“Domiziano imperatore. Amore e Odio”. La mostra a villa Caffarelli: la mia recensione.

I Flavi mi hanno sempre intrigata per la loro storia e per la loro particolare ascesa al potere in una città come Roma, dove, fino a due anni prima del loro ingresso in città, la dinastia giulio-claudia era stata per NOVANTACINQUE ANNI incontrastata protagonista. La Sabina è il paradiso nel quale ho scelto di trasferirmi e di invecchiare. La Sabina è la patria natale dei Flavi, per lo meno di Vespasiano e dei suoi avi, e anche per questo torno spesso col pensiero a quella famiglia di provinciali dall’aspetto massiccio e tarchiato, promotori della costruzione dell’edificio divenuto più famoso e iconico della città di Roma: l’anfiteatro flavio.

In questa mia nuova attività di ricerca per la divulgazione scientifica dell’archeologia, ho deciso di toccare tanti e diversi temi e fra questi ho incluso le mostre storico-archeologiche. Ammetto che il mio passato di archeologa impegnata nel servizio didattico nazionale a Roma mi ha portato, per oltre 10 anni, a studiare i cataloghi (quando editi) degli allestimenti temporanei proposti ora al Colosseo, ora alle Scuderie del Quirinale, ora nei Musei di archeologia, sia civici che statali. E a tal proposito, non ne dimenticherò mai due allestite nello stesso periodo: “Augusto” alle Scuderie (2013-2014) e “Costantino 313 d.C.” al Colosseo (2013). Due mostre che, per quanto talora criticate per lo stile e la strategia espositiva, hanno segnato profondamente la mia formazione di studiosa, portandomi a padroneggiare argomenti, come l’arte romana, che non avevo in precedenza approfondito assiduamente. Ma parafrasando un famoso detto, “semel ricercatore, semper ricercatore”, per cui una volta che sei arrivato al punto in cui studiare e creare temi di ricerca è la tua professione, non la abbandoni più, anzi, la metti a frutto in tutto ciò che fai, persino cucinare. 

Ho deciso, così, di visitare le mostre non solo per soddisfare la mia sete di conoscenza, ma anche con l’obiettivo di analizzarle e commentarle, da visitatrice (certo, informata dei fatti) e poi anche da divulgatrice, fissando alcuni punti attorno ai quali costruire una narrazione critica, che spero essere utile ai colleghi, ai curiosi, agli appassionati e a chi non ha modo di poterle visitare. Ad animarmi, infatti, è soprattutto il desiderio di condividere con voi le novità emergenti nel dibattito culturale archeologico

La ricerca, però, mi ha insegnato a separare sempre la fase analitica dalla fase interpretativa, come vi ho raccontato nel mio ultimo articolo (eccolo: https://muripertutti.wordpress.com/2023/01/14/che-cose-larcheologia/), perciò cercherò di darvi informazioni per quanto possibile strutturate e analitiche. Inutile chiamarle ‘oggettive’, perché naturalmente sono influenzate dal mio punto di vista. Ad esse, però, cercherò di associare una lettura critica, se non altro per accompagnarvi nel processo di comprensione degli elementi che ho valutato positivamente o negativamente. Credo che una mostra vada sempre vista con i propri occhi per potersene fare una opinione circostanziata, perché quel che passa per i canali dell’emotività è molto personale nel suo manifestarsi. Tuttavia, ci sono alcuni punti fermi che è necessario osservare e rispettare affinché si verifichi una soddisfacente ed efficace narrazione, che sia essa storica, artistica, tematica, o di altro tipo. 

Ecco, quindi, il mio modo di procedere. Ho individuato 10 punti di interesse attraverso i quali cercherò di raccontarvi la mostra. Il mio obiettivo non è suggerirvi o meno di andare a vederla, perché ripeto: ogni mostra va vista con i proprio occhi. Voglio però condividere con voi alcuni temi di riflessione, che potreste eventualmente portare con voi a questa o alle prossime mostre che visiterete. Si tratta, come vedrete, di 10 aspetti traversali, esportabili ad altre mostre. O almeno, io così l’ho concepiti, mi direte voi se ho ragione. 

