Uscito nell’ottobre 2023, questo libretto, sottile ma denso di informazioni, racconta la vicenda del complesso dei Fori Imperiali, unendo i dati storici della tradizione agli aggiornamenti portati dagli scavi archeologici. Il testo offre molti spunti interessanti, la narrazione scorre come un placido fiume e in certi punti si fa anche piacevolmente polemica. Merita certamente la vostra attenzione. Ve ne parlo in questo post!
Il tema
Il tema non è nuovo. Dei Fori Imperiali si è cominciato a parlare nel Ventennio, quando si intraprese l’ambizioso progetto di portare a compimento la sistemazione dell’area archeologica centrale, già pianificata negli anni successivi all’unificazione nazionale.
Nel Ventennio le piazze furono rapidamente riscoperte, demolendo un intero isolato – il cinquecentesco quartiere “Alessandrino” – abitato da persone, con i propri oggetti e le proprie vite, alle quali fu intimato di lasciare la casa e di trasferirsi nelle borgate alle porte della città, create per l’occasione.

Se ancora oggi se ne parla è perché, da un lato, la ricerca storica si è fatta largo sgomitando tra cappi burocratici, mancanza di fondi adeguati e di un progetto definitivo e lungimirante; dall’altra, perché tuttora le piazze del consenso imperiale rappresentano il vanto e la vergogna della città di Roma, non avendo ancora beneficiato, dopo più di ottanta anni dai primi colpi di quello smanioso “piccone del regime”, di una degna valorizzazione.
Il tema del libro è quindi la sintesi storica dell’evoluzione del complesso dei Fori Imperiali, tra ricerca, gestione e valorizzazione. La voce narrante è quella di due archeologi, funzionari dell’amministrazione capitolina in forze nell’Ufficio Fori Imperiali, divenuti navigatissimi divulgatori dell’area. La scrittura è chiara, a tratti avvincente, super informativa, nonostante la necessaria sintesi dettata dal formato.

Gli autori, va detto, in un certo senso si confessano, ammettono senza remore i punti deboli del meccanismo che ad oggi non ha ancora adempiuto a una funzione fondamentale dell’amministrazione, che è quella di rendere i Fori fruibili al più ampio pubblico.
E naturalmente cavalcano la propria onda, illustrando quelle che ai propri occhi sono le ricostruzioni più attendibili dei complessi forensi. Ma occorre ricordare che quelle esposte nel libro non sono le sole, perché se, da un lato, i Fori Imperali sono il frutto della gestione amministrativa della Sovrintendenza Capitolina, il tema di ricerca è di portata internazionale ed è stato quindi affrontato da molti altri studiosi in tutto il mondo, portando sul tavolo delle ipotesi anche altre versioni, che, tuttavia, sono tralasciate in questo volume.
Forse per questioni di spazio?
Questo, però, è un limite del libro: suona solo la campana capitolina che, certo, avendo la gestione dell’area ha diretto e compiuto le indagini sul campo, da sola, con l’ausilio di cooperative e con istituti di ricerca stranieri; ma ecco, su alcuni punti molto dibattuti, come l’annosa questione della localizzazione del tempio al Divo Traiano, tutta la narrazione è orientata sul Meneghini-pensiero.

