ARCHEOLOGIA DELL’ARCHITETTURA E STORYTELLING
Nella mia gavetta di archeologa ho lavorato duramente, e a lungo, su due fronti: la ricerca sui metodi di documentazione archeologica (piante, sezioni, prospetti, ricostruzioni), e il racconto dell’archeologia, che se lo chiamiamo “storytelling” forse ci capiamo meglio. Per almeno vent’anni sono stata sugli scavi e contemporaneamente ho lavorato alla didattica in musei, presso monumenti e siti archeologici, perfino quartieri della città, imparando moltissimo su entrambi i fronti.
So che siamo in tanti ad occuparci di questi temi, specie del secondo e che siamo anche tanto soli. Col tempo, e con l’aiuto del mio lavoro come ricercatrice, ho elaborato un sistema per affrontare un muro, un edificio stratificato, un paesaggio storico, ponendomi delle domande. Memorizzandole e cercando, ogni volta, di costruire una risposta (il che implica fare ricerca), ho costruito un mio personale modo per non trovarmi in difficoltà sul campo.
E se siamo qui per condividere metodi e tecniche tanto della ricerca scientifica, quanto della narrazione, sono ben felice di portare qui sul mio blog, e quindi, spero, nella vostra vita, alcuni suggerimenti che per me sono stati preziosi e utili nell’attività.
Per aiutarvi a conservare e memorizzare questi spunti, ho ideato delle info grafiche sperando che le troviate utili per mettere a punto le vostre future “scalette”. Ho voluto volare alto e pensare a dei contenuti trasversali, auspicando che possano tornare utili ai più: ho in mente i turisti che girano il mondo in cerca di muri; ho in mente i colleghi archeologi e architetti che operano sul campo; ho in mente agli studenti alle prime armi; ho in mente le guide professioniste impegnate quotidianamente nel racconto, specie se all’inizio della loro attività. Ho in mente chiunque, là fuori, desideri porsi delle domande e provare ad affilare gli strumenti per costruire le proprie risposte. Specie se di fronte a un pubblico in attesa di ascoltarle.
UN MURO DA SCAVALCARE
Mi è capitato, infatti, di toccare con mano “l’ansia di affrontare il pubblico”, non tanto mia – sono nata istriona – quanto dei giovanissimi allievi che ho avuto l’onore di formare in varie occasioni. L’ultima è stata durante un progetto creato in collaborazione con il Parco Regionale dell’Appia. Si chiamava “Dialogando con il paesaggio” ed era ambientato nei meravigliosi spazi della ex Cartiera Latina, lungo il fiume Almone. In quella circostanza, grazie al sostegno della Direttrice, Alma Rossi, e dell’archeologa funzionaria alla Comunicazione, Caterina Rossetti, ho potuto creare un vero e proprio laboratorio di formazione in cui i partecipanti potessero ideare, strutturare e mettere in scena una performance per aspiranti narratori dei paesaggi storici e archeologici. E per l’occasione ho scritto un piccolo vademecum da donare loro, augurandogli un futuro da narratori dei paesaggi stratificati.
Mi ha sempre tanto commosso quell’innocente timore pieno aspettative, che blocca di chi deve fronteggiare il pubblico per la prima volta. E anche qui – per restare in tema – di un muro aveva la forma la loro preoccupazione di affrontare la prova. Da lì mi è venuto lo spunto per allargare questa riflessione anche all’analisi, all’indagine scientifica che è a monte della narrazione. Insomma, ho seguito il mio motto: dalla ricerca alla divulgazione!
Poi, inutile negarlo, le vostre continue sollecitazioni, attraverso domande, pensieri, curiosità condivise, mi hanno definitivamente convinta a prendere sul serio questo progetto di archeologia pubblica e a crederci profondamente. Eccomi, quindi, a compiere il primo passo verso quello che, spero, potrà diventare un progetto di promozione dell’archeologia su vasta scala.
UNA FORMULA MAGICA PER AFFRONTARE UN MURO, UN EDIFICIO, UNA CITTA’.
