Una delle mie lezioni di archeologia si svolge sul tema delle infrastrutture del mondo romano: normalmente strade, impianti di adduzione e deflusso delle acque, quindi acquedotti e fogne, e mura difensive.
Il mio tema preferito, e sul quale mi concentro meglio, sono proprio le Mura, un po’ perché le ho studiate a lungo e a fondo nel mio percorso di ricerca, un po’ perché sono talmente belle e visibili che non si può ignorarle.
Purtroppo, però, non sono adeguatamente spiegate e dunque ci si passa accanto senza sapere cosa rappresentino e quanto siano importanti, oggi, per la conoscenza della storia della città, dall’età repubblicana alla Seconda Guerra Mondiale.
Provo allora a ricomporre qui qualche riflessione sperando vi venga voglia di inserire questo frammento di Roma in una delle vostre peregrinazioni archeologiche.
Due cinte per due città

Una prima riflessione di carattere generale dalla quale vorrei partire è questa.
Roma ha memoria di almeno tre cinte murarie. Ciascuna rappresenta un particolare momento della sua vita e della sua evoluzione, in positivo e in negativo. Qui ci concentreremo sulle prime due: le così dette Serviane e le Aureliane (le terze sono le mura Leonine).
Se le Mura ‘Serviane’, costruite a partire dall’età arcaica, rappresentavano una difesa necessaria per una città in crescita e in espansione sul piano militare, le Mura Aureliane, costruite circa ottocento anni dopo, nella tarda età imperiale, costituiscono il segno di un destino diverso, in una fase di inevitabile declino. E infatti il loro senso ha proprio a che fare con questo.
Una seconda considerazione da fare riguarda gli effetti del passaggio di una cinta fortificata sul terreno, che non è mai solo un piano di calpestio, ma è molto di più: suolo occupato, suolo abitato, suolo sacro, suolo dei vivi, suolo dei morti. E quando è a un certo punto solcato dalla fossa di fondazione di un muro di difesa, cambia il suo status.
La terza considerazione riguarda l’archeologia di tutto questo. Premesso che l’archeologia non studia l’antico vaso, cioè solo cose antiche, ma è una lente con la quale scegliamo di analizzare e comprendere la realtà che ci circonda (se questa frase ti incuriosce, te la spiego in questo video), quanto e cosa oggi, noi, a Roma, possiamo ancora percepire di quei cruciali momenti in cui la popolazione si è, in occasioni diverse, trincerata dietro alle mura ? Quanto ne sappiamo dei due circuiti? Con quali materiali sono state costruite e da dove venivano? Perché sono state costruite? Dove possiamo ancora vederle?
Queste sono solo alcune delle decine di domande che potrebbe suscitare un tema del genere e no, non sarò io qui a darvi tutte le risposte del caso.
Preferisco partire, per una volta, da uno e un solo punto, per cominciare a parlarvi delle Mura di Roma. Al solito, cercherò di lasciarvi in fondo al post qualche risorsa da leggere, per cominciare ad affrontare l’argomento. Poi magari ci farò un video, così che sia più “orecchiabile” questa lunga e complessa storia.
Dove: all’Aventino
Un luogo di Roma dove nel raggio di pochi metri potete incappare in entrambi i circuiti difensivi è il verdeggiante e silenzioso colle Aventino. Diciamo meglio, dalle pendici meridionali a pochi metri oltre, verso la via Ostiense, nel quadrante sud-ovest della città.
Faccio spesso questa passeggiata, regolarmente ci porto studenti e amici, perché da molti punti di vista l’Aventino è un colle davvero fascinoso. In primis, per me, per la sua storia “minore”, la sua originaria vocazione plebea, che, come la tradizione ci insegna, ha sempre manifestato nella sua natura ospitale verso culti stranieri e rivoluzioni servili (ve la ricordate la secessione dell’Aventino quando i plebei incrociarono le braccia?). Per contro, oggi è tra i più esclusivi e costosi quartieri della città, non a caso sede di ambasciate. È anche il luogo dove si conservano il Mitreo di Santa Prisca e numerose domus romane magnificamente decorate, diversi metri sotto al piano di calpestio attuale.

