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“Roma Medievale”. La mostra a Palazzo Braschi a Roma: la mia recensione

Ho visitato la mostra “Roma medievale” a Palazzo Braschi qualche giorno fa per un fuori programma, a un soffio dalla chiusura, invece poi è stata prorogata fino a metà aprile. Su Instagram, molte persone mi hanno scritto per chiedere il mio parere o per raccontarmi le loro impressioni sull’esperienza. Eccomi, dunque, a mettere giù le mie, per condividerle con voi.

Non amo fare critica fine a se stessa, mi sembra poco utile. Mi piace invece parlare di un tema, che sia di mia più stretta competenza, o che sia più distante dalla mia formazione, per poter mettere in risalto gli aspetti positivi, prima di tutto, e poi gli eventuali nodi critici. La speranza è sempre la stessa: creare consapevolezza, andare incontro a chi non ha dimestichezza con gli argomenti di cui io mi occupo, per favorire una migliore esperienza futura.

Vi dico, però, che comincio a nutrire anche un’altra speranza: che le osservazioni fatte alle mostre giungano a chi di fatto le allestisce, perché mi pare che manchi un tavolo di confronto tra fruitori e creatori di contenuti, non vi pare? Non sarebbe facile da realizzare in concreto, dirà qualcuno. Sarà, però con gli strumenti social oggi disponibili penso invece che si possa chiedere al pubblico cosa ha provato, cosa ha capito e cosa ha apprezzato o meno in una mostra. Come dico sempre, lo vogliamo portare davvero questo pubblico nei musei? E lo vogliamo fare solo per poi dire che abbiamo staccato miliardi di biglietti o perché crediamo davvero che il museo sia un luogo di crescita e benessere?

A tal proposito, proprio perché desidero esaminare scientificamente le mostre prima di poterne parlare a voi, ho elaborato una lista di 10 punti, che ho già messo in pratica con la mostra su Domiziano ai Musei Capitolini (trovate l’articolo qui https://muripertutti.wordpress.com/2023/01/24/la-mostra-domiziano-imperatore-amore-e-odio-la-mia-recensione/). Provo quindi ad applicarla anche alla mostra “Roma medievale” e questa volta voglio anche provare a dare un punteggio a ogni voce, da 1 a 5: vediamo se funziona lo stesso.

Ricordate: l’obiettivo non è demolire, ma costruire nuove strade verso la divulgazione scientifica di qualità che vada in direzione del pubblico!

Il tema: “Roma medievale il volto perduto della città”.

Più che il tema questo è il titolo della mostra, ma come ho già detto più volte, il tema si dovrebbe appunto evincere dal titolo, così che il visitatore possa farsi un’idea dell’argomento della mostra prima di comprare il biglietto. So che questo concetto può risultare ostico a chi invece desidera l’effetto sorpresa, ma forse il ricorso a soluzioni “sorprendenti” può essere riservato ad altre tematiche. Resta il fatto che, a mio avviso, il titolo risponde solo in parte al tema. Che la mostra tratti di Roma nel Medioevo, non si può negarlo, tuttavia il “volto perduto della città”…no, io non l’ho saputo ritrovare tra le sale. Una parte di delusione, quindi, mi è venuta proprio dal fatto che il percorso espositivo non mi ha mostrato questo volto perduto della città e, anzi, quanto mi sarebbe piaciuto conoscerlo! Voto: 3.

Una citazione dello storico Gregorovius dà il benvenuto alla mostra.

L’ambiente: soffuso (forse troppo), accogliente e stimolante.

All’ambiente voglio dare quasi il massimo. So che alcuni colleghi non hanno apprezzato l’illuminazione, a volte troppo soffusa, tanto da evocare davvero i “secoli bui”. A me è piaciuto l’insieme, non mi è sembrato poi così buio, inoltre ho apprezzato i canti che si udivano in sottofondo. Sembrava di stare in una cattedrale. Ripeto, non mi è dispiaciuto. Tanto poi, quando vai a fare la visita e trovi due grupponi con la guida che parla ad alta voce senza auricolari, l’effetto suggestivo svanisce in un lampo. E voglio anche dire che il color porpora che decora le sale e i pannelli mi è piaciuto assai. Voto: 4.