Mi permetto di dirvela così, perché ho frequentato questo ambiente per molti anni e ve ne parlo con una punta di nostalgia e con inestinguibile affetto per quelle emozionanti sessioni di lavoro sugli scavi al Foro di Cesare, Augusto e Traiano, per i racconti di Meneghini sui suoi trascorsi con Cairoli Giuliani e il disegno dell’opera reticolata, per aver visto dall’interno le difficoltà quotidiane dell’amministrazione capitolina pressata da una dirigenza talvolta soffocante.
La serie e l’indice
Il volumetto si inserisce nella lista dei titoli della serie “I luoghi dell’archeologia”, diretta da Andrea Augenti, Daniele Manacorda e Giuliano Volpe. Della serie fanno parte diversi titoli interessanti, fa i quali “Roma arcaica e repubblicana”, di Rita Volpe, che come sapete ho molto apprezzato e del quale vi ho parlato in questo post.
La serie intende affrontare i luoghi dell’archeologia, appunto, siano essi una città, un sito o un monumento. L’idea è quella di portare al pubblico, anche dei non esperti, la conoscenza della storia di un dato luogo, sia dal punto di vista storico e topografico che dal punto di vista della fruizione attuale.
Il libro sui Fori Imperiali risponde pienamente all’obiettivo. Lo stile di scrittura è chiaro e conciso, il ritmo della narrazione è spedito e non cede mai all’ossessione, tutta accademica, della citazione bibliografica. I rimandi sono sempre fra parentesi e il lettore non ha mai la sensazione di essere estromesso dal discorso, se ignora i riferimenti bibliografici.
Riporto per voi l’indice del volume, indicando quali parti ha scritto ciascun autore (RM e RSV):
- Introduzione
- 1 La scoperta (RM)
- Il crescente interesse per i Fori nel Rinascimento
- Gli scavi napoleonici (1811-1814)
- Le demolizioni e gli sterri del Governatorato di Roma (1924-1934)
- Gli scavi del Comune di Roma (1980-2022)
- 2 La storia del sito (RSV)
- Prima dei Fori
- L’età imperiale
- Le trasformazioni medievali
- L’età moderna
- 3 L’archeologia dei Fori Imperiali
- L’area prima dei Fori (RM)
- Il Foro di Cesare (RM)
- Il Foro di Augusto (RM)
- Il Templum Pacis (RM)
- Il Foro di Nerva (RM)
- Il Foro e i mercati di Traiano (RM)
- La trasformazione del paesaggio nella tarda antichità (RM)
- Verso un nuovo paesaggio urbano: i secoli VIII-X (RSV)
- Il basso medioevo (secoli XI-XV) (RSV)
- L’urbanizzazione dell’area e il quartiere alessandrino (RSV)
- 4 Fortuna e mito (RSV)
- Dalla tarda antichità al primo Medioevo
- La Colonna Traiana tra Medioevo e Rinacimento
- La “riscoperta” in epoca moderna
- 5 Come si presenta il luogo oggi al suo pubblico (RM)
- Lo stato attuale di Fori
- Il sito dalla parte dei visitatori: accoglienza, comunicazione, didattica, servizi.
- Bibliografia
Dite la verità, vi è venuta l’acquolina ?
L’indice è ricco e ben strutturato e vi garantisco che alla fine della lettura (che poi sono meno di 150 pagine, come impone la serie), avrete un quadro chiaro e limpido della storia del più monumentale complesso archeologico di Roma.
La visione mancante.
Vi confesso che la mia parte preferita è quella in cui, nel primo capitolo, Meneghini racconta la tormentata vicenda dei Fori Imperiali dal punto di vista della gestione, non senza qualche nota polemica.
In sostanza, si evince un concetto semplice e deprimente: i Fori Imperiali sono stati vittime dell’ideologia, per una certa quale relazione con il passato fascista di Roma. Così pare, dal momento che alcune giunte di destra avrebbero sospeso ogni attività che intendesse toccare l’attuale assetto dell’area. È valso per esempio con Alemanno e Broccoli.
Ma si può ?!

Io dico che è grave, ma oltremodo importante, leggere nero su bianco che quel grottesco spettacolo di ruderi muti e l’impotenza gestionale siano anche il risultato di assurde scelte ideologiche, che seguendo una anacronistica sacralizzazione di certi frutti del Ventennio non hanno minimamente guardato alla pubblica fruizione e comprensione del paesaggio archeologico di Roma.
Io ho sempre sospettato che quello speciale “freno a mano” inserito nella macchina della valorizzazione dei resti archeologici attorno a via dei Fori Imperiali fosse dettato dall’astensione all’azione, una sospensione del pensiero per non dover incorrere in scomode responsabilità. Il fatto di trovarlo anche espresso nelle pagine del libro è stato soddisfacente.
Giotto, Michelangelo e il vasaio.
Ci sono alcuni passaggi del libro che hanno il potere di trasportarvi tra i vicoli della città medievale, della quale sopravvivono solo pochi resti, la gran parte muti o addirittura finti, cioè rifatti ad arte nel Ventennio.
Qui, la ben nota abilità del Santangeli Valenzani di calarsi nei vicoli e di farsi narratore di quel Medioevo romano scomparso vi conquisterà. Io l’ho avuto come professore di Archeologia Urbana di Roma e so quanto possa essere coinvolgente il suo modo ironico e dotto di far rivivere Papi, chierici e notabili del tempo.
Senza troppi giri di parole apprenderete che non lontano dalla Tor dei Conti ha abitato Giotto, mentre poco oltre la Colonna Traiana ha abitato Michelangelo. Inquilini di un certo pregio artistico, giunti proprio in questo punto di Roma – suppone l’autore – forse richiamati dalle vestigia monumentali del passato imperiale.