Sono la prima a rifuggire la banalizzazione della complessità, tanto di moda di questi tempi. Ho però constatato, con profonda amarezza, che il mondo accademico nel quale mi sono formata e ho lavorato per gran parte della vita non ha avuto a cuore “il resto del mondo”, se non a partire dall’ultima manciata di anni. E con conseguenze non sempre soddisfacenti, restando un mondo chiuso in se stesso e allergico all’intromissione dei fruitori naturali della ricerca scientifica: i cittadini del mondo.
Senza nulla togliere alle montagne di libri che è necessario studiare per fare l’archeologo (e qualsiasi altro mestiere, a volerlo fare bene), e senza sminuire di un centimetro i km che è doveroso percorrere per imparare a leggere i muri, gli edifici, i siti archeologici, le città, ho ideato una “formula magica” che può accompagnare, in background, più o meno ogni tipo di ricerca e ogni tipo di racconto.
La formula è questa: 5W + 1H
5W sta per le 5 domande che, nel giornalismo inglese, cominciano con la W: Where/When/Who/What/Why. Ogni reporter che si rispetti si pone questi cinque interrogativi quando conduce un’inchiesta, per poi raccontarla sulla carta stampata.
1H sta per “how”, l’unica domanda che non comincia per W, ma è fondamentale per inquadrare molti aspetti tecnologici e costruttivi dei muri, edifici ecc.

DAL GIORNALISMO ALLA RICERCA, DALLA RICERCA ALLA NARRAZIONE ORALE
Volendo calare questa formula generale nel campo dell’archeologia, ho associato a ogni domanda una fase della ricerca storico-archeologica. Le domande ci possono guidare sia nella fase analitica, di ricerca, sia nella fase interpretativa, in cui si tirano le somme. Sia, infine, al momento della trasposizione scritta oppure orale, attraverso articoli scientifici o narrazione orale.
WHERE? Dove sei stato costruito? L’analisi topografica
La contestualizzazione di un muro o un edificio nell’ambiente e nella topografia è la prima informazione che ricerco e riferisco quando mi trovo a studiare un edificio o a raccontarlo. I riferimenti all’ambiente naturale, alla geomorfologia (la forma del paesaggio), ha molto a che fare con le scelte compiute per la creazione, con la vita, e spesso con la morte di un edificio. Pensate alla piazza del foro romano, situata in una valle e alla sua stratificazione profonda 10 metri; pensate a Porta Capena, sparita sotto altrettanti metri di detriti (ve l’ho raccontata qui); pensate all’ara Pacis, già sepolta dai detriti nel II secolo e per questo delimitata da un recinto e poi completamente sommersa e dimenticata nelle fondazioni di Palazzo Fiano Almagià.
Precisare, dunque, subito DOVE si trova l’oggetto della vostra indagine o del vostro racconto aiuterà voi a trovare subito le informazioni necessarie ad impostare al meglio la ricerca, e chi vi ascolterà – nel caso lo stiate raccontando – a collocarlo nello spazio e in relazione all’ambiente nel quale si sta parlando. In entrambi i casi, rispondere a questa domanda vi aiuterà ad “immergervi” nel contesto.

WHEN? Quando sei stato costruito? L’analisi stratigrafica
La seconda domanda è forse la più affine al mestiere dell’archeologo. È una domanda alla quale si può rispondere in tanti modi. Ci si può fermare al dato grezzo: una data, un nome, un periodo storico generico. In alternativa, per mezzo dell’archeologia stratigrafica, si può andare più a fondo, fare l’anatomia dei muri e ricostruire nel dettaglio – per quanto possibile – il susseguirsi delle vicende di cui sono stati silenti protagonisti.
Dalle tracce lasciate dalle azioni umane o naturali si parte per un “viaggio” documentario alla ricerca delle persone e dei momenti in cui esse hanno vissuto e operato e quindi prodotto quei segni. Per ottenere tutto questo serve un archeologo esperto di stratigrafia degli elevati: chi meglio di lui può procedere alla ricostruzione storica attraverso l’analisi stratigrafica?