I pannelli: laconici, ipersemplificati e criptici.

Sui pannelli sarò sempre implacabile. Io credo siano il biglietto da vista di un’esposizione, o meglio ancora, del progetto scientifico che si intende comunicare. Se sbagli i pannelli, pregiudichi la missione comunicativa e didattica di una mostra, dunque li esamino sempre con grande attenzione.

I pannelli di questa mostra sono di tre tipi. I più grandi sono quelli che ospitano le citazioni di grandi storici e personaggi del medioevo, e sono scritti a carattere grande e ben leggibile. Ottimo. Di media grandezza sono quelli che introducono il tema della sala e sono scritti con carattere senza grazie, corpo ben leggibile. Scarsi gli accapo, credo per risparmiare spazio e inserire più testo… In ogni caso sono sempre piuttosto brevi. Il rapporto cromatico è ottimo, bianco su fondo porpora.

I pannelli più piccoli sono quelli che ospitano le didascalie dei pezzi. Ecco, questi sono proprio pannelli non pensati per il pubblico. Intanto la posizione: non sempre comoda e a portata di uno sguardo in posizione eretta. Ma perché volete obbligarci a piegarci per leggere le informazioni? Sono generalmente scanditi in tre sezioni: in alto c’è il nome/la descrizione del pezzo esposto (oggetto, veduta…), subito sotto c’è la traduzione in inglese, tutto in corpo leggibile. A seguire, sono date le informazioni cronologiche e i dati di contesto (luogo del ritrovamento, luogo di conservazione…) in un corpo più piccolo, poco leggibile. La gerarchia delle informazioni non mi va a genio. In pratica si sta dicendo al visitatore che quel che conta è sapere “come si chiama” il reperto. A conti fatti, però, in una mostra su Roma medievale dove il fuoco è tutto sui luoghi di culto cristiano, a un certo punto i nomi delle cose si eguagliano. Quindi cosa distingue i vari reperti? Forse sarebbe proprio il contesto, o almeno a me sarebbe piaciuto poter conoscere la storia dei pezzi da questo punto di vista. Io mi occupo delle metodologie della ricerca archeologia e della documentazione archeologica, quindi non sono specializzata in archeologia medievale, ma penso che non faccia differenza. So cosa voglio da una mostra e posso immaginare quanta curiosità hanno, come me, molte altre persone, e non riesco a comprendere per quale ragione chi allestisce le mostre faccia una scelta in partenza che porti a limitare la conoscenza del visitatore invece che a espanderla. Siamo sempre alle solite: non riesco a percepire una vera volontà di soddisfare, con fiducia e stima, la sete di approfondimento di buona parte del pubblico. Anzi, tutto il contrario: la frase che mi risuona nella testa è “ma tanto che ne sa il pubblico”.

A questo proposito, ho trovato davvero poco gentile non offrire spiegazioni di taluni termini specifici. MI è rimasto impresso il pannello che denomina l’AMBONE, rappresentato da un interessantissimo pezzo di marmo con epigrafe, purtroppo non tradotta né spiegata. Mi domando per quale ragione si dia per scontato che tutti sappiano cosa sia un ambone. Io senza vergogna confesso di aver consultato il vocabolario perché non me lo ricordavo. E quindi ho capito che se ho dovuto farlo io, penso a quanti altri avranno dovuto, sentendosi forse in difetto perché non lo sapevano. Credo che una mostra non debba sminuire il visitatore, semmai dovrebbe metterlo in condizione di vivere un’esperienza di scoperta e di contatto con qualcosa che ancora non conosce, senza però che si sottolinei il suo “deficit” (come si usa chiamarlo).