1.Il tema

Il tema della mostra si dovrebbe evincere dal titolo: ‘Domiziano. Odio e amore’. Se ci si riferisce ad un pubblico di esperti, si potrebbe pure intuire, ma non sono tanto sicura che chi non ha mai sentito parlare di Domiziano, in termini storiografici, possa davvero cogliere il senso di questa contrapposizione, tra odio e amore, rispetto alla figura imperiale. Leggiamo allora cosa dice il volantino: “la mostra, dedicata alla complessa e controversa figura di Domiziano, l’ultimo dei Flavi, e alla politica edilizia e propagandistica da questi condotta nella Roma della fine del I secolo, sarà ospitata nel nuovo e prestigioso spazio espositivo dei Musei Capitolini – Villa Caffarelli, in un luogo caro all’imperatore che restaurò con magnificenza il tempio di Giove Capitolino, sulle cui fondamenta è stata costruita la Villa“. Il messaggio promozionale prosegue così: “la mostra, coprodotta con il Rijksmuseum vanno Oudheden di Leiden (Olanda), dove è stata allestita dal 17 dicembre 2021 al 21 maggio 2022 con il titolo God on Earth. Emperor Domitian, presenta a Roma un percorso comprendente quasi 100 opere. Ritratti dell’imperatore Vespasiano, del fratello Tito delle due Auguste Domizia Longina e Flavia Giulia […] provenienti da importanti musei europei e italiani e dalle raccolte capitoline, contribuiscono a rappresentare, tra luci e ombre, questo importante imperatore di Roma”. 

Ho evidenziato in grassetto le frasi che più mi hanno fatto meditare e mi hanno dato indizi per comprendere il contesto della mostra nelle possibili intenzioni dei curatori. Intanto il titolo originale, “God on Earth”, mi sembra molto più azzeccato di quello italiano, perché rimanda senza ambiguità al ruolo che le fonti antiche attribuiscono all’autocrate Domiziano. Penso, in particolare, a Suetonio (Vite dei Cesari), che aveva quasi trent’anni quando l’ultimo dei flavi muore e ne scrive di cotte e di crude. D’altronde è soprattutto dalle fonti letterarie antiche che conosciamo la biografia degli imperatori, mentre il resto delle fonti materiali (edifici, epigrafi, statue…) sono frutto della propaganda, il più delle volte, e poi ci restituiscono più forme e immagini che non racconti; e quanto è stato poi detto e scritto nei secoli seguenti, non può essere considerato una fonte primaria. Il ‘problema’ di Domiziano è che aveva dimostrato di avere delle velleità autocratiche per cui aveva coniato per se stesso la formula “dominus ac deus”. Questa circostanza, raccontata appunto da voci a lui avverse, come per ogni imperatore giudicato pazzo o poco filosenatorio, avrebbe creato un clima di sospetto e scontento, alimentando congiure di palazzo, fino all’ultima, quella fatale che l’avrebbe tolto di mezzo nel 96 d.C.

Il numero delle opere in mostra (quasi 100) e la loro provenienza, nell’ordine, europea, italiana e locale, a me suonano come le classiche frasi animate da un certo spirito culturalmente provinciale, per cui se un’opera o una qualsiasi cosa sia “europea”, o comunque non di casa, abbia un valore intrinseco maggiore. Ma perché ? A me, in tutta onestà, cambia ben poco se un’opera, o un oggetto, venga da Roma o dal British Museum. Per me è importante se si sia riusciti a contestualizzarlo, a inserirlo all’interno di un processo ricostruttivo e filologico, se quell’oggetto è considerato una fonte informativa e non solo una bella cosa da guardare. Insomma, la “preziosità” di un’opera, la sua”bellezza”, vanno assolutamente esplicitate, questo è il compito dei curatori di una mostra. Altrimenti il risultato ottenuto non sarà molto lontano dal suscitare una reazione di frustrazione nel visitatore, che non capirà perché quell’oggetto o quell’opera siano cosi “BELLI”. 

