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Lucus Feroniae e Villa dei Volusii. Due siti che non ti aspetti, al casello di Fiano Romano.

 ALLA SCOPERTA DELLA SABINA ARCHEOLOGICA

Nel percorso di scoperta della mia nuova terra, la verde e ventosa Sabina, ho letteralmente scoperto (nemmeno fossi un’archeologa 😁)  un’oasi dell’archeologia proprio a pochi minuti da casa. Dico oasi perché risponde alla mia personale idea di oasi: un sito archeologico esteso e tendenzialmente sempre deserto; situato in una zona trafficata ma miracolosamente isolato dal traffico; un sito ad accesso gratuito, come si conviene ai luoghi della cultura che hanno il compito di migliorare la vita di chi li esplora, attraverso la trasmissione del sapere e la suggestione delle emozioni; un sito supportato da uno spazio museale con pezzi di rara bellezza artistica e rilevanza storica, accompagnati da animazioni virtuali all’avanguardia. Insomma, un luogo meraviglioso. Un’oasi, appunto. 

Un’oasi nel bel mezzo dell’autostrada del Sole, la Roma-Firenze, per costruire la quale, nel tratto del casello di Fiano Romano, negli anni Sessanta, furono scoperti una colonia municipale e villa di epoca romana. Dal punto di vista amministrativo, infatti, il sito archeologico è uno ma contiene due realtà con due storie parallele, ma non troppo distanti. Lucus Feroniae, o più esattamente Colonia Iulia Felix Lucus Feroniae, è un municipium romano sorto sul luogo di un più antico santuario, entrambi strettamente legati alla conformazione del paesaggio con le sue acque sorgive alimentate dal Tevere, e alla presenza di una importante via di comunicazione – la via Tiberina.

Prima della nascita della colonia, quindi, l’area dovette essere animata dal transito commerciale, in ragione del quale – o già esito della sua esistenza – qui nasce un santuario devoto al culto di Feronia, la più tipica divinità polisemica del mondo agreste antico. Il santuario nacque in epoca ellenistica, vale a dire tra III e II secolo a.C. e aveva le fattezze di un tempio che per almeno duecentocinquanta anni ha attratto popoli e benedetto le loro greggi. Di esso, oggi, tuttavia, restano soltanto labili tracce nel terreno.

La forma ancora leggibile sul terreno del tempio di Feronia, primo nucleo di frequentazione della futura Colonia Iulia Felix Lucus Feroniae di età cesariana.

Parallelamente alla fondazione del santuario, dall’altra parte della via Tiberina, a qualche centinaio di metri la famiglia degli Egnatii fonda la sua dimora, una grande e sontuosa villa rustica, dove risiede e si dedica alla produzione di beni alimentari. Ciò accadeva nel II secolo a.C., nella tarda età repubblicana e non sembra casuale la vicinanza al santuario. A ben pensarci, non può esserlo. Possiamo supporre che gli Egnatii avranno ascoltato il richiamo di un luogo tanto sacro quanto economicamente promettente e nei suoi paraggi avessero scelto di acquistare il fundus e costruirvi la propria casa. O forse erano già radicati in queste terre prima della fondazione del santuario, o avranno addirittura contribuito alla sua nascita. Chissà, infine, che non ci siano altre domus sepolte nel terreno attorno al santuario abitate da chi fece la stessa considerazione: come vedrete, l’area è in buona parte ancora da scavare

Vediamo ora le vicende delle due realtà, il santuario/municipium e la villa, nella loro evoluzione spaziale e temporale. Cominciamo dal primo, per poi proseguire con la seconda. Il mio obiettivo è offrivi una visione dei contesti unitaria ma dettagliata, così che possiate portarla con voi in una eventuale visita del sito. 

C’ERA UNA VOLTA A LUCUS FERONIAE

Una volta superato il cancello dell’area archeologica, troverete un bel parcheggio (mai affollato) per posteggiare l’auto. Di fronte a voi, il Museo e il punto di accoglienza, dove vi sarà chiesto di firmare la presenza. Il personale è di una cordialità rara e vi farà piacere anche scambiare quattro chiacchiere con i funzionari di turno. In loco c’è anche un archeologo che ad orari prestabiliti parte con una visita guidata. Chiedete di lui, non so se ci sia sempre o solo nel fine settimana. Insomma: è un sito dove non vi sentirete abbandonati a voi stessi.

Una panoramica del sito di Lucus Feroniae dall’ingresso all’area archeologica.

