[Questo articolo è dedicato con affetto a Fabiola e ad Alessia, che con la loro generosità sostengono mensilmente questo progetto💜]
La mia quinta Parigi, la mia prima Parigi 🌎

Prima di partire per Parigi ho letto un libro (Nomadland, di Jessica Bruder, Edizioni Clichy 2017) che mi ha particolarmente segnata. Sconvolta, per meglio dire. Non è questo il post in cui ve ne parlerò, perché non è pertinente per il contenuto, ma c’è un dettaglio della storia che è narrata nelle sue pagine: rimanda spesso al mondo dei bloggers (di viaggio, in quel caso) e, quindi, al BLOG quale strumento di espressione di sé e di socializzazione virtuale.
In quel racconto d’inchiesta, molti dei viaggiatori americani intervistati, tragicamente nomadi, costretti a girovagare per strade, parcheggi, aree di sosta e campeggi alla ricerca di una dimensione dignitosa della propria esistenza altrimenti drammatica, tenevano regolarmente dei blog in cui non solo parlavano di sé, ma finivano per dare consigli e suggerimenti ai tanti viaggiatori che, come loro, si accingevano, magari per la prima volta, ad intraprendere lo stesso, drammatico viaggio, senza più una casa in muratura sulle spalle, e trovavano proprio nei post pubblicati sui vari blog a tema le risposte e l’incoraggiamento necessari a non vacillare.
L’idea che l’esperienza vissuta possa essere di una qualche utilità alla comunità sterminata del web mi ha fatto venire in mente che mi sarebbe piaciuto condividere le mie riflessioni e i miei tragitti, non solo per il gusto di raccontarli (perché lo ammetto, per me è davvero liberatorio!), ma in modo particolare per offrire una versione, personale, testata “on the road”, dei luoghi nei quali ho viaggiato.
Non solo muri, quindi, ma anche quel che c’è intorno, come arrivarci, dove trovarli, cosa farne, dove trovarne altri, dove riposarsi, dove far giocare i vostri bimbi (se viaggiano con voi) e così via. Il mio auspicio è che questo spazio virtuale possa ispirare i vostri viaggi, svelarvi nuove mete, offrirvi differenti prospettive su luoghi già visti, posto che ciascuno di noi ha i propri occhi per guardare e il proprio cuore per emozionarsi.
E allora proverò a raccontarvi la “mia” Parigi e mi farete sapere – spero – quanto e come si incrocerà con la vostra, già vista o da vedere. Faccio solo un’ultima precisazione. In questo mio ultimo viaggio è come se avessi vissuto una nuova Parigi, un po’ per l’invadenza degli arredi per le Olimpiadi 2024 (concluse l’11 agosto, giorno del nostro arrivo in città), un po’ perché ho viaggiato con la famiglia, portando una bimba di 4 anni e il relativo passeggino.
E proprio per via del ‘passeggino’ è totalmente cambiata la mia percezione della città. È stato come vederla per la prima volta.
Alloggiare nel 19° arrondissement: un’ottima idea.