Per finire, la localizzazione della mostra. La cornice sembra prestigiosa, e lo è, ed è anche nuova, per questo, quindi, la mostra è stata sistemata a villa Caffarelli. Si è voluta creare una relazione tra la villa, il Campidoglio e le opere di urbanistiche di Domiziano, ma a me sarebbe piaciuto conoscere allora qualche dettaglio in più sulla storia del contesto espositivo, oltre al mero dato topografico. Anzi, sembra quasi che vi sia una relazione tra Domiziano e la villa, cosa, ovviamente, impossibile, per questioni cronologiche. Insomma un pò meno salti mortali verbali e un pò più concretezza tematica. 

2.L’ambiente

L’ambiente per me è l’anima del luogo, è l’atmosfera, è quel misto di sorpresa e aspettativa che amo trovare in una mostra, anche la più piccola. Devo dire che ho adorato il colore scelto per la mostra su Domiziano: una tonalità di blu molto simile al famoso blu Klein (creato dall’artista francese Yves Klein). L’illuminazione l’ho trovata gradevole, non soverchiante e in generale gli ambienti offrivano abbastanza spazio, per quanto il percorso sia un pò tortuoso. Sarà che amo il blu, ma ho trovato la scelta cromatica vincente

3.I pannelli: stile, leggibilità, capacità di comunicazione

Questo forse potrebbe essere un sottopunto dell’ambiente (2), perché la pannellistica ha un forte impatto, a mio avviso, sul tipo di luogo che si costruisce per il visitatore. Perché qui diamo per scontato che il primo pensiero dei curatori di una mostra sia IL VISITATORE, possibilmente quello meno addentro alle questioni trattate. Vero?

I pannelli della mostra su Domiziano mi hanno lasciata un pò perplessa. Intanto lo stile: carattere bianco senza grazie (ottimo per la leggibilità), ma in un corpo davvero troppo piccolo per la lettura comoda e a distanza. Oltre a questo, mi ha un pò spiazzato la banalità di certe affermazioni, come quelle che ho letto sul primo pannello sotto alla teca con i ritratti infantili e la scena di parto da Pompei: dicevano qualcosa come “alcuni bambini nascevano e vivevano, come Domiziano, altri morivano”. Ci sono rimasta di stucco. Forse si voleva andare incontro al visitatore, semplificando? Le persone con cui ho visitato la mostra, non dell’ambiente umanistico, hanno espresso una certa perplessità di fronte alla didascalia. Tra l’altro delle teste, accomunate dal fatto di rappresentare bambini e di essere di epoca Domiziana, non si diceva altro. E a ben vedere, una di esse presentava ancora la classica pettinatura giulio-claudia con la frangetta lavorata, il che mi ha fatto pensare che forse ci sarebbe voluta una spiegazione in più, e, perché no, cogliere l’opportunità per fare proprio una narrazione sul ritratto di epoca flavia, di cui si hanno esempi interessanti ma di cui forse si parla poco. 

Procedendo con l’esposizione, i pannelli presentano tutti la stessa caratteristica. Sono brevi (il che non è male) e sempre scritti in corpo troppo piccolo per poter essere attrattivi e quindi invogliare la lettura. E, in generale, tutti mi sono sembrati affetti da carenza narrativa, non ho colto una volontà di passare un messaggio al lettore/visitatore. In sintesi, se le cose le sai già, meglio per te. Da questo punto di vista, penso che il pannello più reticente sia quello relativo alla statua di “Efebo del tipo Westamcott“, situato nella breve sezione relativa alla villa a Castel Gandolfo, definita l’Albanum Domitiani. Qui, mi sono sentita abbandonata a me stessa. Intanto, a rappresentare questa importante residenza imperiale c’è in sostanza un pannello, che con testo fitto fitto spiega a parole (quindi senza immagini) il sito e la sua importanza. Forse sarebbe stata d’aiuto una foto, un qualcosa che aiutasse il visitatore a collocarla nello spazio. E poi, dal punto di vista dell’evidenza materiale, un frammento architettonico (non spiegato) e una scultura, appunto il sopra citato Efebo. Nel pannello esplicativo si dice in due righe che è un giovane atleta che forse si incorona e che si tratta di una copia in marmo di un modello policleteo della metà del V secolo a.C. E poi si dice che è del tipo WESTMACOTT. Ma che cosa vuol dire? Chi è? Dov’è Westmacott?! Perché si presuppone che io lo sappia? E soprattutto: perché si dà per scontato che se non lo so, io debba lasciare insoddisfatta la mia curiosità?