Ma che cosa significa “analisi stratigrafica”? Provo a spiegarlo con parole semplici a chi di voi ancora non ha avuto modo di impararlo. Immaginate un edificio stratificato, o un sito archeologico con strutture evidenti. Ecco che l’archeologo entra in scena, armato di taccuino, carta millimetrata e matita, metro scalimetro e macchina fotografica (e quando è fortunato anche una stazione totale) e comincia ad esaminare il muro, ogni muro dell’edificio che sta studiando.
Per prima cosa redige un ‘eidotipo‘, vale a dire uno schizzo misurato dell’edificio e in questo si aiuta con la carta millimetrata e lo scalimetro, se già non sa disegnare in scala ‘a occhio’. L’eidotipo non deve essere preciso al millimetro perché non è un rilievo; sarà semmai la base sulla quale annotare le osservazioni sulla lettura stratigrafica. Poi ci sarà anche il rilievo. Ma per esperienza, se prima non prendo confidenza con il muro e la sua storia materiale, quando andrò a rilevarlo perderò molti dettagli. Bisogna andare per gradi.
Sull’eidotipo si annotano le varie Unità Stratigrafiche (le tracce di azioni) che si possono distinguere sulla base delle interfacce, cioè le superfici di discontinuità tra una porzione del muro e un’altra. Potete distinguere diverse tecniche edilizie con differenti materiali, oppure delle parti tagliate per aprire una porta o una finestra, o ancora dei muri di tamponatura per chiudere precedenti aperture, e così via.
Al riconoscimento delle singole azioni, segue la distribuzione nel tempo, prima in una sequenza che chiamiamo “relativa” (prima questo/poi quello); in seguito, con l’aiuto delle fonti scritte, iconografiche e archivistiche proviamo a calarle nella cronologia “assoluta“, vale a dire nello scorrere della grande Storia.
Analisi autoptica. Eidotipo/rilievo. Individuazione delle Unità Stratigrafiche. Matrix (distribuzione nel tempo). Periodizzazione (distribuzione nella cronologia storica). Interpretazione. Racconto. In questo modo, potremo rispondere alla domanda QUANDO sei stato costruito, per ciascuna delle fasi che sapremo riconoscere sui muri dell’edificio. Questo momento della ricerca storico-archeologica è fondamentale, perché conduce “dentro” ai muri, agli spazi che delimitavano, ai cambiamenti di cui sono stati protagonisti e delle situazioni che hanno contribuito a creare nel corso del tempo.
Nella narrazione orale, questo momento è altrettanto importante e interessante. Non rinunciate alla complessità, perché è il sale della vita! Pensate al Colosseo: non è molto più realistica e coinvolgente una storia che vi dica quali parti leggibili sull’edificio ha fatto Vespasiano, quali Tito e e quali Domiziano, invece che ridurre tutto a “i Flavi”? Provare per credere.

HOW? Come sei fatto? L’analisi strutturale e tecnologica
Siamo ancora nelle mani dell’archeologo, talvolta anche dell’architetto, dell’ingegnere, del geologo. Ciascuno di questi professionisti offre una specifica competenza per rispondere alla domanda COME SEI FATTO. E l’archeologo, dalla sua, deve sapere cosa chiedere e a chi.
Per riuscire a trovare la risposta, servono competenze nel campo dell’archeologia dell’architettura: conoscenza dei diversi materiali da costruzione (origine, lavorazione, usi), tradizioni ed epoche costruttive, diffusione geografica dei fenomeni costruttivi… La relazione con il contesto (cioè il WHERE, vedi sopra) è fondamentale per capire un edificio. Vi faccio un esempio chiarificatore: i muri di II secolo della Villa dei Quintili sono in opera mista di leucitite e laterizi. La leucitite (erroneamente detta “selce”) è la roccia vulcanica sulla quale è costruita l’intera casa, frutto dell’attività eruttiva del Vulcano Laziale. Dunque se non analizziamo questa tecnica in rapporto al luogo in cui si trova (e infatti ce lo siamo già domandato), ne capiremo ben poco.