Ero già stata a Parigi quattro volte. In almeno due occasioni ho viaggiato con una mia carissima amica, al tempo dei nostri studi dottorali, per andare a trovare un’altra nostra carissima amica che si era trasferita lì durante il percorso di laurea. Occasione ghiottissima quando puoi andare a Parigi ed essere ospitata in una casa parigina, con la sala da pranzo illuminata da vetrate, il pavimento in legno di quercia scricchiolante e le porte dotate di maniglie tonde dal gusto retrò.
Parigi è una città che si fa desiderare, gli alloggi, si sa, sono uno dei punti critici nel momento in cui si pianifica un viaggio, ma sappiamo bene che la prima volta che si visita un posto nuovo, l’ideale sarebbe alloggiare nel centro storico, se esiste. E dunque a costo di dormire in un abbaino di 3 metri quadri, varrà la pena scendere in strada e arrivare all’Île de la Cité passeggiando, perché, specie a Parigi, dove l’insediamento romano nacque sulle sponde della Senna, ciò vi farà comprendere un pò meglio la geometria della città stratificata.
Un ottimo compromesso, però, è quello di alloggiare nella seconda o terza linea della spirale disegnata dagli arrondissement (una delle prime cose che imparai nei viaggi sopra citati). A Parigi i mezzi pubblici funzionano molto bene e sono perfettamente interconnessi, sia sottoterra (il Metrò è un capolavoro infrastrutturale), che su strada (ci tornerò su tra un attimo). Per ciò alloggiare nei quartieri leggermente meno centrali è comunque un’ottima idea, specie se vi interessa vivere una Parigi un pò meno turistica e – come tutte le grandi città europee – un pò troppo finta e caotica, a favore di una città più autentica.
Il 19° arrondissement è il quartiere dove ho alloggiato nel mio ultimo viaggio e mi è piaciuto moltissimo. È un quartiere residenziale, dall’aspetto tipicamente borghese, con bei palazzi storici alternati a costruzioni più recenti, non sempre altrettanto belle, ma che quasi mai danno l’idea dello scempio insensato tipico dell’edilizia di Roma, per dirne uno. Il quartiere sorge su una formazione collinare, per cui ha molte salite/discese: chi vive il centro di Roma non soffrirà per questo, sarà come andare dal Colosseo al Celio o all’Oppio. Certo, dovendo spingere il passeggino serviranno polsi forti.
Questo arrondissement ha molti punti di forza:
- l’ottima connessione con il centro attraverso la metro (ad esempio la linea 5);
- il collegamento, in meno di un’ora, con l’aeroporto di Orly (coincidenza con la metro 4 a Gare de l’Est fino a Chatêlet e poi la nuovissima linea 14, prolungata per le Olimpiadi 2024).
- il collegamento anche via bus con il centro (con il mitico 75) e con praticamente tutto il resto della città.
- la presenza di tutti i servizi essenziali in più punti, dalle Poste alle farmacie (va beh, a Parigi, si sa, ce ne sono moltissime), dai supermercati ai Caffè, dalle boulangerie ai ristoranti, locali ed etnici.
- il magnifico parco Buttes-Chaumont, un vero e proprio polmone verde, nel quale perdersi e ricrearsi.
- la vicinanza al cimitero monumentale di Pere Lachaise
- la vicinanza al quartiere di Belleville (esatto, quello di Daniel Pennac💜)
Parc Buttes-Chaumont: vivere come i parigini

L’elemento che forse più caratterizza il “diciannovesimo” è il meraviglioso Parc Buttes-Chaumont, il terzo più grande della città, dove si ha subito un forte impatto con il modo di vivere tipicamente Parigino, ma anche con quella cultura architettonica d’oltralpe che a noi, intendo romani di Roma, è giunta dopo l’Unificazione attraverso la presenza sabauda dei Savoia (il quartiere dell’Esquilino vi dice qualcosa?). Insomma, per dire che la sensazione è quella di stare in un posto nuovo (io non c’ero mai stata prima), eppure familiare.
La familiarità è data proprio dal tempietto circolare che decora la sommità del costone roccioso (una vecchia cava di gesso sagomata per l’occasione): il monoptero (questo il suo nome tecnico) è direttamente ispirato al ‘Tempio della Sibilla’ di Tivoli. Interessante, vero? In questo, confesso, gli studi di archeologia aiutano a leggere taluni dettagli nei paesaggi storici europei e internazionali. E con paesaggi qui intendo qualsiasi panorama, che sia urbano o naturalistico, con il quale l’uomo ha a che fare.
Pensate a quanta architettura palladiana, ricalcata sui classici dell’eta romana, esista in America. Viaggiare, dunque, è un ottimo modo per affinare tali abilità cognitive e goderne.
Un modo autentico e soddisfacente di sentirsi a casa (quasi) in ogni luogo.
Tornando al Parco Buttes-Chaumont, il suo architetto, Jean Charles Alphand, finanziato dal Barone Haussmann, appaltatore di Napoleone III, avrà senza meno avuto una certa infatuazione, e forse anche visto di persona (sto sognando), certa architettura antica in Italia. Mentre si perfezionava questo polmone verde, negli anni 1860-1867, a Roma, si conducevano i primi e più importanti scavi ‘urbani’ della storia di Roma, in coincidenza con la fibrillazione per il nuovo volto che la neonata Capitale d’Italia doveva assumere secondo i dettami della cultura architettonica sabauda, ossia d’oltralpe. Ecco, quindi, che il Parco è molto più vicino a Roma di quanto non ci sembri.
Questo Parco meraviglioso si anima sin dalle prime ore del mattino con attività di meditazione e jogging. Dunque è un enorme bacino che richiama una buona percentuale della popolazione locale. Ma ovviamente richiama anche i turisti (e ci metto dentro anche noi). Quel che ho sempre ammirato nei parigini, e nei turisti che in questo li imitano, è proprio l’arte del prendersi del tempo per sé, un tempo di individualità o di socialità, specialmente al termine della giornata lavorativa. Nel mio primo viaggio a Parigi rimasi colpita al vedere le banchine della Senna popolate di persone in abiti formali (cioè appena usciti dall’ufficio) che estraevano calici di vetro, bottiglia di vino e stuzzichini da una sporta. Ho pensato due cose: “che cosa romantica!” e “che cosa geniale!”