Lungo via di Sant’Anselmo, costeggiando gli isolati residenziali delimitati da caratteristici muretti in scapoli di tufo giallo (un materiale iconico dell’Aventino), a un certo punto, nel tratto in discesa verso l’Ostiense, troverete una magnifica parete in blocchi di tufo giallo, protetta dal solito tetto che, a Roma, indica “cose importanti”.

La parete prospetta su una strada residenziale e dunque gli inquilini degli appartamenti allineati di fronte al muro lo ammirano ogni giorno, magari sorteggiando il caffè la mattina o bevendo un té in balcone il pomeriggio. O almeno, io farei così, se abitassi davanti a quel muro.
Via di Sant’Anselmo: le mura repubblicane.
Cosa stiamo guardando? Esattamente, un tratto delle Mura dette Serviane, ricostruite all’inizio del IV secolo a.C. in tufo giallo di Grottaoscura.
Il materiale usato ci dice che siamo dopo il 396 a.C., quando la città etrusca di Veio fu conquistata dai Romani e di conseguenza anche le sue ambite cave di tufo.
Le fonti letterarie ci dicono, poi, che dopo il sacco di Roma da parte dei Galli nel 390 a.C. (sul quale vi consiglio di leggere questo illuminante articolo di Alessandro Delfino) fu necessario potenziare l’antico sistema difensivo arcaico, costruito in tufo grigio “cappellaccio”.

E così, le Mura furono risistemate e in larga misura ricostruite. Il muro che state guardando vi offre la sua faccia esterna e dunque, se siete su via di Sant’Anselmo, siete fuori dalle mura. Proseguendo verso la via Ostiense, poi, trovate un altro tratto dello stesso muro, che costeggerete prima dall’interno e poi dall’esterno, girando verso piazza Albania.
Qui noterete un dettaglio della poliorcetica, vale a dire dell’arte di difesa bellica: un arco a tutto sesto, in blocchi di tufo, che si ritene essere stato inserito nella struttura per l’uso delle catapulte. Nei pressi di questo tratto, infatti, doveva aprirsi la Porta Raudusculana, una delle porte annoverate nel circuito delle mura arcaico-repubblicane.

Se guardate bene l’arco, noterete che è realizzato in un tufo diverso, come anche altri punti del muro: è possibile che sia stato inserito successivamente, nel lungo periodo di vita delle Mura che, come sappiamo, sarebbero state usate per difendere la città fino alla metà del I secolo a.C. Dal periodo augusteo in poi, infatti, sembrano essere più un segno, un confine amministrativo marcato da porte, più che uno strumento di difesa.
Un dettaglio che non deve sfuggirvi è quel breve tratto di paramento in reticolato, che noterete su entrambi i muri: il reticolato è formato da tessere piccole e si trova in posizioni diverse, è addossato al muro in tufo giallo e sembra tanto un rinforzo, anche se poco se ne conserva. A chi associarlo?

Di solito si fa il nome di Silla, quel Lucio Cornelio che agì da primo e scatenato dittatore agli esordi del I secolo a.C. E che avrete sentito nominare spesso, per la guerra sociale e il problema dei diritti degli alleati, oppure in relazione a Mario e al tempio B di Largo Argentina, oppure a riguardo di Pompei, quando impiantò i suoi veterani nell’antica città osco-sannitica, o infine a Terracina, quando impose il suo tempio di Venere sul preesistente santuario locale.
E qui, per inciso, capite perche questa Venere è la dea dei dittatori? Prima Silla, poi Pompeo e infine Cesare.
De hoc satis.
Si dice che Silla abbia condotto gli ultimi restauri alle Mura ‘serviane’ prima che diventassero un simbolo quasi ‘vintage’ della vecchia Roma.
Piazzale Ostiense: le mura imperiali.