In fondo a sinistra, potete già intravedere le strutture emergenti della colonia di Lucus Feroniae. Se siete archeologi, forse vi piacerà lanciarvi a tutta velocità in direzione della strada basolata per andare a visitare l’area. Ma potreste anche valutare l’idea (e lo consiglio soprattutto ai non archeologi) di entrare prima in Museo, se non altro per dare prima una assaporata alle ricostruzioni virtuali curate dal CNR ITABC: vi aiuteranno ad avere delle immagini ricostruttive negli occhi da “calare” sulle rovine. Se però siete dotati di un tablet, potete a questo punto lanciarvi davvero verso la strada basolata e cliccando su questo link, potrete connettervi al sito web del Museo Virtuale della Valle del Tevere, dove alla voce Lucus Feroniae e Villa dei Volusii, troverete delle meravigliose vedute in 3D (cliccate qui per il Museo Virtuale). 

Raggiungiamo, dunque (senza correre però) la via basolata, che altro non è che la via Tiberina, l’importantissima e molto antica via di comunicazione che attraversava Lucus Feroniae. Eravamo rimasti al santuario, un grande tempio costruito in età ellenistica e oggi scomparso. Arrivando al pannello introduttivo (fatto benissimo!), fissate queste coordinate: 

  • Nel III-II secolo a.C. si costruisce un santuario ellenistico nel paesaggio agreste e silvestre della valle del Tevere; 
  • Arriva Silla negli anni 90-80 del I secolo a.C. e rade al suolo l’edificio al tempo delle sue scorribande militari contro Mario e i suoi sostenitori; 
  • il santuario muore, ma a suo modo risorge, in forma di piccolo municipium: è la colonia Iulia Felix Lucus Feroniae, fondata trent’anni dopo da Giulio Cesare, per tentare di risolvere il problema delle terre confiscate. 

Fondendo l’anima sacra del luogo con l’esigenza di impiantare qui un piccolo centro abitato, il municipium vivrà almeno fino al III-IV secolo e poi, come tutto il mondo romano d’occidente, comincerà a decadere e, lentamente, a sparire sotto il peso delle terre di riporto e dei secoli. 

Percorsa la strada basolata, noterete subito un muro in reticolato, basso ma molto lungo, che costeggia tutto il tracciato. Fermatevi a osservarlo un momento, perché vi mostra la tipica tecnica costruttiva delle colonie laziali, dove il tufo non c’è, ma c’è tanto calcare. E non è mica tenero da sbozzare come il tufo, per ciò le tessere (così chiamiamo oggi gli elementi del reticolato), sono imperfette e dunque determinano allineamenti imperfetti. Non si tratta, quindi, di una incapacità dei muratori a fare il reticolato, è forse proprio la qualità del materiale a rendere tutto più complicato. Di sicuro siamo di fronte ai muri cesariani, così come si costruivano alla metà del I secolo a.C. ormai dappertutto e da qualche decennio. 

Ecco la via Tiberina basolata e il lungo muro di delimitazione in reticolato, con una giovanissima esploratrice in cerca di lucertole

Arrivati al bivio, a destra avete tutto il quartiere commerciale e residenziale. Questo è il tipico luogo di passaggio, dove di per sé non abitavano moltissime persone, se non i gestori delle attività locali e pochi altri. Troverete quindi alcune botteghe affacciate sulla strada, spesso aperte sul fronte di case dalla forma rettangolare, secondo il modello casa-bottega che avrete visto in tanti esempi a Pompei. Alla fase cesariana appartiene, dunque, l’impianto generale della colonia, con la strada pubblica che “entra” nel foro (la piazza pubblica) e lo attraversa, per poi uscirne e proseguire oltre, esattamente come le statali che entrano nei paesini; luoghi di culto successivamente potenziati, case e botteghe. Se il fondatore di questa colonia è Giulio Cesare, è con Augusto e Tiberio (prima metà I secolo) che si rilevano le modifiche strutture meglio visibili oggi. C’è poi un grande intervento di potenziamento ancora in età Traianea (prima metà del II secolo), che riconoscerete per l’uso costante del laterizio. 

Una veduta del fronte delle botteghe affacciate sul portico della piazza del Foro, appena entrati in città.

Se siete ancora al bivio, troverete davanti a voi una latrina (bagno) in bella vista. Un elemento forse un pò particolare per un ingresso in città, la cui presenza può essere spiegata così.