Nei parchi francesi ci sono persone tranquillamente sole che leggono o ascoltano musica, donne sole (e lo sottolineo, perché a Roma non durerebbero mezzo minuto prima di essere importunate) stese a prendere il sole; ci sono famiglie, di nazionalità diverse, con bambini, nonni e zii al seguito. E tutti sono seduti o sdraiati su un telo, fino a sera inoltrata. Anche qui, potendoli vedere dalla finestra dell’appartamento dove alloggiavamo, posso dire con certezza che in molti restavano fino alle 22 almeno.
Ecco, in questa mia quinta volta a Parigi, la prima da mamma, ho amato molto questo parco, in quanto offre spunti per ogni interesse, dall’area giochi alla memoria storica. Su queste collinette verdi, come spiega una sistematica pannellistica, il 25 e 27 maggio 1871 furono giustiziati, senza processo, alcuni sostenitori della Comune. E i Parigini, si sa, tengono molto alla storia della propria città, specie le pagine legate agli aspetti rivoluzionari e a difesa della Libertà.
Il bus: la soluzione perfetta per viaggiare comodi
Poi, in questa zona, abitò Ernest Hemingway e prima ancora vi alloggiò, fino al decesso, il poeta Paul Verlaine. Il mio suggerimento è di camminare tanto e con le antenne ben alzate, perché potrebbe capitarvi di trovare un portone aperto e di intravedere un interno di una casa in opera a pisé, cioè con strutture portanti in legno ancora ben leggibili e gli spazi residui, un tempo riempiti in materiale deperibile, oggi fatti in muratura. È stato come tornare indietro nel tempo, alle catapecchie ante Révolution, alle architetture estremamente infiammabili, modeste…e meravigliosamente pittoresche.
In questo viaggio a Parigi ero convinta che avrei potuto muovermi liberamente in Metropolitana. Il fatto di dover spingere un passeggino, però, ha implicato sin da subito faticosi sollevamenti per diverse rampe di scale, dal momento che solo le stazioni del Metro più recenti, o di recente ammodernate, prevedono gli ascensori.
E così, su consiglio della mia amica parigina, ho sperimentato una Parigi inedita, in autobus. Ed è stata una Parigi inaspettata!
Ammetto di essere avvezza a prendere i mezzi pubblici a Roma, in quanto dai 15 anni in poi sono sempre stata pendolare. E ho sempre affrontato gli autobus con una certa curiosità, specie quelli che attraversano il centro storico: quando ho del tempo, infatti, una delle mie passioni, è prendere il tram e leggere un libro, guardando ogni tanto fuori dal finestrino.
Di fatto, non è in metropolitana che impari a conoscere una città: lo puoi fare camminando o prendendo un bus. E così, dal 19° arrondissement abbiamo preso, praticamente ogni giorno, il bus 75, che fa capolinea dall’altro lato del fiume, al Panthéon. Con il 75 si attraversa il 19° ovviamente, per poi raggiungere Place dé la Republic, e di lì giù verso il Marais, Ile de la cité fino alla riva opposta.
La connessione tra i bus è a dir poco pazzesca. D’accordo, io ho avuto la fortuna di essere seguita ‘da remoto’ dalla mia amica parigina, ma ho usato con agio l’applicazione Mappe o Google Maps per conoscere orari e coincidenze. E ho potuto apprezzare una Parigi vera, autentica, non solo turistica, specie quando il bus attraversava zone affatto turistiche. Era sempre interessante osservare le diverse etnie che salivano e scendevano in base ai quartieri attraversati.
E ho molto apprezzato, oltre alla proverbiale formalità per cui non devi mai pronunciare una frase senza prima aver detto BONJOUR, il manifesto rispetto per le donne, che fossero anziane o giovani, specialmente se con bambini.
Non ho percepito mai lo straniero.
E a dispetto del ricordo che avevo dei parigini altezzosi che non parlano inglese (le solite dicerie da bar), nel momento in cui abbiamo avuto bisogno di aiuto (perché, a causa delle Olimpiadi 2024, alcune fermate non erano servite) beh, i passeggeri si sono subito dati da fare per aiutarci a capire come muoverci. Non saranno stati parigini doc? Non direi…
E sapevate che nei bus di Parigi c’è uno spazio apposito adibito ai mezzi con ruote? Che sia una sedia a rotelle o un passeggino c’è uno spazio riservato, che nessuno si sogna di occupare indebitamente. Questa etica dei trasporti mi ha fatto piacere e da romana, che ha dovuto sempre lottare contro le smorfie di insofferenza dei passeggeri nel momento in cui issavo sul bus il passeggino, mi ha fatto realizzare che non siamo educati, né evoluti. Direi anzi arretrati in modo anacronistico.
Vi invito dunque a considerare l’ipotesi di visitare la vostra Parigi in bus: vi sorprenderà.
Il Musée de Cluny e la Parigi romana e medievale

