compone il reticolato e la sua funzione all’interno della muratura. 

Idea regalo

Ecco la Topografia Generale di Ostia (1953) nella recentissima (ri)edizione del 2023

Natale 2023 si avvicina. Volete farvi un regalo bello bello? Compratevi la TOPOGRAFIA GENERALE di Ostia antica (1953). 

È una lettura illuminante, sull’epoca dell’E42 e sugli sterri che hanno portato alla conoscenza attuale di Ostia antica. Vi sembrerà datata, e un po’ lo è, ma è un prodotto prezioso della cultura archeologica classica di cui siamo ancora oggi pervasi. Il volume lo trovate al bookshop del Parco Archeologico di Ostia antica, oppure sul sito della casa editrice (L’Erma di Bretschneider) nella recente riedizione a cura del direttore del Parco, Alessandro D’Alessio, e del funzionario del Parco, Dario Daffara.

Fatemi sapere se avete gradito e compreso le letture e se volete ulteriori approfondimenti. Intanto vi ringrazio del tempo speso a leggere questo articolo e alla prossima!

Valeria 


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2 pensieri su “Opus Reticulatum. Tessere o cubilia? Facciamo il punto sul lessico.”

  1. Molto interessante adotterò questo termine che pensavo fosse solamente riferito ai mosaici in quanto piccoli pezzetti, grazie come sempre per la tua semplicità di descrizione per noi non addetti ai lavori. Vincenzo

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