Da Augusto al 270 d.C., per duecento settanta anni circa, Roma non ha avuto bisogno di mura difensive.
Le ‘serviane’ erano un lontano ricordo, la città era cresciuta economicamente e si era espansa a dismisura, togliendo sempre più terreno alle campagne. L’edilizia cresceva in verticale per contenere una popolazione sempre più numerosa. Due nuovi porti (che poi è uno ma fatto in due tranches) servono la città e contengono le ingenti derrate per sfamare i cittadini.
Dopo i Severi, però, la situazione precipita. Le frontiere si agitano, i popoli confinanti sentono che la ferrea barriera romana sta cedendo, non c’è più nessuno in grado di gestire uno stato tanto complesso ed esteso e quindi, inevitabilmente, la grande nave dell’impero comincia a imbarcare acqua.
Verso la fine del III secolo, durante quella che è stata definita “the age of anxiety” (tradotta in “l’età dell’angoscia” in una famosa mostra ai Musei Capitolini di qualche anno fa), l’imperatore Aureliano promuove la costruzione di una nuova cinta muraria, che chiamiamo Mura Aureliane.
Sulla carta, ha cominciato a costruirle durante il suo principato (270-275), poi le avrebbe concluse Probo. Si snodavano per 19 chilometri, oggi ne sopravvivono 13: è il monumento più grande di Roma, lo sapevate ?

Bene, ora che siete a piazzale Ostiense, fermatevi nella piazzetta subito dopo le rotaie della tram-via. Noterete due archi in conci di travertino, sormontati da un muro merlato. Noterete una corte all’interno, con degli altari antichi di marmo. Vedrete un arco singolo dall’altra parte. Se proseguite a sinistra, noterete dei muretti nel prato, che delineano una specie di semicerchio, si intuiscono appena.

Se guardate verso quella strada alberata che sale su (Viale Giotto), noterete che le mura proseguono ma sono interrotte da una breccia, e una targa commemora l’entrata dei tedeschi, da quella breccia, 8 settembre 1943. Roma è città aperta. Dopo il gran consiglio del 25 luglio, Badoglio firma la resa agli Alleati, il Re prima pone Mussolini in stato di arresto e poi scappa, abbandonando i cittadini romani al loro drammatico destino.
I tedeschi, ora ex-alleati, sono molto arrabbiati ed entrano in città lungo il percorso di risalita e “ritirata”. Tuttavia rastrellano oppositori in ogni vicolo, sconquassano il ghetto e si intensifica la Resistenza romana. Il tutto si concluderà nel giugno del 1944 con l’entrata degli Alleati a Roma. Costoro, sono passati dalle Mura Aureliane ancora in piedi.
A Roma, a Porta San Paolo, alcuni reparti dell’esercito italiano, affiancati da volontari delle prime formazioni partigiane, affrontano i reparti tedeschi per impedirne l’ingresso in città. Sono rapidamente soverchiati: alle 16 la firma della resa.
Roma è occupata. A trattare il cessate il fuoco Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, ufficiale del Regio Esercito, ucciso alle Ardeatine.
(Via Mausoleo Fosse Ardeatine)
Cimiteri e porte.
Tornando alla porta Ostiense, dirigetevi davanti alla porta, cioè, uscite dalla città. Ora avete la porta da un lato e d’altro la Piramide Cestia, l’inizio della via Ostiense e pure la fermata della metro B.
Come si intrecciano queste evidenze nel tempo? Siamo partiti dalla fine, cioè dall’ultimo capitolo della storia delle Mura Aureliane che è quello relativo ai fatti della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione nazifascista di Roma. Fatti che ci confermano la lunga vita delle Mura e il complesso rapporto con la città e la cittadinanza.

