Uno dei motivi per cui “Muri per tutti” è nato è la mia profonda convinzione che se l’Archeologia Pubblica sia venuta di moda solo dieci anni fa qui in Italia è soprattutto per una responsabilità degli archeologi.
L’uso di un linguaggio talvolta criptico detto “scientifico” (usare paroloni per sembrare, appunto, scientifici) e la difficile reperibilità (per non dire inaccessibilità) dei testi che contengono l’aggiornamento scientifico hanno allontanato per decenni gli archeologi dal resto della collettività.
Io sono qui perché vorrei provare, nel mio piccolo, a ridurre questo iato e a venirvi incontro, portando ai vostri occhi e ai vostri cuori le storie con cui ho avuto la fortuna di addestrarmi a diventare archeologa, una selezione della bibliografia scientifica di aggiornamento e quanto ne so e posso dirvi.
Tre di queste storie sono ambientate al Colle Oppio e hanno a che fare con Tito, Traiano e il Locoonte: ve ne parlo in questo post.
Le terme di Tito: ma esistono davvero?
Quando si sale sul Colle Oppio e ci si guarda intorno ci sono tre cose “archeologiche” che catturano l’attenzione: a valle, il Colosseo; a monte, l’ esedra del recinto delle Terme di Traiano. Più oltre, la Domus Aurea segnalata dai capannoni bianchi del cantiere di restauro. Non si vede ma c’è.

Mancano però le Terme di Tito, ricordate dalla via che conduce al Parco dell’Oppio e solitamente riportate in tutte le piantine archeologiche che trovate nel web e delle quali, tuttavia, non si hanno notizie certe.
Ho avuto la fortuna di lavorare per un bel periodo con l’archeologa Silvia Calvigioni, più giovane di me di qualche anno ma pur sempre della stessa squadra della quale abbiamo fatto parte anche Marina Lo Blundo (ricordate la collega di Portus?) e io.
Ci siamo formate tutte e tre nella Metodologia della Ricerca Archeologica e tutte abbiamo imparato da una maestra d’eccezione, Maura Medri, cosa significhi “pulizia del dato”, “costruzione della documentazione di dettaglio”, “edizione del dato”. Medri è una perfezionista ad altissimi livelli e ci ha trasmesso tutti i trucchi del mestiere (tanto ingrato quanto fondamentale per capire lo strato) quale è quello dell’archeologo-stratigrafo-che-fa-anche-Rilievo-archeologico.
Questa breve divagazione serve a spiegarvi che è proprio per la formazione ricevuta avuto che oggi siamo in grado di spaccare il capello in quattro e poi di ricomporvelo con disegni perfetti al millimetro, colori gradevoli e una scrittura che, almeno nei casi di Silvia e Marina (sulla mia non garantisco) sia logica, concisa, precisa.
In una parola: cristallina.
E veniamo a Silvia Calvigioni e alle Terme di Tito. Dalla sua analisi ricaviamo i seguenti nodi problematici:
- le Terme di Tito sono citate dalle fonti antiche, in particolare da Suetonio nella vita di Tito, da Marziale nei suoi Epigrammi e dal più tardo Cassio Dione (ve ne ho letto qualche passo in questo video sul Colosseo).
- Le Terme di Tito sono documentate da un disegno cinquecentesco di Andrea Palladio, che riproduce un grande impianto termale di tipo assiale, cioè speculare rispetto a un asse centrale.
- Quel disegno è stato ripreso da Rodolfo Lanciani e inserito nella sua Forma Urbis Romae (la prima pianta archeologica di Roma!) dando per scontato che Palladio avesse ritratto la realtà. E a seguire da tutti i siti web che ne trattino.
- Le Terme di Tito, di conseguenza, sono citate quale primo esempio noto di “impianto termale di tipo imperiale”, cioè assiale e speculare.

