Lo scorso Mercoledì 27 novembre si è svolto l’ultimo appuntamento dell’anno nell’ambito del progetto “Muri e Marmi”, ideato e condotto insieme ad Alessandro Mortera (aka @aloarcheo su Instagram) con l’obiettivo di ricongiungere ciò che nella formazione specialistica è, sovente, separato: l’architettura costruita e l’architettura decorata.
Alessandro e io abbiamo pensato di unire le nostre competenze e di provare a dare il nostro contributo attivo alla divulgazione dell’archeologia, attraverso la condivisione dei risultati della ricerca scientifica. Ci direte voi, poi, se ci siamo riusciti.
In una giornata soleggiata, la Community si è riunita in uno dei siti archeologici più famosi al mondo, Villa Adriana, per esplorarla insieme analizzandone architetture e decorazioni.
In questo post vi racconto dove siamo stati, cosa è emerso dalla nostra passeggiata e quanto siamo stati felici di trovarci in un posto così bello a fare archeologia pubblica insieme.
Una dimora sognata.
Se dovessi sintetizzare con una frase l’esperienza a Villa Adriana, sceglierei questa: esplorando una dimora sognata. Sono parole che ha pronunciato Alessandro Mortera (io l’ho un po’ sintetizzata) citando una delle opere scientifiche più celebri sul progetto di Adriano: “Villa Adriana, sogno di un imperatore” di Eugenia Salza Prina Ricotti.
E si tratta, infatti, di una dimora sognata, sia da Adriano, sia da chi puntualmente, ogni giorno, da secoli, la esplora e la studia.
Fin dal primo ingresso all’area archeologica, tutti abbiamo avuto la sensazione di muoverci in uno spazio quasi mistico. Nonostante gli altri gruppi presenti, nonostante un cantiere per il montaggio di una tensostruttura nell’area del Pecile, tutti eravamo emozionati ed elettrizzati.
Sarà forse perché in quegli spazi si sono concentrate, per lungo tempo, le aspettative di un imperatore, della sua corte, degli antiquari, degli studiosi, dei turisti.
E così, passeggiando per quegli amplissimi spazi, e per un buon periodo della nostra visita persino inondati di sole (poi il cielo si è annuvolato), è stata subito forte la sensazione di essere in un luogo denso di grande Storia, di micro storie personali, di sogni, umanità, amore e crudeltà.
E abbiamo cercato di analizzarli, attraverso l’ausilio della letteratura scientifica, uno ad uno. Senza imbarazzi vi dico subito che il faro nella notte, su questo argomento, per me è sempre stato il prof. Cairoli Fulvio Giuliani, massimo esperto della Villa, del progetto architettonico e dei temi di architettura che richiama. Giuliani ha frequentato la Villa tutta la vita, circa sessanta anni di sopralluoghi, laboratori sul campo con gli studenti della cattedra di Rilievo e Analisi dei Monumenti Antichi e ancora ne parla, pubblicando di tanto in tanto le sue riflessioni. Alcune le riporteremo qui.
Della Villa, però, manca ancora una lettura stratigrafica completa e compiuta: ci sono progetti in corso, speriamo venga elaborata al più presto.
Perché proprio a Tibur?
In tanti suoi studi passati, e ancora in uno degli ultimi articoli editi (“Il Palatium Hadriani dopo Adriano” 2020), Giuliani riflette sulle ragioni che hanno portato alla scelta del luogo e voglio condividerle qui.
Il luogo scelto da Adriano per costruire la Villa, dice Giuliani, è curioso. Torrido d’estate, non c’è sbocco al mare, è in un punto abbastanza anonimo del paesaggio antico, per nulla panoramico rispetto a ville come quella di Tiberio a Sperlonga o di Nerone ad Anzio. Non c’è particolare salubrità, in una parola è un posto “brutto”, per i canoni antichi. Eppure, Adriano l’ha scelto.
La ragione, secondo Giuliani, è prima di tutto logistica e pratica. Qui ci sono ottime vie di trasporto (l’Aniene, la Tiburtina), ci sono abbondanti cave di travertino e affioramenti di tufo, a poca distanza c’era anche il più importante distretto di fornaci di laterizi di Roma.
E poi c’è spazio sufficiente a sperimentare quello che mai prima di Villa Adriana era stato sperimentato. Giuliani osserva come un posto non particolarmente bello sia stato trasformato in qualcosa di meraviglioso proprio da Adriano.