Questo che avete davanti a voi è però un manifesto della fine del III secolo (benché stratificato con evidenze di epoche successive), e come tale è stato concepito per delle necessità specifiche. Necessità che sono ancora al vaglio degli esperti.
Mi spiego meglio.
Un importante periodo di gloria dello studio delle Mura di Roma è stato il primo trentennio del Novecento, gli anni a cavallo fra le due guerre, quando, per forza di cose, matura un interesse scientifico per l’architettura militare.
È un interesse in realtà già ottocentesco, infatti i più bei disegni delle Mura Aureliane, e le più acute riflessioni fatte, al tempo, sono contenute nell’opera di Antonio Nibby, “Le Mura di Roma” del 1820. Non a caso, poi, le Mura saranno protagoniste della difesa della città durante i moti risorgimentali in quegli anni e simboleggeranno la fine dell’occupazione francese e del dominio pontificio con la celebre breccia di Porta Pia dell’8 settembre 1870.
Esatto, sono sempre le Mura Aureliane costruite nel 270-275 e restaurate da molti Papi a seguire fino alla fine dello Stato Pontificio.
Nel periodo tra le due guerre, a differenza dei momenti precedenti, si passa allo scavo d’indagine. Si conducono vari sondaggi presso le porte, per cui tra gli anni ‘30 e ‘40 convergono a Roma molti studiosi stranieri, tra i quali Ian Richmond: l’autore più celebre della prima opera completa sulle Mura di Roma con piante e sezioni (1931): The City Wall of the Imperial Rome.
La sua riflessione ha fornito per la prima volta una griglia temporale nella quale distribuire le evidenze. Le porte sono raggruppate per tipologia (a due archi, a un arco, con corte interna, senza corte interna…).
Tutto ciò per dirvi che durante quegli scavi si scoprì che porta Ostiense nasceva con due archi anche all’esterno e che solo in seguito (secondo Richmond durante il restauro di Onorio, 403 dC) le porte ad archi gemelli furono ridotte a un solo fornice.
Secondo lui con Massenzio (IV secolo), secondo altri studiosi (Valeria Di Cola ;)) già con Aureliano, le porte a due archi hanno una corte interna: la vedete proprio qui, l’unica esistente in questa foggia. Se vi sta venendo in mente porta Asinaria, perché avete visto una cosa simile, non avete torto.

A cosa serve la corte, anche detta controporta? È come un pay-toll: esigere le tasse, controllare chi entra e chi esce, armi e merci.
UN FIORINO ! (Ci stava dai).
Cosa è quell’edificio dentro alla corte, sulla sinistra ? In origine, era la casa delle guardie daziarie, stabilita fin dal tardo medioevo (si chiamavano i gabellieri) e poi da ultimo è stata la casa del custode del museo (c’era il Museo Ostiense dentro ai locali della porta).
E se vi sta venendo in mente anche Porta Appia, siete nel giusto: sono infatti considerate porte gemelle. Nei miei studi mi sono occupata della storia di porta Appia e della sua controporta: vi lascio un paio di miei articoli in fondo al post, con tante belle immagini e ricostruzioni !
La porta Ostiense, quindi, è importante per la sua tipologia, per gli evidenti restauri di cui è stata protagonista, per il fatto che reca ancora la corte intatta, e perché, a breve distanza, si trova la Piramide.
Perché qui, fin dall’età repubblicana, era nato un cimitero. Un cimitero lungo la via Ostiensis.
Facciamo un passo indietro.
Cancellate tutto.
Tenete a mente soltanto la linea delle mura dette ‘Serviane’ a nord e la via Ostiense che vi passa davanti.
Siamo in età Augustea, anni finali del I secolo a.C. Un eccentrico riccone, di nome Caio Cestio, dell’ordine dei Septemviri Epulonum, ossia dell’ordine dei più alti funzionari responsabili dei banchetti sacri, vuole essere sepolto in una tomba a forma di piramide.

Il perché è presto detto: Giulio Cesare, Cleopatra: la moda egittizzante dilaga a Roma. Poi arriva Marco Antonio – il novello Cesare – anche lui si unisce a Cleopatra, e Ottaviano si inalbera al punto da ingaggiare battaglia e sconfiggerli ad Azio nel 31 a.C.
E chi ha studiato storia e archeologia sa quanto i docenti insistessero sull’importanza epocale di quella vittoria navale.
Da quel momento, la storia personale di Ottaviano, così come la Storia di Roma, cambiano direzione. E così i simboli di quella che è stata definita ‘Egittomania’ finiscono per essere un segno di appartenenza alla fazione pro Ottaviano. Ed era meglio dirlo ad alta voce (e con evidenti segnali architettonici), perché Ottaviano era famoso per ammazzare chi lo contrariava.
Altro che uomo pio col capo velato, come lo consociamo dal ritratto di Via Labicana che avrete forse visto a Palazzo Massimo…
Le ragioni delle Mura.
Tutt’oggi è vivace il dibattito attorno alle Mura Aureliane. La domanda che affligge gli studiosi è: perché inglobare edifici precedenti, come la Piramide, i Castra Pretoria, l’anfiteatro Castrense e la posterula Ardeatina nel circuito murario?

