“Roma della Repubblica”. La mostra ai Musei Capitolini: la mia recensione.

Non ci girerò intorno e andrò dritta al punto: pezzi strepitosi, mostra faticosa dedicata agli esperti.

Premessa. Ultimamente mi è stato suggerito di snellire l’analisi delle mostre, sintetizzando un pò la lista. E dal momento che il parere del mio pubblico è per me la vera linfa del mio lavoro, ho deciso di darci un taglio. Sulla condivisibilità di quel che dico, naturalmente non mi pronuncio. Andiamo ai punti.

IL TEMA: esplicito, almeno in teoria.

Procedendo tra le sale, si riesce a comprendere – benché con fatica – che il senso della frase “il racconto dell’archeologia” è legato al fatto che siano stati scelti ed esposti contesti (o pezzi) scoperti durante diverse sessioni di scavo (o per meglio dire sterro) tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’40 del Novecento nell’area urbana di Roma. Il periodo, quindi, è quello più buio dell’archeologia praticata nella capitale, nel quale ha prevalso la forza motrice dello sviluppo urbano rispetto alla lentezza riflessiva dello scavo stratigrafico, per cui, detto tra noi, i pezzi esposti in molti casi sono stati ‘ravanati’ nel terreno e localizzati con un generico riferimento topografico (e chi è del ramo se ne accorge). Per questo non sarebbe opportuno chiamarli contesti. Anzi, sarebbe stato bello spiegare ai visitatori la differenza tra ritrovamento e contesto. Ma qui forse sto sognando.

Mi aspettavo di trovare un racconto su Roma in età Repubblicana, secondo un’ottica globale e sulla base di contesti archeologici, dal momento che il sottotitolo della mostra recita “il racconto dell’archeologia”. Quel che ho trovato nelle sale dell’esposizione in effetti tratta di questo. Quel che non mi ha convinto è il metodo narrativo. Ma per quanto attiene al tema, posso dire che non solo è di estremo interesse – almeno per la mia ricerca personale – ma anche di particolare effetto per la scelta dei contesti esposti.

IL RACCONTO: faticoso eppure appassionante.

In questa mostra il visitatore giunge affaticato già all’ingresso. Posso dire di aver lavorato ai Capitolini per diversi anni nel servizio didattico e di conoscere molto bene gli spazi del Museo, eppure mi sono un pò smarrita, perché questa mostra è pubblicizzata e segnalata solo nel momento in cui si arriva all’ascensore per il secondo piano, quello dietro alla collezione Castellani, per capirci. La cosa mi è sembrata quantomeno curiosa.

Una volta risalita la china e guadagnato il secondo piano (solo a piedi) si è accolti da Cicerone e da un bel divieto, del tutto anacronistico: VIETATO FARE FOTO. Su questo passo oltre, ne parlerò dopo. Ma per me questo divieto rientra nella scelta della narrazione. Ho pensato che avrei trovato dei pannelli scaricabili, o una mappa da portare in giro per le sale per orientarmi e anche per conservare memoria della mia esperienza. Niente di tutto ciò.

Bene – mi dico – cari curatori, mi volete sfidare? Io sono pronta. Comincio la visita cercando di seguire gli stimoli evocati dalle sale. È sicuramente di grande impatto visivo la presentazione dei reperti, che in qualche modo riescono ad attirare l’attenzione e a costruire una certa narrazione per immagini. Una scelta interessante, che ha fatto sì che mi si imprimessero negli occhi. I reperti, tanti e spesso volutamente affastellati, hanno avuto il ruolo preminente e il giusto spazio. Peccato, però, che il racconto che li accompagna sia faticoso e non particolarmente coerente. Come se si percepisse che l’allestimento sia stato svolto da diversi uffici che non hanno dialogato tra loro.

Ai fini del racconto, il risultato è che le informazioni, trasmesse dai titoli delle sale, dai pannelli di sala e dalle didascalie, fossero poco omogenei rispetto al potenziale narrativo dei pezzi esposti. E se vedeste i miei appunti capireste che io stessa (che ormai un pò ci capisco) ho avuto difficoltà a raccapezzarmi nel senso del racconto. Dopo averlo rielaborato, provo a spiegarvi il filo della narrazione. Si intende raccontare Roma nei secoli della Repubblica, illustrando “temi e contesti” in grado di delineare le caratteristiche della società romana nel corso di “ben 5 secoli”. E per farlo si toccano le infrastrutture, la religiosità, la coroplastica e la ritrattistica.

Ogni sala che illustri un tema è introdotta da un grande titolo in caratteri più grandi, quindi facile da riconoscere. Ve li trascrivo sperando possano aiutarvi a girare per le sale sapendo cosa vi aspetta (e non perdere nemmeno un dettaglio!).