Nella sala del Plastico abbiamo preso confidenza con il complesso adrianeo. Il plastico lo ha realizzato Italo Gismondi negli anni ‘50 ed è un capolavoro: esso rappresenta il complesso adrianeo in tutta la sua estensione, per come lo conosciamo oggi. Manca all’appello l’Antinoeion, il luogo di culto dedicato all’amasio di Adriano, Antinoo, scoperto nel 2006, molti anni dopo la realizzazione del modello, come anche, ovviamente, le strutture venute in luce in anni recenti e in corso di scavo.
Sarebbe forse bello poterlo aggiornare? O forse, meglio, con l’ausilio della tecnologia virtuale magari farne una versione digitale aggiornata da affiancare a quello tradizionale di Gismondi? Sarebbe utile anche dal punto di vista metodologico. Magari un domani ci si penserà.
Riassumiamo quindi la Villa in forma numerica:
35 km circa è la distanza da Roma.
30 circa sono gli edifici oggi in luce
120 ettari è l’estensione attuale del complesso, vai a sapere se fosse anche di più in antico.
1999 è l’anno di iscrizione al registro dei monumenti protetti dall’UNESCO.
In apertura: il Pecile e le sostruzioni.
Dopo la sala del Plastico, si ha il primo, incredibile impatto con l’architettura adrianea e lo si ha con IL MURO del Pecile. Lo chiamo IL MURO perché è una struttura imponente, alta, lunga, perfetta. Un rettilineo fa da spina a un portico a due navate, coperto da un tetto a doppio spiovente, impostato su un ordito ligneo del quale si conservano ancora i fori di alloggiamento.
Le estremità sono magnificamente arrotondate. La tecnica usata è l’opera mista di reticolato di tufo e laterizi. Il tufo, lo abbiamo visto lungo la via di accesso, era ben presente nella zona e se ne vedono diversi affioramenti proprio alla base della Villa.
Ho sempre trovato estremamente affascinante e logica la scelta di affinare la tecnica dell’opera mista proprio nel cantiere di Villa Adriana. Sappiamo che l’idea tecnologica è più antica, risalendo già all’età tiberiana, ma questo uso promiscuo di varie versioni di opera mista e quasi esclusivo in molte parti del complesso, rende questo sito il luogo per eccellenza dove imparare che cosa sia l’opera mista di età imperiale.

Questo portico, anche detto “stoa”, alla greca, sembra essere l’esito di una particolare infatuazione per il mondo greco che Adriano indubbiamente aveva. E la barba sul suo volto dice tutto a riguardo. E sembra che il nome, Pecile, sia un diretto riferimento alla Stoa Poikile di Atene.
Ora, sulla corrispondenza tra i nomi dei settori della Villa ricordati dall’Historia Augusta, e gli edifici oggi conservati non vi è certezza, anzi.
Dopo alcune coraggiose ipotesi formulate a partire dal XVI secolo, siamo ancora nel dubbio per molti di essi. E infatti il prof. Cairoli Fulvio Giuliani, in tutte le sue pubblicazioni, li cita anteponendo sempre un “c.d.”.
Facciamo che qui il c.d. lo leviamo, ma sia chiaro che l’identificazione con i luoghi e quindi i nomi attribuiti non è ancora sicura.
Riguardo al progetto architettonico, in letteratura si dice che l’imperatore Adriano abbia ideato un complesso di edifici ispirati ai luoghi visitati nelle sue varie missioni, ma nessuno ne è copia conforme. Ci mancherebbe.
Il Pecile, quindi, è un vasto giardino porticato, dominato al centro da una grande vasca circondata da portici colonnati. Le colonne oggi sono suggerite dalle siepi. La vasca invece è lì, in tutta la sua lucente bellezza.