Risposta classica: avevano fretta di finirle. E così, inglobando tutto quello che si incontrava lungo il percorso, hanno guadagnato metri quadri e quindi tempo.
Altra risposta: riciclo di materiali. Naturalmente, se guadagni metri quadri, guadagni anche materiali da costruzione, che già comunque sono carenti. In uno studio che abbiamo condotto a Roma tre, infatti, è emerso come i materiali usati siano tutti di recupero (vi lascio l’articolo in fondo).
Queste le versioni più o meno tradizionali. A un certo punto si inserisce nel discorso uno studioso americano che da New York fa arrivare una lettura totalmente nuova sul fenomeno: non solo fretta, non solo riciclo e non solo scopo difensivo: si tratta di mura di abbellimento. È come se la città, persa nel suo declino, avesse avuto bisogno di un segno che ne rafforzasse l’anima, come un abbraccio alla collettività. Un segnale dell’amministrazione che chiariva la presenza di un saldo riferimento, ancora esistente. Poi certo, le frontiere stavano comunque cedendo …
Questa lettura ha in parte scioccato gli archeologi italiani, fermi sulle posiIoni tradizionali. Di certo, ha dato una bella sferzata di novità con un approccio soprattutto culturale, più che tecnico, all’analisi del senso delle Mura Aureliane.
E per rafforzare la sua ipotesi Hendrick Dey – questo è il suo nome – fa notare come un circuito di 19 km pieno di porte, alcune anche molto grandi (come la stessa porta Ostiense, prima fase), non è esattamente coincidente con l’idea di un muro di difesa. Lo sarebbe diventato, invece, con la riduzione delle porte grandi, da due archi ad uno, associata al nome di Onorio, inizio V secolo. Poco dopo infatti sarebbero entrati i Goti di Alarico.
Concludendo.
Ecco, quindi, in estrema sintesi, una storia delle Mura di Roma a partire da due tratti delle due strutture che potete ritrovare voi stessi passeggiando per la città.
Vi riepilogo brevemente alcuni testi che vale la pena di leggere per approfondimento :
📚📚📚
Rita Volpe, Roma arcaica e repubblicana, 2024 (Carocci): lo trovate in libreria e ve ne ho parlato sia in video che qui sul blog. È una breve guida della storia di Roma con dei riferimenti precisi alle Mura dette Serviane.
📚📚📚
Valeria Di Cola, Studio dei paramenti laterizi delle Mura Aureliane: la selezione dei campioni, in AA.VV., Le Mura Aureliane nella storia di Roma, 1, 2017: questo articolo vi aiuterà a entrare dentro il mondo dei paramenti laterizi e del metodo di indagine sui materiali da costruzione. Ma vi consiglio soprattutto di leggere le parti introduttive sui contesti di riferimento: un vero viaggio nei paramenti laterizi romani! Scaricatelo qui 👇
📚📚📚
Valeria Di Cola, Appunti sulle controporte delle Mura Aureliane e il caso della Porta Appia, (stesso luogo del precedente): nello stesso volume ho trattato anche le porte e le relative corti interne/controporte. Troverete quindi le mie ricostruzioni di porta Appia basati proprio sulla gemella porta Ostiense. Scaricatelo qui 👇
📚📚📚
Hendrick Dey, The Aurelian Wall and the Refashioning of the Imperial Rome, 2015 (Cambridge University Press): questo è un saggio scientifico a tutti gli effetti, dunque lo consiglio a chi già un po’ conosce la problematica trattata e soprattutto legge l’inglese. Lo trovate in vendita in vari distributori!
Per ora è tutto, ma ci torneremo, magari con una sessione di #muripertutti sul campo. Grazie per avermi seguita fino a qui e alla prossima! Valeria 💜
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