E poi, a partire dalla fine del Quattrocento, nei quartieri ancora medievali, con i loro profferli e le corti interne, si installa la bottega di un vasaio, Giovannino Boni, il quale, sfruttando un precedente forno da pane trecentesco, operativo per almeno cento anni, allestisce il suo attivissimo atelier.
Ho avuto la fortuna di scavare questa bottega sotto la direzione dell’archeologo Alessandro Delfino e la consulenza del più grande esperto di ceramica medievale e Rinascimentale, Otto Mazzucato, un signore che, all’epoca già anziano, aveva bianchi capelli e una mente svelta, adorava prendermi in giro mentre saltellavo di qua e di là facendo rilievi senza rovinare lo strato, e passava il tempo illuminandoci con le sue storie di ceramica.

Fu un’esperienza a dir poco indimenticabile, senza tralasciare il fatto che quotidianamente scendevano in cantiere Meneghini e Santangeli, per vedere l’andamento dello scavo, fare ipotesi, immaginare il quartiere antecedente il drastico cambiamento portato dal cinquecentesco quartiere Alessandrino.
Tanta storia, poche storie.
Ed è un vero strazio vedere che quella fornace quattrocentesca versi in un ingiustificato stato di abbandono, tra rifiuti e incuria, pur nella prestigiosa area dei Fori Imperiali.
Sul tema della valorizzazione e della fruizione dell’area, ci sono due punti del libro che non potere assolutamente perdere. Il primo è il capitolo 1, dove Meneghini, riepilogando criticamente la storia dell’ avvicendamento di sindaci, giunte e fazioni politiche, denuncia come al fin fine l’area sia andata avanti essenzialmente con i fondi per il Giubileo del 2000 e le elargizioni di altri Stati, ad esempio la Danimarca e l’Azerbaigian.
Particolare, vero?
Altro punto è il capitolo 5, nel quale gli autori spiegano, direi senza risparmiare critiche, che la fruizione dell’area oggi è certamente possibile attraverso un percorso che attraversa le piazze giungendo al Foro Romano; ma precisano anche che il percorso non è attrezzato, non ci sono i WC e la pannellistica è scarsa. E che quindi è necessario munirsi di una guida, cartacea o in carne e ossa, per capirci qualcosa.
Leggendo queste pagine ho pensato: ma non sarebbe spettata a voi questa valorizzazione? Evidentemente no.
D’altronde il Museo dei Fori Imperiali, offre riparo, bagni e una ricca e suggestiva esperienza di visita, tra le maestose architetture dei “mercati” e del foro di Traiano, il giardino medievale sotto la Torre delle Milizie e la decorazione scultorea superstite dei cinque Fori.
E la spettacolare vista che si gode su via dei Fori Imperiali lascia sempre, puntualmente, sbalorditi.
Sarà per questo che alla fine siamo così indulgenti e lasciamo correre?
Il potere delle immagini
Devo molto della mia spina dorsale ai Fori Imperiali e a tutte le persone che vi ho incontrato lavorandoci. Quando ero dottoranda a Roma Tre, ebbi il compito di presentare al pubblico il primo libro divulgativo di Meneghini e Santangeli sui complessi forensi edito nel 2007 con gli straordinari disegni di Inklink, ai quali avevo in parte collaborato per il Foro di Cesare.