In un recente articolo (“Il Palatium Hadriani dopo Adriano”, 2020), Giuliani nota alcune strutture tarde, in opera vittata, proprio sotto alle siepi, come se questo settore della Villa fosse stato ulteriormente trasformato tra III e IV secolo, chiudendo il portico e smantellando il colonnato.
Per questo sarebbe interessante una visione stratigrafica di queste osservazioni: ce ne sono altre nei vari complessi della Villa e sarebbe utile raggrupparle in piante di fase, così che se ne possa valutare localizzazione e finalità.
Quanto ai marmi, Alessandro Mortera, durante il sopralluogo, ha puntualizzato come alla presenza dell’acqua si legata la scelta di una decorazione marmorea dai colori chiari e riflettenti: sappiamo infatti da altri esempi precedenti (il palazzo Flavio sul Palatino, ad esempio) che in ambienti così vasti l’acqua aveva la funzione di amplificare la diffusione della luce, che penetrava dai colonnati e dall’alto (la vasca era, logicamente, scoperta). L’uso di una decorazione marmorea chiara lavorava ulteriormente a questo scopo.
L’aspetto forse più impressionante di questa grande costruzione è la piattaforma artificiale sulla quale è stata edificata. Questo è un dettaglio che abbiamo considerato fin dalla sala del Plastico: la Villa si articola in vari complessi, molti dei quali costruiti su piattaforme artificiali sfruttando però, come dice Giuliani, la bontà del solido sottosuolo in tufo.
Le piattaforme, in questo periodo, sono realizzate in muratura e consistono in gigantesche architetture voltate. Le avete in bella mostra al Palatino, la famosa “domus Tiberiana” che guarda verso il Foro. E le avete ovviamente anche a Villa Adriana, dove sono realizzate in una stupefacente opera reticolata con ammorsature in blocchetti rettangolari, le cui fondazioni, nota Giuliani, sono minime, perché poggiano, appunto, sul banco di tufo.
Se trovassimo una tecnica del genere altrove, saremmo portati a dire che l’edificio potrebbe essere augusteo o Flavio e non mancano, ad esempio in Sabina, attestazioni del genere. Tuttavia qui siamo in un contesto particolare dove il repertorio delle tecniche di epoca adrianea è davvero vasto, con l’eccezione del settore della villa imperiale che insiste su una domus di età tardo repubblicana.

E anche le proporzioni sono impressionanti. La parete delle Cento Camerelle è alta 15 metri e corre lungo tutto il perimetro del terrazzamento artificiale che costeggia l’antica Tiburtina, nel tratto in cui entra a Villa Adriana.
E di fronte a quella magnifica parete di reticolato di tufo dobbiamo pensare anche alle centinaia di schiavi che dovevano essere alloggiati nelle celle ricavate all’interno delle sostruzioni. Di fatto è un gigantesco quartiere servile creato per avere un adeguato rifornimento di personale a costo zero (o quasi) da impiegare in tutti i settori della casa imperiale: manutenzione, guardiania, servizio, solo per citare le funzioni più ovvie.
Il Vestibolo. Citofonare Adriano.
Passeggiando in direzione della Sala con Triplice Esedra, ci siamo fermati a guardare il tracciato a due corsie della via Tiburtina e, al termine, il Vestibolo, ossi il grande “portone” di casa di Adriano.
Al Vestibolo gli avventori si dovevano necessariamente fermare per essere annunciati, verificati ed essere poi indirizzati nei diversi settori della casa. Da qui, infatti, cominciava un percorso che avrebbe condotto i visitatori nei vari punti della residenza.
La prima tappa era quasi certamente alle Terme, che sono proprio lì accanto al Vestibolo. Ce ne sono due, le Grandi e le Piccole, ma il senso è lo stesso: è bene lavarsi appena arrivati.
Di lì, si poteva procedere verso l’Accademia e quindi spingersi nel settore oggi non visibile dedicato all’intrattenimento e alla ricreazione.
In alternativa, o prima o dopo, si poteva accedere al Canopo e quindi partecipare a uno scenografico banchetto al Serapeo, anche lui, proprio a portata d’occhio appena superato il Vestibolo.
Una terza opzione poteva essere, in alternativa o anche dopo le prime due, inoltrarsi nel settore più nascosto e privato, quello del Palazzo, passando dalla Sala dei Filosofi, per una riunione, e poi procedere verso la privatissima Domus detta “Teatro Marittimo” o proseguire verso le stanze del Palazzo, dove teoricamente risiedeva l’imperatore e, in sua assenza, la corte. Lungo questo tragitto si sarebbe incappati in padiglioni, triclini, portici e annessi vari, talmente belli da restare senza parole.
E dire che a noi, per visitare il complesso, e nemmeno tutto, ci sono servite tre ore camminando tranquillamente.
La Sala con Triplice Esedra. Acqua e Cipollino.
Passeggiando per il Pecile, fantasticando su ospiti e percorsi, abbiamo raggiunto la Sala con Triplice Esedra.
Ora, in una casa così grande e così dispersiva dobbiamo pensare che il progetto architettonico dovesse prevedere una qualche forma di supporto all’orientamento, artifici per attirare l’attenzione e indirizzare gli ospiti.