Qui entra in gioco l’analisi della Calvigioni, che si muove su due piani. Uno è il piano antiquario, cioè passare in rassegna tutte le fonti documentarie tra Cinqucento e Ottocento (vedute, piante, disegni, itinerari…) per verificare la possibile corrispondenza con il disegno di Palladio.
L’altro è il piano archeologico, che in questo specifico caso ha comportato il riesame di tutta la documentazione degli scavi stratigrafici condotti a partire dal 1989 per cinque diverse campagne di indagini, e che consiste in fotografie, rilievi, schede di Unità Stratigrafica, cassette dei reperti.
Muovendosi su questi due fronti, la Calvigioni ha elaborato quanto segue :
- Lo scavo archeologico ha evidenziato sette periodi che vanno dall’età neroniana (post incendio del 64) al tardo antico.
- Al periodo Flavio (cioè quello compatibile con le Terme di Tito) appartiene solo (e dico SOLO) una fondazione cementizia in cassaforma (colore arancione nella pianta, vedi articolo). Un po’ poco per dire che le Terme di Tito siano esistite nel punto in cui sono state collocate, giusto?
- Il muro curvilineo che oggi si vede ancora nell’area del Parco, sotto il campetto da calcio, appartiene invece ad un edificio della fine del III-inizi IV secolo, riscaldato, probabilmente parte di un complesso più vasto, che però non sembra potersi in alcun modo associare né alle terme di Tito, né al disegno di Palladio.

Ma perché allora Palladio avrebbe detto che quelle che disegnava erano le Terme di Tito? Ecco, qui si dovrebbe analizzare (ma non è questa la sede opportuna) il complessissimo e affascinantissimo rapporto tra l’Antiquaria del Cinquecento e la rappresentazione grafica della realtà archeologica.
Posso solo dirvi che questo problema l’ho affrontato personalmente con l’Arco di Druso e ve ne parlerò presto in un video su YouTube (a dicembre). Ma per ora mi limiterò ad accennare al fatto che l’approccio di questi immensi e dotatissimi architetti/artisti del rinascimentale è fortemente creativo e integrativo. Siamo sicuri, grazie a decine e decine di studi sul tema, che i loro disegni, anche se sembrano realistici, quasi mai lo sono davvero. perché l’atteggiamento culturale del tempo poneva al centro il pensiero dell’uomo umanista che quindi andava a sovrapporsi al rudere antico, interpolandolo. L’obiettivo era, in realtà, onorevole: si voleva rendere il giusto merito alla antica gloria di quei ruderi, i quali gli artisti del Cinquecento, sapevano ben percepire.

Ma tornando alla questione della attendibilità della rappresentazione: quando abbiamo per le mani un disegno cinquecentesco dobbiamo valutarne attentamente tutte le caratteristiche e le finalità, perché quasi mai sono quelle della rappresentazione filologica, bensì, più frequentemente, della ricostruzione.
Poi chiaramente ci sono delle eccezioni, specialmente sul fronte delle vedute e delle rappresentazioni cartografiche (Van Heemskerck, Du Perac…).
Ma non è il caso del Palladio che, invece, amava fantasticare, partendo dal dato reale. Era il suo pregio.
E infatti Silvia Calvigioni afferma che, sovrapponendo il disegno di Palladio ai rilievi archeologici fatti durante gli scavi degli anni ‘80-‘90, c’è, sì, una minima corrispondenza: guardate la figura 6 dell’articolo allegato.
Per ciò si può affermare che Palladio, esattamente dove ci trovavamo noi in live, c’è stato e ha visto quello stesso muro che vediamo noi e quasi certamente qualche altro resto ancora visibile.
Ma il problema è che la sbrigativa versione di Palladio (c’è confusione tra Terme di Tito e Terme Traiano) era tutta sua.
La Calvigioni, infatti, ci racconta che altri due famosi antiquari del tempo, tra i quali Pirro Ligorio, nelle loro vedute di Roma distinguono regolarmente i due edifici termali, Terme di Tito e Terme di Traiano. Tuttavia, il problema è poter stabilire la reale consistenza dell’edificio di età flavia (ricordate la sola fondazione cementizia?), come pure accettare per buona la inventata planimetria palladiana.
Concludendo, Rodolfo Lanciani, avendo in questo punto della pianta di Roma un problema dato dalla mancata verifica dei resti delle eventuali Terme di Tito (e qui ricordo che non era stratigrafico il metodo di scavo usato da Lanciani), alla fine, forse per sveltire e risolvere (leggete l’articolo di Calvigioni), prende per buono, senza ulteriori verifiche sul campo, il disegno di Palladio.
Bene, ora non mi resta che invitarvi a leggere integralmente l’articolo di Silvia Calvigioni che, con il suo consenso, allego a questo post. Se non siete archeologi troverete forse interessante l’occasione di leggere come noi stratigrafi trattiamo i dati con l’obiettivo di offrire una ricostruzione storica verosimile (perché siamo d’accordo che la verità è cosa da filosofi). Scaricatelo qui sotto!
Il cantiere delle Terme di Traiano, mese per mese.
La seconda storia ambientata sul Colle Oppio che vi voglio raccontare riguarda le Terme di Traiano.
Nella letteratura scientifica le conosciamo come le (effettive) prime grandi terme di tipo “imperiale”, importanti per tante ragioni, la più celebre delle quali è l’introduzione di un recinto attorno al blocco delle sale propriamente termali.
Se volete comprendere il senso e il successo di questa innovazione, associata al nome di Apollodoro di Damasco, potete visitare le Terme di Caracalla: sono più tarde ma conservano intatto il recinto.
Tornando al Colle Oppio, le Terme di Traiano sono ancora parzialmente visibili all’interno del Parco dell’Oppio, inaugurato nel 1939. Appena superato il cancello su via delle Terme di Tito, entrando in via Monte Oppio a sinistra trovate tutt’oggi il maestoso rudere dell’esedra sud-ovest del recinto delle Terme di Traiano.