Il Museo che mi ha scaldato il cuore di archeologa dell’architettura è stato senz’altro il Musée de Cluny. Ve l’ho mostrato in diretta attraverso le storie di Instagram e Facebook e ho constatato che vi ha emozionati molto. Alcuni di voi lo conoscevano, altri no, altri ancora lo avevano trovato chiuso. E dunque sono felice che questo mio progetto “Muri per tutti” possa portarvi dove ancora non avete avuto modo di arrivare.
Il Musée de Cluny lo avevo già visitato in uno dei miei primi viaggi, ma naturalmente questa volta l’ho guardato con altri occhi. Intanto è uno dei pochi contesti stratificati ancora interamente visitabili, dove insistono tre fasi architettoniche principali:
- le Termes du Nord di età romana;
- il complesso medievale dell’Hôtel de Cluny;
- le superfetazioni ottocentesche e gli ammodernamenti per installarvi il museo.

L’esperienza al Musée de Cluny è piacevole, anche perché il personale di sala è solerte e vedendoci arrancare col passeggino ci ha sempre prontamente indirizzati verso i montacarichi. Da una che nei musei ha lavorato per dieci anni, mi sono sentita rispettata e accolta in quanto visitatrice.
Ed è solo così che posso concepire un MUSEO, luogo che, secondo le definizioni più note, è il luogo per eccellenza dove si dovrebbe crescere, apprendere, emozionarsi, sentirsi accolti.
Il percorso si muove tra le architetture stratificate e comincia dalla fase romana, grazie a una passerella che conduce fin dentro alle sale termali. Le strutture superstiti delle Terme del Nord (uno dei tre complessi termali della antica Lutetia) sono monumentali e, visivamente, richiamano le architetture ‘nostrane’ in opera mista. Qui, però, in area gallo-romana (come si usa dire in Francia), la traduzione locale dell’input della capitale si esplica in muri in cementizio con paramento in specchiature di blocchetti rettangolari di arenaria locale e cinture di laterizio. Il mattone, gloria del II secolo a partire da Traiano, è ben presente e identificabile; le specchiature, invece, tradiscono l’anima del luogo.
Ho sempre amato proprio questo dello studio delle architetture antiche: vedere come la singola realtà decidesse – o avesse modo – di applicare il dettato romano. E dunque di fronte alle imponenti strutture termali di Cluny non si può non attivare immediatamente un collegamento mentale con Roma, con le Terme di Traiano e con la tradizione costruttiva del tempo. E si capisce anche molto bene come l’investimento maggiore di materiali di qualità fosse sempre e solo nella capitale, il vero cuore dell’impero e della propaganda, mentre nelle periferie dell’amministrazione bastava far giungere l’idea di quella governance. Bastava quella.