L’impressione che ho avuto dai pannelli, per concludere, è che si sia tagliato troppo il contenuto. I pannelli destinati a introdurre i temi delle varie sale sono scarni di informazioni, si tenta di dire in modo semplice qualcosa, ma il risultato è che si è “asciugato” troppo il succo, per cui non si comprende il senso del discorso. E in ogni caso non si riesce a seguire il filo del racconto sulla Roma medievale. Voto: 2.

La didascalia laconica che mi ha fatto più riflettere…

Le relazioni (visitatore/pezzi/pannelli/spazio): funzionano!

Peccato per i contenuti, perché le relazioni tra le varie componenti mi hanno entusiasmato. Nelle sale c’è spazio per muoversi agevolmente, i pezzi sono ben visibili e distanziati tra loro, ci si può agevolmente sentire parte integrante dello spazio espositivo. Mi è piaciuta l’architettura di grandi dimensioni che rievocava una facciata ad arcate, per introdurre il tema dell’arredo interno dei luoghi di culto. Lo spazio maestoso e accogliente del primo piano di Palazzo Braschi è stato usato molto, molto bene. L’unica pecca (ma posso intuirne il motivo) è che mancano delle postazioni per sedersi e riflettere. Lo so, si trasformerebbero immediatamente in dei punti di stazionamento. Ma mi domando perché, allora,non proviamo ad introdurre gli sgabelli pieghevoli mobili, presenti in tanti altri musei. Ripeto, posso intuire che non piacciano a chi gestisce i luoghi della cultura perché implicherebbero soste prolungatee affollamenti di persone (poi dopo la pandemia le regole di fruizione sono cambiate). Capisco tutto, ma non capisco una cosa: perché cultura deve far rima con fatica? Perché per non affaticarmi (dal momento che le mostre spesso sono particolarmente complesse) devo andare di corsa? Ci si augura che io ci ritorni? Posso arrivare a comprendere anche questo, ma coltivo la speranza che si possa elaborare una soluzione di compromesso in tal senso. Voto: 5.

Il racconto: Roma medievale o Roma cristiana?

Sul racconto, purtroppo, non ho buone parole da spendere. E mi dispiace perché è un vero peccato quando una mostra non riesce ad adempiere alla missione di comunicare al meglio il tema prescelto. A giudicare da quanto scritto nel pannello introduttivo alla mostra, si comincia in medias res, dal 1300 come anno simbolico per la storia del medioevo con vaghi accenni alla realtà urbana nel tempo. Inoltre, un video, fatto con un montaggio di mappe proposte ad una velocità tale da renderle illeggibili, tenta di trasmettere il senso della diffusione dell’abitato medievale in rapporto alla città contemporanea.

Per evitare che i miei commenti prendano il sopravvento sull’analisi, vi elenco di seguito i 15 punti nei quali si articola il racconto e poi li commenterò brevemente.

1. Pellegrini; 2. San Pietro; 3. S.Giovanni in Laterano; 4. S.Paolo fuori le mura; 5. S.maria Maggiore; 6. I Papi e Roma; 7. Montecassino; 8. Bonifacio VIII; 9. Il fiume e la città; 10. Lo spazio sacro; 11. Il Comune e le torri dei Barones; 12. Le icone mariane; 13. La decorazione di S. Croce in Gerusalemme; 14. La vita nella Roma medievale; 15. Un intreccio di culture.

Nel racconto ho sentito la mancanza di due strumenti, prima di tutto. Una linea del tempo, che illustrasse la scansione della storia di Roma nel medioevo, aggiornata al 2023. Sappiamo infatti che anche sulle cronologie ci sono almeno 50 anni di ricerche che hanno portato nuove conoscenze ai tradizionali limiti temporali che studiavamo a scuola. Il tempo raccontato in mostra assume il 1300 come anno simbolico (il primo giubileo indetto dalla ‘star’ della mostra, Bonifacio VIII), mentre i riferimenti al prima (quando comincia il medioevo?) e al dopo (quando finisce? E perché?) non si fa riferimento specifico. Come ho detto a proposito dei pannelli, i contenuti sono stati asciugati a tal punto da non dire molto, nemmeno le informazioni basilari. Il secondo strumento che avrei desiderato vedere è una mappa, di Roma nel medioevo ma forse anche dei principali luoghi e centri di interesse legati a Roma, così, per contestualizzare il tema. All’inizio della mostra c’è un video che intende illustrare la forma e lo sviluppo dell’abitato di Roma nel medioevo, ma è proiettato ad una velocità tale da essere incomprensibile. Una mitragliata di cartografie impossibili da capire. E non lo dico io, che un pò l’occhio ce l’ho e quelle carte le conoscevo tutte, ma i gruppi di signori in visita.