Come abbiamo accennato nella live su Instagram, la costruzione delle Terme di Traiano (qui aggiungo: dopo il 104, entro il 109) ha creato un dislivello di almeno 5 metri rispetto alla quota delle Terme di Tito e della Domus Aurea, sepolta in quella circostanza.
La quota dell’esedra sembra farla “volare” sopra alle strutture vicine, comprese quelle che vediamo tagliate lungo la strada, parte di risistemazioni dell’antico quartiere in parte distrutto dall’incendio del 104, una circostanza devastante che ha dato, tuttavia, il “la” a Traiano per costruire un grandioso edificio termale in questa zona.

Di tutto questo, e cioè il quartiere di età Claudia andato in fumo, il seppellimento della Domus Aurea e la ricostruzione della planimetria del complesso, trovate molto sul sito web della Sovrintendenza Capitolina. Gli scavi e gli studi sull’edificio sono infatti stati condotti dalla funzionaria archeologa capitolina Rita Volpe e dall’allora archeologa de La Sapienza, Federica Michela Rossi (oggi funzionaria capitolina anche lei). Se digitate i loro nomi sul web, vedrete che salteranno fuori anche molti articoli scientifici sul sito web Academia.edu: se siete iscritti, potrete scaricarli liberamente (credo sia solo per accademici, però).
L’aspetto sul quale ci siamo soffermati in live è davvero sorprendente. Durante i lavori di scavo e restauro dell’esedra sud-ovest, le archeologhe hanno individuato una nutrita serie di date calendariali tracciate sui muri in laterizio delle Terme di Traiano con del pigmento rosso.

Già questo lascerebbe senza parole, eppure c’è dell’altro.
In una serie di elaborazioni fotografiche e disegni ricostruttivi, le date sono state graficamente distribuite sui muri e, mettendole in sequenza, sia temporale che fisica, si è riusciti a ricostruire l’intera scansione del processo costruttivo dell’esedra che vediamo oggi.
C’è voluto un anno per completare le gallerie di sostruzione. Ce ne sono voluti due per tirare su l’esedra, fino all’imposta, e la volta a catino, che però oggi non si conserva.

Capite quale straordinaria scoperta sia questa?
Trovare delle date ancora impresse su un muro dopo duemila anni.
Metterle in ordine e ricostruire il ritmo del lavoro manuale dei muratori, sul quale tanti studiosi hanno provato ad applicare modelli di calcolo senza poter mai arrivare a una conclusione certa, in mancanza di elementi cruciali.
Per l’ esedra delle Terme di Triano, invece, la buona sorte ha voluto che potessimo conoscere un dettaglio di portata – è proprio il caso di dirlo – monumentale.
Ecco, vi lascio qui sotto l’articolo di Volpe e Rossi 2012, nel quale troverete una puntuale spiegazione di questa scoperta pazzesca.
Davvero pazzesca.
E infine il Laocoonte.
C’è lo zampino dell’archeologa di Rita Volpe anche per quanto riguarda il Laocoonte.
Negli ultimi mesi la sto nominando parecchio (è anche l’autrice di “Roma arcaica e repubblicana” che ho recensito qui in video e qui sul blog), con sua grande sorpresa! Ma il fatto è che per ragioni legate alle mie ricerche e ai miei trascorsi lavorativi ho letto molti suoi articoli, trovandoli regolarmente illuminanti.
È il fatto che non siano arrivati a voi mi dispiace, è un vero peccato. Non siamo qui per giudicare i motivi di questa mancata connessione tra ricerca e pubblico, anzi, siamo qui per colmare questo vuoto!
E allora sentite la scoperta sulla statua del Laocoonte.
Il gruppo del Laocoonte fu scoperto nel gennaio del 1506 in una vigna sul Colle Oppio. La statua fu subito comprata da Giulio II per intercessione del suo fidato scultore Michelangelo e portata in Vaticano.