Se, dunque, cari aspiranti archeologi, ambite a raggiungere questo livello di conoscenza e lettura dei muri, armatevi di santa pazienza e studiate a fondo le pubblicazioni scientifiche e fatevi l‘occhio visitando edifici e contesti architettonici di persona in giro per l’Italia. E fossi in voi comincerei da Ostia antica perché credo sia il luogo costruttivamente meglio stratificato che abbiamo (una prima lista la trovate qui!)

WHO? Chi ti ha costruito ? L’analisi prosopografica
A questo punto la faccenda si complica.

WHAT & WHY? Che cosa sei e perché sei stati fatto? L’analisi tipologica e funzionale
Per finire, ecco le ultime due domande, che per meglio procedere dovrebbero, di regola, essere formulate e affrontate insieme. Il CHE COSA e il PERCHE’ in ambito storico e archeologico costituiscono la parte forse più intrigante della ricerca. Nel momento in cui abbiamo affilato gli strumenti per poter rispondere a queste due domande, siamo davvero a buon punto nella nostra indagine.
Rispondere alla domanda CHE COSA SEI? significa lavorare all’analisi tipologica. Un’attività tipicamente scientifica che implica l’astrazione di categorie teoriche, necessarie ad organizzare e sistematizzare la realtà materiale (dalla ceramica agli edifici) con la quale ci misuriamo. Classificare è un istinto ma anche una necessità. Serve a tenere sotto controllo i fenomeni. A questo proposito vi consiglio di leggere il libro di Enrico Giannichedda “Fulmini e Spazzatura” che tratta proprio di questo argomento (e che recensito qui).
Tornando alla tipologia, se state studiando un muro, un edificio, un complesso, la tipologia è quello strumento che vi aiuterà a collocarla lungo una linea evolutiva formale (ammesso che si possa sempre parlare di evoluzione) e temporale. Possiamo affermare che le conoscenze tecniche, tecnologiche tendono a progredire, anche se non sempre in modo lineare. Ma di sicuro nella cultura romana si può seguire molto bene questo processo. Il più delle volte si procede in avanti, aggiungendo, ingrandendo, espandendo; altre volte togliendo, riducendo, contraendo. Ogni epoca ha la sua sapienza tecnica, la sua tendenza culturale, le sue risorse. Il lavoro dell’archeologo sta appunto nell’apprenderle, riconoscerle, collocarle nel tempo e nello spazio.
Per ciò una tecnica fatta in un certo modo in un dato luogo vi rimanderà ad una tipologia, quindi a un preciso periodo della storia materiale di una civiltà. Una tipologia edilizia lo stesso. E se il vostro caso specifico non è ancora attestato dovrete inserirlo voi nella tipologia. Un esempio? L’opera mista di reticolato e laterizi, che va da Tiberio in avanti, ha il suo miglior momento nel II secolo e quella, tipologicamente, la dovrete trattare in modo specifico. Nel caso degli edifici, le terme di tipo imperiale. Traiano introduce il recinto e sarà usato regolarmente negli impianti dopo di lui. Una terma di tipo imperiale ha delle caratteristiche ricorrenti, ma anche molte specificità. Tuttavia si distingue per forma, dimensioni e tecnologia dalle terme di committenza privata.
Per quanto riguarda la domanda PERCHÉ? Il campo di indagine è quello dell’analisi funzionale. Naturalmente a uno specifico tipo edilizio corrisponderà una conseguente specifica funzione. Il tema è solo apparentemente semplice, perché non c’è nulla di più complesso dell’identificazione delle funzioni degli edifici. Specie nel mondo antico. Anche qui, il mio invito è a non fossilizzarvi su una singola funzione, perché a fronte di una funzione più ufficiale e nota, ce ne sono molte altre meno ufficiali ma che lasciano ugualmente tracce materiali.