A dire il vero una mappa c’è, ed è anche fatta bene, perché colloca sulla pianta di Roma i luoghi di culto e gli edifici citati in mostra con l’obiettivo di portarla anche fuori da Palazzo Braschi. Bellissima idea, però la mappa si dovrebbe distribuire all’inizio del percorso, perché non c’è altro modo di situare nello spazio i contesti citati lungo il percorso.

La sequenza dei temi mi ha incuriosito perché non sono riuscita a capirne la logica. Sicuramente c’è, ma io non l’ho saputa cogliere. Mi è piaciuta l’idea di partire dalle persone, dai pellegrini, che sono in fondo il sale del medioevo, specialmente a Roma. Però mi pare che la loro presenza sia più legata a quanto si dice dopo, cioè la sfilata dei principali luoghi di culto cristiano a Roma. Luoghi che, per nostra cultura locale, conosciamo fin troppo bene, e che da soli, temo, non riescono a spiegare il volto perduto di Roma medievale. La lettura che si offre della città è parziale, perché prende il sopravvento l’orizzonte religioso culturale cristiano a scapito di tante altri aspetti, come la storia dei rioni, le lotte tra concittadini, la storia del Comune e le sue piazze, la manifattura, i mestieri, la toponomastica, insomma, manca il rapporto con il tessuto urbano di Roma medievale. D’accordo, non è poi così facile coglierlo nella città contemporanea (e questo viene precisato subito nel pannello introduttivo), ma non per questo non si può raccontare in una mostra, anzi, mi domando a cosa serva la ricerca storica, archeologica e storico-artistica se non per portare nei musei ciò che le indagini (nel sottosuolo o in biblioteca) tirano fuori.

Tornando ai temi, quindi, dopo le chiese e i papi, centri importanti vari (Montecassino) si passa agli spazi sacri e agli arredi. Questa sezione ha delle felici trovate espositive, come ad esempio la ricostruzione di una architettura, benché schematica, di una facciata dalla quale si accede ad un ‘interno’, nel quale compaiono una sfilza di decorazioni carolinge in pietra. Io so da me che sono pezzi particolarmente rari e quindi di grande effetto, però sono arrivata al punto 10 senza aver mai saputo nulla della rinascita carolingia e delle più importanti evidenze materiali dell’VIII-IX secolo a Roma, e dire che ce ne sono abbastanza. Quindi il potenziale didattico dei pezzi esposti si perde in un carosello di bei pezzi senz’anima. I pezzi in mostra sono, a mio avviso, molto interessanti. Alcuni colleghi li hanno trovati mediamente interessanti, ma forse proprio perché io non sono una medievista ne sono rimasta affascinata, anche come semplice visitatrice.

Grande assente, a detta anche di molti altri, è proprio il Comune. Con la straordinaria continuità di vita, strutturale e funzionale, che possiamo osservare ancora oggi sul Campidoglio, non si è ritenuto necessario trattare storicamente e archeologicamente la rivoluzione forse più grande della storia di Roma nel medioevo. Questo, davvero, mi ha sorpresa. La sala ospita poche fonti, soprattutto iconografiche, che fanno riferimento alle solite torri superstiti ancora visibili. Ma ce ne sono tante altre nascoste che si potevano citare. Mi ha lasciata stupefatta, in particolare, una veduta del Campidoglio, dove sono state fuse le due viste, della fronte dalla cordonata di Michelangelo e del retro verso il Foro. La didascalia riporta il titolo dell’opera “veduta di una parte del Campidoglio”, e va bene. Ma non era il caso di spiegarla? Forse nel catalogo si spiega il punto di vista, ma chi non lo ha ancora letto cosa può comprendere? Penserà che il Campidoglio sia fatto così, forse. Non so, mi è sembrato che il pubblico sia stato trascurato anche da queste carenze didascaliche del racconto.