In una colonia attraversata da una via commerciale di lungo raggio, era più che normale trovare un bagno appena smontati da cavallo o appena scesi dal carro. Anzi, la sua posizione vi catapulta dritti nella realtà di un municipium frequentato da mercanti, funzionari, avventori locali, che dovevano poter trovare subito il bagno, per ogni evenienza. Dobbiamo però ricordarci che la latrina non era totalmente a vista: arrivando dalla Tiberina l’avreste probabilmente identificata grazie a un cartello o una scritta apposta sulla sua parete esterna. Dovete immaginare, infatti, che fosse racchiusa da quattro mura e coperta da un tetto. E quindi sarebbe apparsa come un edificio piuttosto anonimo, con solo una piccola finestra. Considerate, poi, che la latrina è stata aggiunta in una fase successiva al primo impianto e ciò si nota molto bene osservando i muri di delimitazione: sono  stati appoggiati al muro portante del lato corto della piazza del Foro, rimodellato in età augusta. A me sembra decisamente post-augustea! 

La latrina in bella vista, oggi, all’ingresso in città.Inconfondibile la sia struttura, con il canaletto di scolo dell’acqua a U e la fogna tutta intorno. Anche se può sembrare poco elegante parlarne, è uno dei più importanti simboli dell’efficienza della civiltà romana.

Proseguendo, entrate nella piazza del Foro, che potrete riconoscere per l’ampio spazio rettangolare, delimitato da un colonnato (sopravvissuto da una parte sola), impostato su gradini. In questo grande spazio immaginate svolgersi la vita quotidiana della colonia, animata dal mercato del bestiame, dalla risoluzione di controversie legali forse in buona parte legate alle attività agricole, battibecchi tra contadini, e così via. Su un lato corto della piazza, quello rivolto all’ingresso in città, sono sistemati i luoghi del culto municipale: divinità appunto municipali (forse la stessa triade: Giove, Giunione e Minerva) e il culto dell’imperatore Augusto, impiantato da Tiberio, successore e figlio adottivo, dopo la sua morte. 

Sugli altri lati campeggiavano altri edifici tipici di una realtà municipale, come la Curia, per le assemblee dell’amministrazione locale; la Basilica, per la gestione delle controversie legali citate in precedenza. Si tratta di edifici che, in linea di massima, sono sempre presenti in una colonia, perché questo era l’obiettivo di Roma: replicare, in piccolo, la struttura amministrativa, e quindi architettonica, della Capitale, affinché la gestione di un potere tanto vasto quanto complesso potesse avvenire nel modo più agile ed efficace possibile. 

Una prospettiva sul Foro, con le colonne del portico,, presa dall’interno del tempio del Divo Augusto.

Oltre la piazza del Foro, trovate il sito del santuario ellenistico, raso al suolo da Silla, insieme a ciò che resta di un grande altare e degli elementi della decorazione architettonica. Raggiungendolo dal Foro, avrete modo di guardare i pannelli illustrativi, nei quali si offre una ricostruzione assonometrica e potrete capirlo meglio. 

In ultimo, gli interventi avvenuto sotto Traiano. Le strutture aggiunte o restaurate durante il suo principato sono ben identificabili. Vi basterà posare lo sguardo sul colore arancio che vedrete spiccare in mezzo a tutto quel grigio calcare, riconducibile ai mattoni ora in uso su larga scala in architettura. Sotto Traiano si introduce (o forse, si potenzia) un impianto termale dotato di vasche fredde e calde, ad uso di chi è di passaggio ma anche di chi abita nella colonia

La grande vasca per il bagno freddo all’interno del frigidario, tipicamente rivestita di marmi e dotata di ripidi gradini per entrare in acqua.
Non potevo non offrirvi una visione ravvicinata di un muro tipicamente traianeo, in opera reticolata di calcare con ammorsature e cinture di rinforzo in laterizi, detta “opera mista”.

In passato, e direi fino agli anni Trenta del Novecento, era d’uso fare ripetute soste lungo il cammino, specie quando si viaggiava per molti giorni in carro o, in seguito, sui primi convogli su rotaie. In base alle località, ci si poteva imbattere in piccoli centri nati come stazioni di posta nei quali ci si poteva lavare (piccole terme, che chiamerei piuttosto “balnea”), riposare, rifocillare, ed eventualmente anche sollazzare in compagnia di prostitute. Era tutto perfettamente organizzato. E così è stato fino, appunto, all’inizio del Novecento. Avete mai notato, uscendo da stazione Termini, quella vecchia tettoia liberty proprio di fronte a Palazzo Massimo alle Terme? È quel che resta di una “toletta”, dove appunto i viaggiatori in arrivo a Roma sostavano, per rinfrescarsi e poi proseguire con le proprie commissioni. Naturalmente, non era un servizio frequentato da tutti indistintamente. Una seppur minima selezione sociale, verso il basso, avveniva puntualmente. 