L’acqua, in tal senso, è sempre una buona soluzione: con il suo fragore richiama il passante. Ecco che la Sala con Triplice Esedra offriva agli ospiti una versione marmorrizata dell’architettura, dove l’acqua giocava il fondamentale ruolo di riempire lo spazio.
Qui i muri raccontano di almeno tre diverse versioni dell’opera mista: la mista vittata (molto attestata in area vesuviana, pochissimo a Roma e a Ostia), la mista canonica e pure la vecchia reticolata con ammorsature a blocchetti, dove per “mista” a questo punto si intende la varietà di forme e non tanto dei materiali.
Ma non sono solo le tecniche a darci utili indizi sul cantiere, spesso sono proprio le stesse pareti forate. Ad esempio, con Emanuele Pullano (aka @emapullo) abbiamo notato come sulla parete in opera mista rivolta verso le Terme, si conservi perfettamente la trama di fori per l’applicazione del rivestimento marmoreo. La disposizione delle tracce ci consente di ridisegnare mentalmente le forme dei pannelli: grandi rettangoli intercalati da strette lesene, immaginando la riproposizione in marmo di un ordine architettonico.

E l’uso del marmo cipollino ? Alessandro Mortera ci ha spiegato come sia usato spesso negli ambienti dotati di vasche e invasi d’acqua perché le sue venature verdi da un lato richiamano l’acqua, dall’altro ci si specchiano dentro movimentandone la superficie.
Le basi delle colonne sono intagliate da una finissima ed elaborata decorazione di sapore augusteo, che tradisce a prima vista il concetto di classicismo adrianeo. I repertori e lo stile dell’età augustea sono ancora di grande impatto nelle scelte artistiche degli imperatori del II secolo e a Villa Adriana se ne hanno belle dimostrazioni. Il richiamo al PRINCEPS era una garanzia di qualità e di successo.
E poi, cioè sempre accade con Aloarcheo, con il naso all’insù scopriamo dei delfini intagliati sui capitelli.


Il Teatro Marittimo, che poi è una Domus.
Superando la Sala dei Filosofi, siamo entrati nel cuore della prima Villa Adriana.
Gli esperti infatti dicono che il complesso adrianeo sarebbe stato costruito in tre momenti successivi, a giudicare dai bolli laterizi.
E probabilmente non è nemmeno stato completato.
Il primo di questi tre nuclei comprenderebbe proprio la struttura circolare detta in epoca antiquaria “Teatro Marittimo”.