La vigna era stata vagamente localizzata sul colle, per cui nacque la voce che la statua fosse stata scoperta nell’area anticamente occupata dalla Domus Aurea.
La statua è ricordata da Plinio il Vecchio come la più bella del suo tempo ed era localizzata nella “casa dell’imperatore Tito”. E dunque, dove?
Rita Volpe, sul fronte topografico, e Antonella Parisi, sul fronte archivistico, hanno tracciato un percorso di ricerca condiviso per fare luce sulla questione.
Risalendo al nome del proprietario della vigna, il signor Felice de Fredis, si è innescata una serie di fortunati ritrovamenti d’archivio per cui le studiose hanno potuto indagare meglio la storia del fortunatissimo vignaiolo, scoprendo, ad esempio, che papa Giulio II, per ricompensarlo della vendita della statua, cedette a lui e ai suoi eredi la gabella di Porta di San Giovanni.
Non so se mi spiego!
Il signor de Fredis fece grande fortuna con il Laocoonte, al punto che poté essere sepolto in Ara Coeli, sul Campidoglio. Possiamo, dunque, ancora andare a portargli un saluto.
La ricerca topografica e d’archivio ha infine sciolto il nodo sul luogo del ritrovamento della statua. E no, non aveva a che fare con la Domus Aurea, come alcuni avevano ipotizzato; aveva invece a che fare con gli horti di Mecenate. Proprio negli archivi delle vigne, grazie ai nomi e ai riferimenti dei confinanti, le studiose Parisi e Volpe hanno potuto delineare con precisione i confini della vigna di De Fredis, localizzandola quindi lungo via Merulana, lato Colle Oppio, nell’area retrostante le Sette Sale, cioè la cisterna delle Terme di Traiano, dove abbiamo concluso la nostra live on the road.

Se volete divertirvi a percorrere l’area della vigna, scaricate l’articolo qui sotto e, pianta alla mano, muovetevi nello spazio del signor Fredis.
Concludendo.
Le tre storie che vi ho raccontato meritano tutta la nostra attenzione.
Che siate guide turistiche, professoresse e professori, residenti o curiosi, queste tre storie potranno arricchire di dettagli le vostre narrazioni sul Colle Oppio.
Sono storie sepolte, è vero, ma fortunatamente c’è “Muri per tutti” a “scavarle” e a riportarle alla luce per voi!
Ne approfitto ancora una volta per ringraziare tutti coloro che mi leggono, mi seguono e condividono queste mie storie con i loro contatti, sostenendo con la presenza e con le donazioni questo progetto, che sta crescendo ogni giorno di più.
Grazie di cuore per avermi seguita fino a qui. Alla prossima, Valeria 💜
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Carissima Valeria purtroppo non siamo riusciti a partecipare all’ ultimo incontro relativo ai ponti di Roma, dopo il 13 OTTOBRE, quando ci siamo incontrati l’ultima volta con gli Archeonauti Silvana ha dovuto essere sottoposta ad un intervento chirurgico importante al piede destro, niente di preoccupante per fortuna , ma sarà un pò lunga e settimana prossima andrà a togliere l’ ultima serie di punti. E poi speriamo che la riabilitazione sarà breve. Pazienza era da fare. Speriamo di rivederci presto per una prossima ” escursione” nella bellissima ROMA. Un caro saluto Antonio Silvana
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Caro Antonio, un affettuoso in bocca al lupo a Silvana e a prestissimo ! Sono certa non mancheranno occasioni per fare archeologia insieme 🙂 un forte abbraccio a entrambi 💜
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L’archeologia racconta storie meravigliose! Grazie per condividerle con noi
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Grazie a te per la vivissima partecipazione💜
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