AL DI LÀ DEL CAVALCAVIA

Ritornando indietro sui vostri passi, raggiungete il cavalcavia dall’interno del parcheggio. Un ponte di colore verde chiaro (dotato di ascensore per la massima accessibilità) vi condurrà dalla parte opposta della via Tiberina, nell’area della Villa dei Volusii. 

Troverete magnifico e al tempo stesso inverosimile il luogo dove sorge la casa. Se da un lato, infatti, il vostro sguardo si perderà tra i verdi campi e le balle di fieno, dall’altra sarete colpiti in pieno viso da un pugno: il casello autostradale. Un ecomostro di rara bruttezza che vi ricorderà per sempre il motivo della scoperta della villa che vi apprestate a visitare: una fortunata casualità

Il sito della villa dei Volusii appena scesi dal cavalcavia.

Qui sarete accolti da una pannellistica ben fatta e da un servizio di volontariato curato dal Touring Club, che si occupa di offrire, a chi lo desidera, visite guidate gratuite.

Ora vorrei provare a raccontarvi la storia della villa secondo le sue fasi evolutive, sebbene non sia facile coglierle con lo sguardo. Le due fasi principali a noi note, età tardo repubblicana ed età augustea, si sono talmente sovrapposte e mescolate che non è così evidente la differenza tra le due. Ma provate ugualmente a seguirmi nel racconto. 

Raggiungete l’atrium, situato sulla destra appena oltrepassato l’ingresso. Vedrete un casale rustico, costruito in età moderna sui resti di una parte della Domus romana, che, quasi come ogni casale, indica appunto la presenza di un insediamento antico nei paraggi, dal quale ha tratto i materiali per essere edificato. Ora guardatevi intorno: l’atrium è un grande spazio rettangolare inondato di luce, delimitato da stanze con diverse funzioni. Ecco, qui siete sul nucleo più antico della domus, quello impiantato qui nel corso del II secolo a.C. dalla famiglia degli Egnatii. Proprio mentre si fondava il santuario a Feronia, gli Egnatii mettevano radici dall’altro lato della Tiberina, forse proprio in relazione a quel potente luogo sacro, polo di attrazione naturale di forti interessi economici. Attorno a un santuario, c’è passaggio, c’è movimento. E una famiglia rurale romana che vive dei proventi della propria attività agricola – come immaginiamo facessero gli Egnatii – aveva tutto da guadagnare impiantando la propria casa qui. 

Uno scorcio dell’atrium, nucleo originario della casa del II secolo a.C. appartenuta agli Egnatii.

La dimora, a quel tempo, ruotava attorno all’atrium, la grande sala scoperta al centro, fulcro della casa perché illuminato per la maggior parte della giornata dalla luce solare. Su di esso si aprono le piccole stanze da letto quadrate (cubicula) e la sala da pranzo con i suoi annessi (tablinum). L’atrium, infatti, aveva lo scopo principale di catturare e convogliare la luce nelle stanze vicine. Alla fase originaria sembrano appartenere i muri fatti con scapoli di calcare disposti in modo irregolare (opus incertum). Di alcuni mosaici, con il motivo a canestro e i fregi militari, la cronologia, invece, potrebbe già essere augustea.

Un muro in opus incertum, forse superstite della fase costruttiva del II secolo a.C.

Non conosciamo (almeno per ora) l’estensione originaria della casa degli Egnatii. Possiamo supporre che fosse vasta e che, come tutte le domus rustiche, avesse una parte residenziale e una parte produttiva, con gli impianti per la spremitura dell’olio (siamo in Sabina) e l’allevamento di qualche capo di bestiame per ricavarne carne e formaggi, in parte per sopravvivere, in parte da vendere al vicino foro di Lucus Feronaie, ma non c’è evidenza di tutto questo, nella condizione attuale. Ora capite meglio il senso di questa prossimità? 

A un certo punto, però, il destino degli Egnatii si spezza. Compiono l’errore di parteggiare per Marc’Antonio nella guerra civile che lo vede opporsi ad Ottaviano, e dunque subiscono la tragica (e poco raccontata) fine degli oppositori: vengono inseriti nelle terribili liste di proscrizione ed eliminati “per il bene della Res Publica”. Si tende a dimenticare l’esordio sanguinoso e cruento del divino Augusto, ma quando passeggio per le stanze di questa casa, torna prepotentemente alla memoria una pagina insanguinata e violenta della storia della Roma post cesariana che Augusto, finché ha potuto  – e gli dei lo hanno decisamente favorito – ha cercato di dissimulare. Rimuoverla era impossibile, ma ci ha provato, facendo fuori tutti quelli che avrebbero potuto raccontarlo oppure comprandoli, se erano corruttibili. E poi ha lavorato per quaranta anni per far sì che la memoria di quel periodo sanguinoso svanisse. 