Va bene, il frigidario nelle terme serviva per il bagno freddo, siamo d’accordo. Ma tutta quella miriade di stanze accessorie, che troviamo regolarmente prive di arredo e quindi incognite, a cosa servivano? Nel dettaglio, forse non lo sapremo mai. Altrimenti potremo fare riferimento alle fonti scritte, che magari citeranno le estetiste e le massaggiatrici all’interno degli impianti termali. L’unica è avere la fortuna di scavarle e trovare oggetti rivelatori in situ, come è accaduto alle terme del Nuotatore a Ostia.
UN ESEMPIO ICONICO: LA “COENATIO IOVIS” DELLA DOMUS AUREA
Se vogliamo concludere con un esempio iconico, vi cito la “Coenatio Iovis” della Domus Aurea. E qui già vi vedo, vi state scaldando. So che in molti aspettate di leggermi sul tema, per ora è un piccolo focus, poi arriveranno un articolo dedicato e anche un video. Dunque, proviamo a rispondere alle domande su questa specifica sala.
WHERE? Colle Oppio

WHEN? Bella domanda. Si dice dopo l’incendio del 64, ma ancora devo trovarla una pubblicazione scientifica che metta nero su bianco l’analisi stratigrafica degli elevati e la incroci, per fase, con i dati sui rivestimenti pittorici. Convenzionalmente si dice che l’ala ovest sia stata costruita prima della est, quindi la sala ottagonale è post 64.

HOW? Innalzando muri in opera cementizia con paramento in laterizi, provenienti molte diverse fornaci perché siamo di fronte al primo grande cantiere imperiale in mattoni della storia di Roma; la copertura è una arditissima volta composita, che nasce a otto lati e si conclude a semisfera: una soluzione mai provata prima di questo esempio.

WHO? Nerone. Non il pazzo sadico, ma l’innovatore, lo sperimentatore, l’esuberante. Il visionario. Le sperimentazioni architettoniche che troviamo nel padiglione del colle Oppio sono la vera rivoluzione di un uomo passato alla storia per essere (soprattutto) un folle misogino omicida. Capite quanto sia importante includere l’evidenza materiale nella ricerca storica? Fossimo stati a sentire solo Tacito o Suteonio ci saremmo persi tutto.
WHAT&WHY? Per cominciare, si parte dall’evidenza materiale. E dunque partiamo dalla sala a otto lati che si trova oggi all’interno del padiglione del Colle Oppio, che, precisiamo, è l’unico edificio residuo di tutta la Domus Aurea (che ricordiamo raggiungeva il Palatino, la Velia, il Celio, la valle e l’Esquilino). Le fonti letterarie ricordano che nella Domus Aurea (quale padiglione dei tanti?) c’era una sala rotante dal soffitto della quale cadevano petali profumati.
La sala a otto lati sul colle Oppio, per anni creduta QUELLA sala rotante, non ha in realtà nessun elemento per poter confermare l’ipotesi. È una struttura in muratura, salda, con una ampia porta verso l’esterno collegata visivamente con il ninfeo del Celio, all’esterno, e con la cascata artificiale retrostante, una copertura voltata che è un capolavoro dove le uniche tracce realmente indiziarie dell’uso antico sono la superficie non finita e dei forellini forse usati per applicare tendaggi preziosi (sì, io credo a questa lettura). Il resto sono tracce post antiche legate alle spoliazioni perchè intaccano la copertura e non avrebbero senso nel cantiere antico.

Altre sale? Certo, quell’enorme costruzione cilindrica dotata di scala interna trovata durante gli scavi francesi in Vigna Barberini. Un edificio (che ho avuto la fortuna di vedere con i miei occhi) che da alcuni è stato interpretato come QUELLA sala. Ma secondo molti altri non lo è, perché le evidenze sono, purtroppo, deboli, la posizione incongrua, l’architettura incoerente con quell’ipotesi. E quindi cosa era? Forse un dispositivo di servizio per raggiungere in poco tempo la quota del Palatino venendo dalla Valle.
Sapevate che c’è almeno la traccia di un’altra fondazione circolare come questa sul Palatino, rasata da Domiziano, che alcuni credono essere un tempio flavio, ma che potrebbe ben essere ancora neroniana? Per dire che la mole di questa fondazione era una cosa normale per Nerone.