Una veduta del Campidoglio interessantissima e curiosa per l’abbinamento di punti di vista.

Bellissima la storia della decorazione riscoperta della basilica di S.Croce in Gerusalemme, una tipica storia romana del primo Novecento. Rimaneva un pò slegata dal resto, ma in ogni caso è una bella pagina di storia del restauro e di storia dell’arte medievale. Di sicuro in questa mostra l’impatto visivo dell’arte iconografica dei secoli centrali del medioevo è forte, peccato che il visitatore sia poco guidato nel comprenderlo.

Verso la fine, una sezione tratta della vita nel Medioevo a Roma, il momento che aspettavo di più e… ho trovato un vago accenno al contesto di Crypta Balbi. Chi lo conosce sa che è stato importantissimo e rivoluzionario per gli studi sul tardoantico e sul medioevo a Roma. I medievisti sapranno a memoria tutti i volumi editi dopo gli scavi di Daniele Manacorda con tutta la cultura materiale analizzata. Ai visitatori della mostra si offre invece una sparuta vetrina con qualche oggettino che dovrebbe raccontare l’importanza della manifattura, e quindi del commercio, e quindi della vita a Roma nel medioevo. Dando per scontato che Crypta Balbi tutti sanno dove e cosa sia. Voto: 1.

La strategia: partire dai pezzi e poi costruirci intorno una storia?

L’impressione che ho avuto, a partire dalla sequenza dei temi, è che si sia partiti dai pezzi che era possibile esporre e attorno ad essi si è cercato di organizzare il racconto sul Medioevo a Roma. Voglio dirlo con forza, i pezzi li ho trovati talvolta eccezionali, anche se poco spiegati. E sono stata contenta di averli visti. Mi rimane però il dubbio che non ci sia stato un ragionamento didattico a monte, che puntasse a fare dell’aggiornamento scientifico sulle conoscenze disponibili oggi su Roma medievale la strategia. Voto: 2.

Engagement: un’occasione persa, anzi, più d’una.

Perché sono rare le raffigurazioni a mosaico di VIII secolo provenienti da S.Giovanni in Laterano, così come le vedute che mostrano le facciate delle basiliche più note prima dei restauri settecenteschi? Perché sono preziose le sculture del più antico presepe che abbiamo a Roma, fatto da Arnolfo di Cambio nel Duecento? E perché dovrei sapere cosa sia un AMBONE?

Ecco, sull’ambone della cappella di papa Giovanni VII ci ho ragionato parecchio. Un pezzo interessantissimo, con bellissime tracce dei perni di metallo per il fissaggio di qualcosa che dove stare sopra (ecco, con una ricostruzione grafica forse avrei capito meglio) e un’iscrizione che corre tutto intorno alla base, la quale recita qualcosa come il nome del papa, che si definisce servo di Maria madre di Dio. L’iscrizione non è trascritta né tradotta sui pannelli (immagino lo sarà sul catalogo). La stessa si trova su una lastra, proveniente dallo stesso contesto (la cappella perduta di papa Giovanni VII), ma presenta alcune piccole differenze. Mi ci sono divertita a cercarle e a cercare di capirne il senso. Da sola. Sarebbe stato bello un focus sulla lingua epigrafica medievale, che poi sappiamo che non è una sola, ma avete capito, intendo dire un approfondimento sulla paleografia e sulle abbreviazioni. Così, per sentirci più vicini a papa Giovanni VII e ai suoi concittadini.