E invece non sarebbe stato più bello condividere con noi la meraviglia insita in questo pezzo di marmo, spiegandocene le caratteristiche e le forme? Magari anche con un’immagine del confronto citato? A me, sarebbe tanto piaciuto. 

4.Le relazioni: pezzi/tema, pezzi/pannelli, pezzi/spazio

Forse anche questo punto potrebbe essere un sottopunto dell’ambiente (2). Per ora, trattiamolo a parte, per le prossime mostre, vedremo. Nella mostra su Domiziano, le relazioni tra le parti (pezzi, pannelli e spazio) mi è sembrata, nonostante tutto, equilibrata. Le pareti divisorie tra le parti lasciavano intravedere le sezioni successive, facendo trapelare luce e colori e questo mi è parso gradevole e stimolante. Il “rumore” della mostra non era fastidioso, dal momento che l’unica postazione multimediale, poco dopo l’inizio del percorso, aveva un volume tollerabile e non soverchiante. 

Per quanto riguarda il rapporto tra il tema e i pezzi, ecco: forse questo non ha funzionato. Avrete capito dal commento al punto 1 che il tema, tanto promettente a parole, non è stato rappresentato al meglio dalla scelta dei pezzi e dalla narrazione generale. Il rapporto tra il tema e i pezzi, quindi, non mi ha soddisfatta, perché non si è compiuta, ai miei occhi, quella rivalutazione promessa nelle intenzioni. Ai vostri?

5.Il racconto

Il racconto si svolge secondo un criterio a me poco chiaro. Di base, sembra cronologico, quindi biografico, cominciando da Domiziano bambino e giungendo alla sua dannazione e alle menzioni dell’imperatore nei secoli successivi. Tuttavia, non è così rigido. Non ci sono neppure vere e proprie sezioni tematiche, ma di fatto è una sequenza di temi, o di spunti, a susseguirsi nelle sale.

Ora farò una sintesi, che non è affatto esaustiva di tutte le sezioni, ma mi serve per darvi le coordinate. Si parte con la Roma di Domiziano e Domiziano urbanista, illustrata da una piantina di Roma, muta. Delle belle didascalie interne avrebbero sicuramente solleticato la curiosità e stimolato la comprensione dei luoghi, facendo sentire il visitatore a proprio agio. Segue un focus sull’edilizia e sugli edifici da lui pensati, costruiti e “ceduti” alla memoria dei successori, come il Foro di Nerva o lo smantellamento della sella tra Campidoglio e Quirinale per la costruzione del più tardo Foro di Traiano; oppure edifici cancellati, come la “terrazza Domizianea”, legata, appunto al successivo impianto del foro traianeo. Qui, un grande plastico dei Fori imperiali, con una luce puntata sul foro transitorio (o di Nerva), localizza l’edificio costruito da Domiziano. L’avrò notato solo io, ma mi è dispiaciuto vedere che le architetture del Foro di Cesare non sono aggiornate. Forse saprete che al tempo degli scavi condotti da Alessandro Delfino per la Soprintendenza Capitolina (2005-2008) io curavo la documentazione grafica e le ricostruzioni e dalla ricerca fatta sul campo è venuto fuori un preciso modello architettonico, con una piazza porticata a due ordini, che in tutto il mondo è stata apprezzata e condivisa. Il plastico rappresenta il foro di Cesare con i portici ad un ordine, cosa che per altro stona con le altezze di tutti i fori contigui di epoca successiva, ad ulteriore conferma della bontà della nostra ipotesi. Peccato che non si sia stata recepita. Sappiate, però, che esistono le nostre ricostruzioni documentate analiticamente e discusse, in questo libro: https://www.arborsapientiae.com/libro/17180/forum-iulium-l-area-del-foro-di-cesare-alla-luce-delle-campagne-di-scavo-2005-2008-le-fasi-arcaica-repubblicana-e-cesariano-augustea-alessandro-delfino-bar-s2607-2014.html