Fu un’emozione indescrivibile e lo è tuttora quando rivedo le mie piante e sezioni del Foro di Cesare sul sito web della Sovrintendenza Capitolina. Non c’è il mio nome, non si usa metterlo, ma so io quante ore ho speso a tirare su quei muri in Autocad con Alessandro Delfino, autore della scoperta archeologica del “primo” Foro di Cesare e delle tracce dell’incendio gallico (ampiamente trattati nel volume).

E a prescindere dalle diverse opinioni sulle singole ipotesi ricostruttive, inevitabilmente porterò sempre i Fori Imperiali, e tutti i loro archeologi, nel cuore, perché è stata la mia palestra di vita preferita.
C’è però un fatto che voglio sottolineare, riguardo alle immagini dei Fori Imperiali, che trovate anche nel libro. Dovete sapere che ne esistono di due tipi: quelle elaborate dalla Sovrintendenza Capitolina e quelle elaborate dal resto del mondo.
Le prime non mostrano mai il tempio del Divo Traiano dietro alla Colonna Traiana, le altre sì, ad esempio quella edita da James E. Packer, a seguire quella edita nell’Atlante di Roma di Andrea Carandini e Paolo Carafa, e naturalmente gli studi di dettaglio dell’archeologa Paola Baldassarri, che da anni si spende per promuovere i risultati delle ricerche archeologiche sotto al Palazzo della Provincia.
Per capire i termini della questione tempio sì/tempio no, vi consiglio infatti di visitare il complesso di Palazzo Valentini, dove troverete le famose domus, ma anche i resti (e la relativa spiegazione) di un gigantesco edificio, il presunto tempio al Divo Traiano. Così, almeno, avrete il quadro completo della problematica e dei vari spazi in cui si articolava il complesso del Foro di Traiano.
Una richiesta agli autori
Per quanto riguarda la rappresentazione dei Fori nel tempo, qui secondo me manca ancora un tassello: una rappresentazione per fase dei cinque Fori. So bene quanto possa essere complicato redigere delle reali piante di fase con il dato archeologico separato dal ricostruttivo, e riunirle insieme.
E allora, però, chiedo agli autori di valutare la realizzazione, per aiutare il pubblico, di almeno una versione schematica dei fori nelle quattro fasi principali:
- all’età di Cesare, per visualizzare il “primo foro” più corto senza Curia
- all’età di Augusto, per visualizzare il foro di Cesare completo di Curia e il foro di Augusto con quattro esedre
- all’età Flavia, per vedere la scomparsa di due esedre per l’allestimento del foro Transitorio e la preparazione dell’area a cura di Domiziano (Basilica Argentaria, Terrazza Domizianea e sbancamenti vari), oltre alla comparsa del Templum Pacis.
- infine, all’età di Adriano, con tutte le piazze completate, nel loro assetto definitivo.
Chiedo questi agli autori anche perché, nella lettura del volumetto, le poche e laconiche figure dei Fori non spiegano chiaramente perché il Foro di Augusto a un certo punto perda le esedre. Certo, leggendo il testo poi si capisce, ma comunque sarebbe oltremodo utile, soprattutto a noi che ci ostiniamo a fare divulgazione e le immagini sono il nostro strumento più prezioso.
Inoltre, vorrei chiedere agli autori di volgere questo testo in inglese al più presto. Lo metterei subito tra le referenze per il mio corso di archeologia “Forma Urbis” che insegno ai miei allievi americani. Anche questo è un problema, che per altro la stessa community “Muri per tutti”, che oramai è internazionale, ha sollevato: dove possiamo far studiare gli aggiornamenti sui Fori Imperiali, se tutta la bibliografia più recente è tutta, unicamente, in lingua italiana?
Bene, la mia recensione un po’ personale finisce qui. Ne ho approfittato per un breve Amarcord di una vita ormai passata, ma nella memoria della quale un posto speciale sarà sempre riservato non solo ai Fori Imperiali, ma anche e soprattutto ai due autori, Roberto Meneghini e Riccardo Santangeli, che ringrazio, da archeologa e da cittadina, per questo libro e per il loro lavoro.
Fatemi sapere la vostra sul libro e alla prossima recensione! Valeria
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