In realtà è una estrosa versione circolare di una Domus romana. Una creazione inedita e lussuosa, che gli esperti vogliono vedere come il nido di Adriano, il luogo dove l’imperatore avrebbe soggiornato fin dal principio, mentre il resto della villa era in costruzione. Estrosa? Sì, perché dentro c’è una Natatio circolare.
A me ha sempre affascinato il suo diametro: 43 metri, lo stesso diametro del Pantheon. E ciò mi affascina dal punto di vista del cantiere: una volta fatta la fatica di costruire quell’immensa sala rotonda, i muratori sapevano come muoversi per farne altre cento. Ed ecco, quindi, che anche a Villa Adriana tornano quei 43 cm di cassaforma lignea curvilinea per costruire muri in cementizio rivestiti di laterizi perfettamente disposti.

Dal punto di vista dei marmi, abbiamo analizzato il rapporto tra esterno e interno. Il corridoio anulare esterno doveva essere coperto ed era poi fiancheggiato internamente dal canale d’acqua, la natatio. Acqua e quindi cipollino, anche qui come nella sala con Triplice Esedra. E poi marmi bianchi, riflettenti.

All’interno della casa, invece, marmi bianchi e colorati. È il colore c’è quando sopra al pavimento c’è un tetto di copertura, ci ha insegnato Alessandro Mortera.
E il ponticello era di legno, sul fondo della vasca ci sono ancora le guide per il montaggio e la movimentazione. Si poteva sollevare per avere appunto una piscina rotonda.
Ma i Severi, o qualcuno tra gli ultimi residenti della casa, lo hanno rifatto in muratura, un po’ spostato. Forse perché non dovevano nascondersi ed essere lasciati in pace, come si diceva di Adriano.
Vai a sapere.
Verso il Palazzo Imperiale.
Ci siamo poi spostati verso il cuore della casa, la parte più lontana dal Vestibolo e quindi più riservata. Inaccessibile se non a pochi eletti.
O forse a nessuno al di fuori della famiglia imperiale.
Questo settore della casa ha un grande fascino per me, dovuto al preesistente impianto di una domus repubblicana. In letteratura (e sui pannelli) si dice che questa domus sia poi stata ristrutturata già in età augustea.
Giuliani dubita che la proprietà fosse della moglie di Adriano, Vibia Sabina, come sostengono invece altri esperti volendo così giustificare la scelta del posto. Abbiamo spiegato all’inizio che il pregio del luogo è legato ad altri fattori, dunque è ben possibile che qui esistesse già una proprietà imperiale risalente già all’età di Augusto.
Sta di fatto che, girovagando per la Villa, oltre ai soliti esempi noti di preesistenze (il mosaico tardo repubblicano), abbiamo scovato diversi setti murari in bozze di incertum e in reticolato, spesso coperti o addirittura tagliati, insieme al loro vecchio rivestimento ad intonaco, per aprire nuovi passaggi nella versione della casa ripensata da Adriano.

Oltre a questo, già di per se affascinante, abbiamo anche imparato a riconoscere una particolare traccia del montaggio di un pavimento a mosaico. Alessandro, infatti, da un minuscolo frammento di pavimento a mosaico, ci ha indicato la cornice fatta da due file di tessere bianchi di grande formato, che dovevano essere poi coperte dalla lastra parietale di rivestimento. Il tappeto musivo effettivo, invece, è in tessere minute, che non vuol dire che siano di fattura più antica, bensì adrianee ma dal sapore antico.

E poco oltre questo frammento esaminato da noi, abbiamo trovato la prova di quanto detto: un altro angoletto di mosaico con le lastre parietali in posto.
Gridolini ed esclamazioni di sorpresa ed entusiasmo a quel punto hanno riempito lo spazio!
Il cortile dei Pilastri Dorici: lo stile greco adrianeo.
In questa Villa si impara molto bene un fatto: l’accostamento, tipicamente adrianeo, tra l’antico e il moderno.
Per antico intendo il ricordo a stilemi del mondo greco passato, citazioni ricercate di elementi decorativi augustei. Per moderno intendo l’uso di soluzioni architettoniche avveniristiche.

Nel Cortile dei Pilastri Dorici antico e moderno si sposano magnificamente. L’antico è dato dal fregio a metope e triglifi, dai capitelli dorici, dai pilastri con gli angoli riempiti da un tondino che termina con una lancetta.