La visita prosegue nella sala del Frigidario che ancora conserva la sua volte a crociera – immediato il confronto visivo con le aule delle Terme di Diocleziano, Qui, però, si comincia a capire quale sia la natura di questo Museo (come si apprende anche dal pannello introduttivo): si tratta di una prestigiosa collezione di oltre 20mila pezzi, raccolti da Alexandre Du Sommerard ed esposti al pubblico per la prima volta nel 1844.
In quanto collezione, quindi, non è costituita da contesti ma da oggetti raggruppati secondo l’intesse del collezionista e, nel caso specifico, focalizzati a rappresentare ‘Il Medioevo’. Ecco, questo tipo di Museo non era quello che mi aspettavo, speravo fosse più un museo dove si facesse archeologia in senso contestuale, per comprendere la storia di Parigi nel Medioevo, ad esempio.
A questo punto, l‘archeologa che è in me fa una scelta e decide di guardare solo ciò che è di suo interesse in questo momento: la parte romana e le sculture disperse di Notre Dame. So che può sembrare snob e che una volta dentro sarebbe meglio vedere tutto, ma io, a questo punto della mia esperienza, dico NO.
Un’indigestione di pezzi presi qua e là, per quanto strepitosi ma pur sempre sradicati dal luogo d’origine, e quindi senza storia, non è ciò di cui avevo bisogno. E così mi sono concentrata su alcuni pezzi, come il ciclo di arazzi cinquecenteschi detti della Dama dell’unicorno, oppure la rarissima vetrata istoriate di ambiente domestico o gli arazzi parigini e una calzatura di cuoio dal medesimo periodo storico. Un “Medioevo” un pò caotico e fondato sul valore estetico del pezzo.


Il senso della mia riflessione è questo: se sono a Parigi per la prima volta, naturalmente il Museo del Medioevo vado a visitarlo e melo vedo anche tutto. Ma nel mio mondo ideale – per citare Alice – nei musei ci si torna e ritorna, ogni volta con occhi nuovi, interessi inediti, curiosità diverse. E dunque se non ho voglia di collezionismo del Medioevo, ma solo di terme di età romana, ci andrò per questo motivo, senza sentirmi in colpa nemmeno per il mio portafoglio, perché sarà stato comunque un arricchimento che ho governato io con il mio pensiero, e non perché il mercato culturale ha deciso che dovevo farlo.
E questo è molto importante saperlo, farlo e condividerlo. Non vi pare?
Rue Monge e l’arénes de Lutece

L’archeologa che è in me, e che questa volta a Parigi ha portato il suo progetto “Muri per tutti”, non poteva perdersi l’anfiteatro di Lutetia: già, perché esiste un “Colosseo” parigino, anche se non se ne parla mai.
Non vi aspettate nulla di eccessivamente monumentale. Tuttavia, potete aspettarvi qualcosa di assolutamente particolare, in quanto sorprendentemente incastonato tra i palazzi del 5° arrondissement.
Il mio suggerimento è di entrare dalla porta principale, di inizio Novecento, e di uscire dal corridoio antico sull’asse longitudinale, ancora perfettamente tracciato. L’ingresso principale è il tipico prodotto in stile moderno che segnala la presenza di quella che i francesi chiamano “Arènes de Lutece” lungo la maestosa Rue Monge: una facciata monumentale decorata ‘alla pomepiana’ (clausura, finestre ad arco su pilastri) con un bell’elmo gladiatorio (pure quello di tipo pompeiano) incastonato nel centro e una targa che spiega il sito.


Questo anfiteatro, che ci documenta come Lutetia fosse perfettamente romanizzata offrendo ai cittadini i tipici intrattenimenti della Capitale, ossia venationes (cacce delle fiere) e munera (spettacoli gladiatori), poteva ospitare fino a 15mila spettatori. Così dicono le stime.
Fu scoperto sbancando la città vecchia con l’intenzione di costruire non solo un quartiere, ma anche una stazione di deposito dell’Omnibus. La scoperta delle rovine di età romana fece da un lato inorridire gli impresari, dall’altro emozionare i cittadini, tra i quali un facinoroso Victor Hugo che subito si adoperò per fermare il cantiere e salvare l’edificio.
L’arena era al pianterreno, ossia non prevedeva il piano sotterraneo. La costruzione di attribuisce sempre al periodo traianeo-adrianeo, quello nel quale la longa manu romana aveva sistematizzato l’organizzazione urbanistiche di molte città dell’impero: era importante respirare una certa aria di controllo dall’alto in queste località tutto sommato remote. E l’anfiteatro è uno degli strumenti nelle mani del potere centrale, insieme alle Terme. La chiamano civilizzazione (ora ‘romanizzazione’ non si può più dire), ma di fatto era una forma di sottomissione, culturale ed economica.