Dopo il plastico, un video illustra la storia del paesaggio urbano alle pendici del Quirinale nell’area oggi occupata dai Fori imperiali, dalla preistoria ad oggi. Si illustra in modo chiaro il prospetto della “terrazza domizianea”, ossia una monumentale parete di mattoni allestita da Domiziano alle spalle del foro di Augusto, un tempo rivestita di marmo e ‘bagnata’ da giochi d’acqua. Segue una parte dedicata agli edifici sul Campidoglio, rappresentati da un unico oggetto (un oscillum di marmo, cioè un disco pensato per oscillare al vento) e rappresentazioni novecentesche del tempio di Giove capitolino, da lui restaurato, come ricorda Suetonio. 

Sempre attraverso frammenti architettonici e un ritratto, si illustra la vita sul Palatino, nel palazzo imperiale. Il ritratto è bellissimo. Va bene, non vuol dire nulla. Provo a spiegarmi. È un ritratto dettagliato, caratterizzato, che mostra Domiziano con uno sguardo beffardo a tratti crudele, segnato dalla caratteristica triplice ruga frontale e dall’attaccatura ‘a M’ dei capelli ricci. Il ritratto viene dal British Museum, il che fa effetto, certo. Mi sarebbe piaciuto saperne di più.

Nella stessa sezione, alcuni frammenti architettonici dal palazzo imperiale sul Palatino, rispetto ai quali si impara una chicca: sembra che la firma dell’architetto dei flavi, Rabirius, sia rappresentata da un doppio cerchietto, simile a un 8, inserito tra i dentelli della modanatura. Ecco, questa mi è piaciuta. Un’informazione ben recapitata, nel rapporto pezzo/informazione. Ma da qui a dare l’idea di Domiziano urbanista, costruttore del palazzo imperiale… beh, ce ne passa. Tre frammenti, decontestualizzati, senza l’ausilio di una ricostruzione grafica di riferimento, o di una foto del Palatino o di qualsiasi altra informazione visuale, non possono mettere il visitatore nelle condizioni di comprendere. Così, immagino, nella sua mente tutto si ridurrà a una sequenza di frammenti che rimandano a un intero, del quale, però non si dà conto. 

Voglio rievocare qui uno dei principi del grande Freeman Tilden autore del mitico Interpreting our Heritage (vi ho consigliato il suo libro qualche settimana fa su Instagram, e ne riparlerò sia qui che sul canale YouTube): partire dal frammento, per raggiungere l’intero. Io penso, e dico da anni, che in quanto italici siamo nati in un paesaggio frammentario, perciò siamo abbastanza abituati a concepire la stratificazione e il senso di intero cui rimandano i frammenti. Serve però l’aiuto di qualcuno più esperto per ricostruire nella nostra mente quell’intero, che è il frutto della ricerca specialistica. E questo vale per gli italici e forse anche per chi è nato in paesaggi simili. E chi non lo è? Come può entrare nel merito delle tematiche presentate nella mostra, senza avere avuto dai curatori gli strumenti necessari? E dire che il volantino promozionale è bilingue, segno di un impegno verso la comunicazione destinata al turismo internazionale. Ma è davvero così? A me, non è sembrato. 