Il moderno è la soluzione architettonica: il fregio non è un vero fregio architrave, bensì una lastra applicata a un’anima fatta di piattabande armate. I conci pentagoni messi sopra a ciascun pilastro hanno una scanalatura per l’incastro con i pezzi contigui.
Sul portico corre una copertura cementizia a botte, impostata sui pilastri, da una parte, e su un possente muro in mista, dall’altra.

Tutto era rivestito di marmi.
E il piazzale, era coperto o scoperto ? Non c’è accordo tra gli esperti, ma se vogliamo seguire il pensiero critico di Giuliani, possiamo affermare che fosse scoperto, da cui la definizione di “cortile”. Il marmo chiaro, oltre alla ragguardevole ampiezza dell’area da coprire, d’altronde, un indizio ce lo suggerisce.
Le Terme, grandi e piccole.
Scendendo giù per una scala moderna ci siamo ritrovati alla quota del Vestibolo, cioè alla quota del terrazzo intermedio della tenuta.
Proprio a pochi passi dall’ingresso si trovavano le Terme. Ovvio, siamo nel mondo romano antico.
Come dicevo all’inizio, una volta giunti al cancello gli ospiti – supponiamo- venivano indirizzati nei vari settori della casa in base al loro incarico/ruolo/grado di parentela.
Ma possiamo ben credere che la prima cosa da farsi era andare alle terme e la darsi una lavata. E a questo scopo di terme ce ne sono due. Ce ne sono anche di più nella Villa, intendiamoci, ma queste sono proprio all’ingresso, in posizione strategica.

E sono appunto due, dette Grandi e Piccole. A guardarle da fuori, specie quelle grandi, sono impressionanti. Una quinta scenografica che, se ci impressiona oggi che sono malconce e provate sia secoli, dobbiamo pensare che in antico rappresentassero al meglio la “romanità”, il potere, l’agio e la ricchezza dell’imperatore, dove ricchezza significa anche possibilità di attuare progetti architettonici originali. Ma soprattutto la romanità, la tipica educazione dell’uomo romano antico che offriva spazi per la cura di sé, dove l’acqua corrente e il calore non potevano mancare.
Il fatto che siano due ha dato da pensare agli esperti e non siamo qui per dirimere la questione. Ci limitiamo a dire quanto osservato: le Grandi sono grandiose, con i loro ampi spazi, architetture voltate da capogiro e soluzioni che abbiamo ritrovato alla Villa dei Quintili (qui il post, andate a leggere!).
Le Piccole, d’altra parte, sono un gioiello: preziose, colorate, magnifiche (anche se vedere ancora dopo vent’anni la stessa passerella di cantiere lungo il percorso ci ha deluso non poco e ci siamo chiesti: perché ?).

Il fatto che siano affiancate è soprattutto legato a questioni tecniche: gli impianti. Adduzione dell’acqua, impianto fognario, sono strategicamente concentrati in un punto.
E per finire: Canopo e Serapeo.
Dopo tre ore, e dopo aver necessariamente saltato molte tappe, siamo giunti alla conclusione, che poi era il principio del percorso al tempo di Adriano.
Il Canopo, infatti, era il vero fuoco della prospettiva di chi entrava nella Villa dal Vestibolo. E per capirlo bene, ci siamo messi nel punto in cui l’occhio poteva percepire l’esatto allineamento tra le parti.

Al Canopo abbiamo rievocato quel che si legge in letteratura, la memoria dell’Egitto e la decorazione scultorea che doveva richiamare il Nilo, con i coccodrilli in – indovinate – marmo cipollino, e la serie di altre citazioni del mondo greco, con la Scilla nel bel mezzo delle acque.

Abbiamo discusso sulla cronologia degli elementi di marmo rimontati attorno al lato curvo del Canopo: recentemente si è proposta una datazione all’età severiana se non addirittura al ripristino della metà del Novecento.
Alessandro ci ha fatto alzare il naso all’insù per un’ultima volta, facendoci notare la firma dello scalpellino antico artefice del capitello. Noi, sconvolti.