Insomma questa Coenatio dove sta? Probabilmente non c’è più o deve ancora essere scoperta (la vedo dura). Forse giace sotto il palazzo flavio che ha azzerato completamente la fase neroniana. La realtà materiale al momento non offre molti spunti e non bisogna per forza assegnare questo nome a una sala che non ha le caratteristiche necessarie. Dunque la sala a otto lati sul colle Oppio cosa è e perché è stata fatta? È un maestoso salotto circondato da sale triclinari, votato ad accogliere ospiti o anche solo il padrone di casa, pensata per essere inondata di luce e impressionare con una fragorosa cascata d’acqua installata dentro a un ninfeo che imitava una grotta. E mi pare già moltissimo. Ma poi riflettiamo su un fatto: Nerone ha davvero avuto tempo di godersi il padiglione dell’Oppio, che nel 68 sembra non fosse neppure finito?
PER CONCLUDERE
Ora, questo è un esempio e riguarda una sala. Potremmo farne altri mille su edifici interi. Quel che mi preme sottolineare è che qualsiasi riflessione che nasca dal tentativo di rispondere a queste domande, dovrebbe valutare le rispose FASE PER FASE. Nessun muro e nessun edificio nasce e muore uguale. E quindi – qui l’archeologo fa la differenza – l’analisi materiale, fatta seguendo questi punti, non solo vi darà molte e puntuali risposte, ma vi guiderà nell’indagine, sapendo che il vostro obiettivo, in quanto storici, è quello di ricomporre la storia di quel contesto, nella diacronia, cioè nel corso del tempo. E di arrivare al fine a ritrovare le persone che prima di noi hanno vissuto tra quei muri e in quegli spazi.
Ecco, adesso tocca a voi. Provate a usare questa formula nella vostra pratica quotidiana, applicatela sul campo , nella ricerca come nelle narrazioni e fatemi sapere se funzion, se vi aiuta, se vi guida o se vi confonde. Per me è molto importante conoscere il vostro parere.
Lo so, sono concetti tecnici ma d’altra parte non ci si improvvisa archeologi stratigrafi, come non ci si improvvisa medici. E non ci si improvvisa narratori. Non allarmatevi, come diceva Piero Angela, tutto si può spiegare a tutti, basta usare parole semplici. Il mio obiettivo è farvi entrare un pò di più nella pratica dell’archeologia stratigrafica applicata agli elevati e nella trasposizione orale della ricerca, perché tutti avete occhi per guardare, orecchie per ascoltare e di domande, ne sono certa, ve ne verranno parecchie.
Mi rendo ben conto, però, che il tema è denso e complesso e non si esaurisce certo con un articolo. Per questo, sto lavorando su altri fronti: video per il mio Canale YouTube (intanto se volete curiosare sul mio canale cliccate qui), un articolo scientifico in uscita, che poi vi condividerò qui sul blog, e infine il pezzo forte: un libro. Ve lo avevo anticipato nelle storie di Instagram e lo ribadisco qui: compatibilmente con varie difficoltà, sto lavorando ad una prima pubblicazione che racconti i muri con il mio stile.
Ma tempo al tempo, sarete i primi a saperlo non appena sarà pronto e spero tanto vorrete leggerlo!
Nel frattempo, andiamo avanti per gradi, una tessera di reticolato alla volta, un tema alla volta. Oggi le domande da porci per affrontare un muro; prossimamente, gli strumenti da portare sul campo (e qui mi rivolgo in particolare agli studenti che spesso mi contattano), la pratica sul campo e tanto altro. Alla fine, spero, verrà su un magnifico muro, solido e condiviso.
Grazie, come sempre, per la vostra attenzione, per il vostro supporto cliccando sul tasto “mi piace” e grazie per la condivisione di questo articolo ai vostri contatti. Ogni nuova iscritto e nuovo iscritto che arriva qui è, per me, una nuova persona da conquistare.
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