E veniamo agli aspetti costruttivi. Ai miei occhi, questi sono forse quelli che meglio riescono a raccontare la realtà locale, perché da quel che ci insegnano gli studi scientifici, le ditte che costruivano materialmente gli edifici, per conto dell’amministrazione di Roma, erano presumibilmente istruite da quelle romane, ma nei fatti, al momento di impiantare i cantieri, parte della manovalanza era anche rastrellata in loco. E così, l’anfiteatro di Lutetia non ha mattoni, almeno non nelle porzioni oggi conservate. Mi ha ricordato i vari anfiteatri che ancora sopravvivono nelle località d’Italia come Alba Fucens o Carsulae, dove la pietra locale la fa da padrona e i mattoni, se ci sono, sono scarsissimi.
Vi sorprenderà il modo in cui i palazzi della città moderna si siano impiantati sui resti dell’arena, la quale, tutt’oggi, è uno spazio che brulica di vita e di attività, dalla lettura, al relax, a varie altre attività, non ultime le Olimpiadi 2024. Anche noi ci abbiamo giocato, in compagnia di tanti bambini e ragazzi, francesi e non.
Viste le Terme, visto l’anfiteatro, i muri antichi di Parigi romana sono pochi altri e non attualmente visibili. E dunque non potete fare altro che visitare tutto il resto, ma sempre con la curiosità di chi cerca di leggere, attraverso i muri e i luoghi, la storia che li ha creati e l’anima che li abita.
Le mura scomparse e le strade dei mestieri

Il 5° arrondissement, il Quartiere Latino, ha delle vere chicche. Non lo avevo particolarmente esplorato prima e ne sono rimasta affascinata. Il luogo più famoso è forse il Panthéon: noi questa volta non lo abbiamo fatto (troppa coda per entrare e con una bambina era proibitivo), ma sono certa che meriti la visita, anche perché si può salire fino alla cupola. Ah, aggiungerei la Sorbona, subito fuori dal Musée de Cluny: il più antico istituto di formazione (originariamente religiosa) di Parigi.
Camminando per le strade, d’altronde, si scopre tanto di più della storia della città. Ad esempio, in Place de la Contrescarpe siete nel cuore di un antico quartiere produttivo, il cui nome però rimanda all’esistenza delle Mura medievali di XIII secolo. La memoria della cinta difensiva si tramanda, un pò in tutta Parigi, attraverso pannelli affissi alle pareti dei palazzi. Qui un pannello informa i passanti del passaggio delle antiche mura e della porta, con le sue torri e, quindi, della relativa parete di controscarpa.
La Toponomastica è quella meravigliosa parte della Topografia che ci insegna a far tesoro dei nomi dei luoghi, in quanto ‘strati’ della loro storia.

Infine, vi segnalo l’antichissima Rue Mouffetard (il nome rimanda alle puzzolenti esalazioni che venivano da questi vicoli), che sono venuta a vedere in quanto si dice sia uno degli assi della città romana, poi variamente amputato dal barone Haussmann nel XIX secolo. Oggi qui scorre la movida, ma ancora sopravvive la memoria di antichi mercati e macellerie, direttamente dalla città medievale.
Per ora mi fermo qui
Potrei andare avanti ancora lungo, ma so che è faticoso seguire un testo a schermo. Anzi, chiedo a voi? Arrivati fin qui, leggereste ancora? Grazie se me lo direte nei commenti, mi sarebbe utile saperlo.
Avrei ancora tanti muri, spazi culturali, suggestioni da condividere con voi e mi riservo di farlo in futuro. Magari in un secondo capitolo, o, chissà, in un libro magari organizzato in itinerari “Muri per tutti” pensati per voi.
Ma mentre cerco di trovare una forma adeguata a questo fiume di pensieri che mi inonda, voi fatemi sapere se questo itinerario vi piace, se vi è utile e se contenuti del genere possano per voi trovare spazio qui sul blog.
E vi ringrazio, sempre, per ogni “mi piace” che vorrete lasciare, per ogni condivisione che vorrete fare di questo articolo, e per ogni donazione che potrete fare per supportare questo mio lavoro di divulgazione: sappiate che per farlo vi basterà scorrere la pagina verso il basso per trovare lo spazio dedicato dalle donazioni, oppure cliccare qui.
Alla prossima 💜
Valeria
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