Tutto ciò è per dire che il coinvolgimento del pubblico rispetto agli input offerti è, in potenza, altissimo, ma nei fatti, temo, poco. Persone presenti in sala manifestavano il loro smarrimento rispetto alla logica sottesa alla sequenza delle informazioni, segno che al pubblico non si è pensato di chiedere di interagire. Semmai di ammirare. Senza altre prospettive. Voto: 3.

Godimento: vorrei ma non posso.

Non posso dire che non ci sia stato. Come ho detto, i pezzi mi sono piaciuti e parecchio. Tutti. Nessuno escluso. Mi ha salvato la mia identità di archeologa, per cui li ho comunque saputi inquadrare, nel tempo e nello spazio, e li ho saputi comprendere e apprezzare. E mi hanno davvero rallegrato la giornata. Dalle monete quadrate nelle tasche dei pellegrini ai mosaici carolingi, alle pitture duecentesche. Tutto pazzesco. Tuttavia, l’insoddisfazione procurata dal sentire che intorno a me molte persone si sentivano smarrite è forte. Sarebbe potuta essere una mostra pazzesca, stimolante, ma non si è riusciti a far sprigionare il suo potenziale didattico. Voto: 3.

Catalogo: esiste!

Il catalogo c’è ed è corposo. Onestamente non l’ho sfogliato tutto ma ho adocchiato alcuni contributi molto validi, scritti anche da colleghe bravissime. Mi viene da pensare che il catalogo raccolga tutta le vera discussione scientifica relativa a questa mostra, mentre alle sale espositive sono state lasciate le informazioni basilari, con i risultati che ho cercato di descrivere sopra. In ogni caso il catalogo non dovrebbe sostituirsi alla pannellistica, perchè già nelle sale dovrebbe essere possibile vivere un percorso di scoperta e conoscenza sul tema trattato e apprendere le novità emerse dalla ricerca (altrimenti perché fare una mostra?). Il catalogo invece dovrebbe contenere i saggi scientifici di approfondimento e le schede dei pezzi con la bibliografia, ad uso degli esperti, ma anche dei curiosi. Non devono essere alternativi bensì complementari. Voto: 5.

Missione: quale Roma e quale Medioevo?

Resta viva in me una domanda: quale volto di Roma e quale concetto di Medioevo si desiderava comunicare con questa mostra? Su più fronti sono salite voci di delusione per un’occasione mancata. Io, con dispiacere, confesso di aver provato la stessa delusione. Voto: 2.

Per concludere

La lista è lunga, lo so, ma mi sembra il caso di usarla altrimenti la recensione suonerebbe caotica e non strutturata. In sintesi, e per concludere, ho amato i pezzi che ho visto, l’ambiente era suggestivo e gli spazi ben costruiti. Ma non ho trovato né Roma né il Medioevo a Roma, non ho trovato un racconto logico né coinvolgente, semmai pennellate di manifattura artistica qua e là ma senza contesto e senza intreccio storico. Il voto finale quindi è 27 su 50. Un gran peccato!

Nell’epoca dell’archeologia contestuale, degli scavi stratigrafici, del progresso dei metodi e degli strumenti scientifici di indagine, possibile che non si sia potuto pensare ad una narrazione storico-archeologica, antropologica e artistica del medioevo a Roma? Lascio aperta la domanda, fatemi sapere nei commenti se la recensione vi convince e quali impressioni avete avuto alla mostra, se l’avete visitata.

Noi ci ritroveremo qui presto con il prossimo articolo!


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4 pensieri su ““Roma Medievale”. La mostra a Palazzo Braschi a Roma: la mia recensione”

  1. Questa volta ho letto tutto di un fiato e ho capito le tue perplessità!
    Da studiosa del Medioevo, però, assecondare la credenza dei SECOLI BUI è assolutamente fuori luogo.
    È stato un periodo di grande LUCE e risveglio spirituale e materiale, dopo il vero buio. LE INVASIONI BARBARICHE.

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