1. POZZI REPUBBLICANI/ Pozzi di Largo Magnanapoli; Sala del Boia (Tabularium); [a questo punto c’è una mappa con la localizzazione dei contesti citati in tutta la mostra, che purtroppo, non potendola fotografare, implica che ve la impariate a memoria]; Coperchio EGO SUM C ANTONIUS;

2. DEPOSITI VOTIVI/Minerva dono dedit; S.Maria della Vittoria; Via Magenta; Campo Verano; Mitreo del Circo Massimo; Velia; Campidoglio (piazza; sala della Protomoteca)

3. [architettura sacra, lo dico io perché non c’è un titolo]/Area Sacra di Largo Argentina; tempio di Giove Ottimo Massimo; via Latina;

4. NECROPOLI DELL’ESQUILINO

5. CAMPO VERANO

6. TOMBA ARIETI

7. MONETAZIONE

8. MANIFATTURA

Ecco, come potete leggere, se non siete di Roma mi dispiace per voi ma dovrete consultare Google ogni tre per due per scovare i luoghi citati. Nessuno è localizzato se non quelli relativi al Campidoglio nella famosa mappa che ho citato prima. Inoltre, la logica con cui sono titolate le sale prima è tematica poi topografica e di nuovo tematica. Insomma: un racconto faticoso e respingente e che non riesce, purtroppo, a far entrare nel vivo della spettacolarità e meraviglia dei pezzi esposti. Eppure, quelle terrecotte, quei vasi miniaturistici, quegli uteri, quei piedi, quelle H dipinte sul fondo delle ciotole ad invocare Ercole nell’area del Foro Boario… urlano la propria dignità e rapiranno i vostri occhi per esprimere le loro storie! Ci vuole solo un pò di pazienza.

Il catalogo: non pervenuto.

Il catalogo non esiste. E me ne rammarico. Avrei amato acquistarlo per poterlo sfogliare in futuro e ritornare con gli occhi a quei pezzi tanto magnifici quanto rari. Rari perché alcuni non sono davvero mai usciti dai depositi prima d’ora (a mia memoria). Eh già, siamo nell’era delle mostra fatte con le collezioni interne (e meno male!) però allora, per cortesia, mi fate fare le foto.

Per questo motivo il divieto di fotografare i pezzi mi ha decisamente indispettita. Sono tutti pezzi delle collezioni capitoline, alcuni per altro provenienti dal Museo della Centrale Montemartini dove sono fotografabili. A pensar male, non si possono fotografare perché sono inediti? Potevate fare il catalogo. Da visitatrice (per non parlare da archeologa professionista) mi ha urtato questo maltrattamento del visitatore. Inutile dire che le foto le ho fatte e sono pronta a manifestare il mio disappunto al movimento https://fotoliberebbcc.wordpress.com

L’ALLESTIMENTO: AZZECCATO

  • L’ambiente: i pezzi urlano da dietro alle vetrine!

Ho trovato vincenti le scelte espositive. I pezzi sono totalmente valorizzati, ben visibili, quasi ti chiamano da dietro le vetrine implorandoti di non perdere la pazienza e di fermarti ad osservarli da vicino. Sì, decisamente azzeccato. Ho ammirato i tentativi di esporre i reperti simulando la situazione di ritrovamento, ma anche la scelta garbata di ordinarli per tipologia per consentire al visitatore di guardarli e provare a comprenderne la funzione. A tal punto che gli straordinari pezzi trovati sull’Esquilino, nell’area di un non individuato santuario di Minerva, sono stati sistemati come in un casellario enorme con numeri identificativi ben evidenti: leggere le didascalie e capirne il senso è stato abbastanza facile. E vi segnalo il modellino in terracotta di una placenta (un ex voto lasciato alla dea), al numero 119. Non me lo scorderò mai più.

  • I pannelli: che fatica!

Sfortunatamente, i pannelli sono pochi, molto faticosi e un pò slegati dal resto dell’allestimento: per questo all’inizio vi dicevo che mi è parso che i diversi uffici non si siano parlati. I grandi temi espressi dai titoli delle sale non trovano riscontro nei pannelli narrativi, che sono pure a fondo nero con scritte bianche in corpo piccolo, senza titoli, senza particolare impaginato, e in generale faticosi da comprendere.

Io, come sapete, cerco di sdoppiarmi quando visito una mostra, mettendomi non solo nei miei panni di professionista della ricerca, ma anche in quelli di chi non conosce il tema, non conosce il contesto eppure ha il diritto di poterlo approfondire. Ecco, questa pannellistica, che non supporta il racconto in modo organico, fa comprendere, anzi, che non si sia usciti dai confini del linguaggio e dell’impostazione dotta per addetti ai lavori. Ne viene fuori, purtroppo, una comunicazione che sarà pure bilingue, ma che non ha una struttura che incentiva l’immersione nei temi trattati. Ti esclude, anche topograficamente, lasciandoti quel senso di amaro per non aver saputo comprendere appieno il messaggio.