I calchi in gesso li abbiamo trovati malmessi, scrostati e con le anime in ferro a vista, come fossero tendini.
E infine il Serapeo, la magnifica sala da pranzo ambientata in una grotta artificiale. L’intero volume è costruito in muratura e si incunea in profondità a ricreare gli anfratti di una spelunca.
C’è una vasca per la coltivazione ittica, c’è uno stibadium, ossia una mensa a forma di sigma greca dove i commensali pranzavano adagiati su cuscini.
C’era acqua zampillante tutta attorno, il soffitto era cosparso di pietre e conchiglie. In fondo, c’era una cascata artificiale azionata a comando attraverso rubinetti e pompe. E se salite sulle scalette di servizio potete vedere l’acquedotto che serviva l’impianto.
L’idea non è nuova, pensate alla Grotta di Tiberio (la trovate in questo post). Ma qui, ancora una volta, vince la tecnologia. Vince il COME.
Il perché lo sappiamo già, da secoli.
Un bilancio.
Il sopralluogo “Muri e marmi” a Villa Adriana è stato il settimo dall’inizio del progetto e l’ultimo del 2024.
Riassumendo, siamo stati:
- al Museo della Forma Urbis, aveva appena aperto ed era gennaio, quasi un anno fa;
- a Ostia antica una prima volta dove abbiamo fatto un giro concludendo alla Domus della Fortuna Annonaria;
- e una seconda volta, dove sono intervenuti anche Patrizia Tosi sulla geologia e i terremoti, Emanuele Pullano sui capitelli Flavi della Basilica, Alessandro Caneschi sui capitelli severiani del Tempio Rotondo;
- Siamo stati al Pantheon ancora una volta con tutto il team “Muri e Marmi”, sempre più numeroso. Abbiamo ricostruito il paesaggio antico, abbiamo imparato a riconoscere i marmi antichi e i moderni, abbiamo ascoltato la vicenda dell’epigrafe e analizzato le fasi di cantiere.
- Siamo andati perfino in Umbria, in provincia di Terni, a visitare il sito archeologico di Carsulae insieme al team di archeologi che da anni porta avanti ricerche e didattica.
- Siamo andati poi a Villa Dei Quintili esplorando i muri e i famigerati rivestimenti marmorei della casa dei fratelli Quintili, passata poi alla casa imperiale.
E abbiamo concluso questo anno di esperienze di archeologia partecipata a Villa Adriana, insieme a Emanuele Pullano, Laura Nicotra, Fabiola Scascitelli, Alessia D’Agostino, Danilo Linari e Riccardo Martegiani, venuto con noi per la prima volta.

Sono solo visite guidate?
No, non direi.
Sono delle vere e proprie sessioni di archeologia romana con aggiornamenti scientifici, dove ciascuno, in base alle proprie competenze, mette a disposizione conoscenze, curiosità, interessi.
Sono davvero felice di aver cominciato questo avventura e in un certo senso incredula di aver fatto tanto, insieme a voi, senza particolari istituzioni alle spalle ma con tutta la voglia di fare e di tracciare un sentiero nel campo, ancora tutto da esplorare, dell’archeologia condivisa.
Grazie, quindi, per aver dato fiducia proprio a me, una “singola”, e al team che è venuto su dalla stessa Community.
Grazie alla vostra generosità abbiamo messo in piedi un progetto editoriale coordinato da Alessandro Mortera e me e nel quale scriveranno tutti i membri del team “Muri per tutti”. Su tutto quel che riguarda il libro vi terremo aggiornati con il progredire del lavoro.
Per ora vi lascio con un grazie sentito e affettuoso, per aver reso possibile tutto questo. Lo so, sembra una frase fatta, ma voi tanto quanto me sapete quanto lavoro e quanta fatica c’è dietro le sette tappe che abbiamo percorso insieme.
Ed è stato un lavoro e un impegno collettivo. E la soddisfazione è grande.
Alla prossima, Valeria💜
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