Per tutta ricompensa, spazzati via gli Egnatii, sopraggiungono i Volusii, partigiani di Ottaviano e dunque meritevoli di ricevere in dono la proprietà requisita ai proscritti. La casa, a quel punto, come nella migliore tradizione, viene ripensata, ampliata, trasformata. La memoria degli Egnatii andava cancellata e nondimeno i Volusii avevano tutto l’interesse a manifestare la loro ricchezza. Possiamo immaginarli nelle vesti di pii evergeti della vicina colonia di Lucus Feroniae, che proprio con Augusto vive il primo grande momento di riqualificazione, dopo la fondazione Cesariana. Insomma, i Volusii hanno tutto da guadagnare dall’aver sostenuto l’aspirante princeps

Uno scorcio del peristilio aggiunto dai Volusii alla casa di età repubblicana.

Ogni singola volta che torno in quella villa, come un chiodo fisso, mi compare improvvisamente davanti agli occhi questa scena: gli Egnatii sono in casa, padre, madre, figli, nipoti, chissà in quanti fossero a vivere qui. Arrivano le milizie di Ottaviano, armate fino ai denti, per arrestare i padroni di casa, o forse peggio, per ucciderli senza pietà, salvo poi ripulire tutto per l’arrivo dei Volusii. I giochi dei bambini abbandonati nell’atrio, le vesti preziose negli armadi, qualche pezzo di argenteria nella cassa, le pignatte sul fuoco… Istanti che, al momento, non possiamo documentare archeologicamente (e forse non potremo farlo mai più), ma che non credo di sbagliare di molto a ricostruire tali. 

E così, i Volusii entrano nella loro nuova proprietà. La rimettono in sesto, conservando (lo vediamo) qualche muro e forse qualche bel pavimento in mosaico colorato di ottima fattura. E aggiungono un enorme peristilio. E vi installano un larario, il luogo dove ospitare i Lari, gli dei della casa, gli avi che non ci sono più. Il tutto costruito in opera reticolata con ammorsature in blocchetti rettangolari, la tecnica costruttiva più tipicamente augustea. Il tutto arredato in perfetto stile, con grandi vasi (kantharoi) sul pavimento a mosaico dai quali nascono e si avvolgono racemi vegetali, simbolo di abbondanza e prosperità. Tutto magnificamente, tipicamente augusteo

Il lararium aggiunto dai Volusii alla nuova casa, con motivi decorativi tipicamente augustei.
La tecnica costruttiva tipicamente augustea, che tendenzialmente identifica l’attività dei Volusii nella casa: opus reticulatum con ammorsature in blocchetti rettangolari.

E, già che ci siete, cliccate di nuovo sul link al sito del Museo Virtuale della Valle del Tevere per ammirare la ricostruzione 3D degli spazi della casa. Dei Volusii, naturalmente. 

Ringraziamenti

La mia narrazione del sito di Lucus Feroniae e della Villa dei Volusii termina qui. Spero possa accompagnarvi nella visita a questi luoghi meravigliosi. Sicuramente, porterò qui i miei Archeonauti e avrò con loro l’opportunità di toccare con mano quel che ho riportato per iscritto in questo spazio collettivo. 

Colgo qui l’occasione per ringraziare Roberto Nicotra, un follower di Muri per Tutti molto attivo e dinamico, che mi ha inviato il link al Museo Virtuale proprio mentre ero in visita al sito e ve lo raccontavo nelle Storie di Instagram. Questo è il motivo per cui amo questo progetto, amo questo lavoro e sono grata a ognuno di voi per aver scelto di far parte di questa comunità elettiva digitale nata attorno al tema dell’archeologia dell’architettura: si cresce, si cresce tutti insieme, con l’archeologia e il desiderio di scoperta che è – penso di non esagerare – in ognuno di noi.

Fatemi sapere nei commenti se conoscete il sito e se questo spunto potrà esservi utile e grazie, sempre, per il vostro supporto e per la condivisione dell’articolo ai vostri contatti. Poter crescere grazie alla vostra presenza fa di questo progetto di archeologia pubblica un momento di importante sperimentazione culturale. Fatta a piccoli passi, insieme. 


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