Il terzo livello di comunicazione è offerto dai pannelli con le didascalie dei pezzi. Di fronte a vetrine piene di oggetti di classi tipologiche diverse, orientarsi nelle didascalie è stata dura. Ho notato che l’elenco dei pezzi non è per cronologia, cosa che nella mia testa, fissata con la “linea del tempo”, avrebbe fatto funzionare la spiegazione. L’elencazione è per tipologia/cronologia, quindi prima tutte le coppe, poi tutti i piatti, poi tutti gli altarini… in ordine di tempo. Se, da una parte, questo accontenterà gli studiosi, dall’altra temo che scoraggerà chi studioso di cultura materiale non è, e non sarà facile tradurre tali informazioni in una evoluzione culturale nel tempo. Peccato.

LE RELAZIONI: NON PERICOLOSE MA FORSE DANNOSE

Non voglio esagerare, ma da quel divieto iniziale a tutto lo sviluppo della mostra, la percezione che ho avuto è che il visitatore, e la comunità tutta, siano stati in parte danneggiati nel vivere questa esperienza culturale.

  • La strategia: solo per esperti

Mi domando quale sia stata la domanda culturale a monte di questa mostra. Ho provato a darmi una risposta, dichiarazioni sui pannelli a parte: illustrare l’archeologia di Roma in epoca repubblicana a partire dagli scavi urbani tra Ottocento e Novecento condotti dalla Commissione Archeologica poi Governatorato, poi Comune di Roma? Benissimo, molto interessante. Ripeto, i pezzi in mostra sono STREPITOSI e mi ha davvero emozionata vederli. Ho apprezzato anche i tentativi di contestualizzarli archittettonicamente, come nel caso delle decorazioni in terracotta dipinta dei tempi dell’area sacra di largo Argentina. Dalle proposte ricostruttive, generiche per le tre fasi di vita principali degli edifici, si deduce che lo sterro del 1926 sia stato a dir poco devastante e che i pezzi siano stati trovati alla rinfusa e con grande difficoltà si possono attribuire a questo o a quel tempio. Ma proprio per questo, l’idea di rappresentarli comunque l’ho trovata meritoria.

Tuttavia, una strategia vincente, a mio modesto parere, deve avere cura del più debole dei visitatori, intendo debole dal punto di vista della consapevolezza sui temi trattati. E in questo allestimento ho purtroppo avuto la sensazione di dover già sapere tutto della storia di Roma in età repubblicana per potermi non solo orientare ma anche divertire. E io ci ho potuto sguazzare, ma non posso dire lo stesso per chi era con me a visitarla.

  • L’engagement: ci pensano i reperti a parlare

Affidatevi ai reperti. Affidatevi al loro potere evocativo e comunicativo. Armatevi di telefonino o di uno stradario per localizzare i luoghi dei ritrovamenti, ma non staccate gli occhi dai reperti. Loro hanno una straordinaria capacità di attirare la vostra attenzione e di condurvi a leggere i pannelli e a carpire il profondo significato della loro esistenza. Per la gran parte sono oggetti di culti millenari, di manifestazioni di fede al divino più che alla scienza. E seppure a sprazzi, vi regaleranno un’immagine color terracotta dalle tinte accese di una società che ha dominato per lungo tempo il mondo allora conosciuto, pur preservando un’anima terragna, primordiale, semplice. Ma questo non lo dicono i pannelli, ve lo dico io.

  • La missione: loading—

GRADIMENTO: NONOSTANTE TUTTO CI TORNEREI ALTRE MILLE VOLTE.

E nonostante tutto, ci tornerei. La rivedrei. Quei pezzi, quei colori, quei reperti, quella vita rituale e religiosa di una Roma così poco conosciuta dal punto di vista materiale. Quelle dediche a Minerva affinché curasse ogni male, quelle ciotole in vernice nera invocanti Ercole, quelle radici del nostro passato di cui ancora siamo parte vivente e attiva, benché inconsapevole… Roma della Repubblica, mi hai stregata!

E voi, per Minerva, per Ercole, per Roma, per tutte quelle vite appese a quegli ex voto, per tutte quelle preghiere espresse agli dei, per tutto quello che abbiamo perso in questi sterri dissennati e per tutto quello che è giunto fino a noi affinché lo conoscessimo: andate a visitare la mostra! E spero che questa recensione possa aiutarvi a orientarvi al meglio e a godervi lo spettacolo!

INFO TECNICHE: la mostra, allestita a Villa Cafarelli (secondo piano) è in corso fino al 24.9.2023, il costo del biglietto è 16 euro comprensivo dell’ingresso ai Musei Capitolini, mentre è gratis per i possessori di MIC CARD.

Fatemi sapere nei commenti se la nuova lista snella vi piace di più e grazie della condivisione 🙂

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