Proseguendo, dopo una testa colossale di Tito, si passa ai monumenti flavi, come l’anfiteatro (rappresentato da un plastico), lo stadio in Campo marzio (sempre illustrato dal plastico abitualmente presente nel monumento) e il famoso e favoloso rilievo dalla tomba degli Haterii. Questo pezzo ci stava tutto e se ne comprende bene il senso. Gli Haterii fecero fortuna, in quanto imprenditori edilizi, nei cantieri di epoca flavia, e ci tengono a rappresentarli sulla facciata della loro tomba sulla via Labicana. Così, ci hanno lasciato una testimonianza iconografica degli edifici in cui hanno messo le mani, dei quali abbiamo una rappresentazione dell’epoca: per citarne uno, l’anfiteatro. Pazzesco!

L’anfiteatro flavio così come è scolpito sul rilievo dalla tomba degli Haterii, ricchi costruttori di età flavia impegnati nei più importanti cantieri promossi dalla famiglia imperiale.

Segue una interessante sezione fatta di teste, cioè statue ritratto femminili, ispirate a quanto pare alle due donne della famiglia flavia: Domizia Longina, moglie di Domiziano, e Giulia, figlia di Tito. Negli anni 80-90 del I secolo andava di moda una particolare acconciatura a nido d’ape, che a quanto diceva Giovenale doveva regalare parecchi centimetri in altezza, se una persona, non sembrava la stessa vista da davanti e da dietro. Era una acconciatura montata sopra a un’impalcatura, che regalavo l’effetto di un ventaglio di ricci attorno alla fronte, mentre il resto della chioma era lavorato a trecce sottili legate in uno chignon. Questo è il classico indicatore indiscusso dell’umanità che non cambia mai, un trend la cui eco si diffuse senza limiti presso tutti gli strati sociali, in un processo di imitazione del potere che ancora oggi conosciamo bene.

Ritratto femminile con la tipica acconciatura di epoca flavia ‘a nido d’ape’.
Ideale per guadagnare centimetri in altezza!

Ed è un indicatore anche cronologico, dal punto di vista archeologico. Anche qui, forse, si sarebbe potuto affascinare il pubblico con un più accurato racconto delle tecniche di coiffage, oppure (voglio esagerare) si sarebbe potuta produrre una parrucca da far indossare ai visitatori per una foto ricordo davanti a uno specchio. Se vogliamo parlare di cose “estere”, in ogni museo londinese c’è qualcosa di simile, anche perché, come sappiamo, i musei sono dei bambini, e poi degli adulti. Tra i ritratti femminili c’era poi la così detta “Dama Fonseca”, tanto famosa quanto muta, purtroppo.

Per finire, tre altri temi. Gli intimi di Domiziano, persone a lui vicine, come i liberti, rappresentati da oggetti di cultura materiale, ad esempio un’anfora bollata. Domiziano signore delle infrastrutture, rappresentato dal calco di una epigrafe funeraria da Cagliari. Domiziano dannato ma solo dai suoi contemporanei, raccontato da un pannello finale che menziona i luoghi della letteratura, dal medioevo in poi, in cui Domiziano è citato. Ciò per voler supportare il tema iniziale di una solo premuna dannazione, nel senso che i posteri poi hanno continuato a parlarne (anche se sempre male, diciamolo). Non so, a me questa chiusura mi ha particolarmente delusa. Per tutto il percorso espositivo ho aspettato di trovare gli elementi illuminanti sulla questione della riabilitazione della figura imperiale, ma non li ho trovati. E se tale rilettura, promessa ai visitatori, si riduce al pannello conclusivo con la menzione di Domiziano in Dante e Pirandello: beh, mi sembra un pò poco. I contemporanei di Domiziano ne hanno voluto reprimere la memoria, senza alcun dubbio, ed è altrettanto fisiologico che la sua memoria sia andata oltre il suo tempo.

6.La strategia

Quanto ho espresso finora penso chiarisca quale strategia sia stata messa in campo in questa mostra, se così possiamo chiamarla. Lo ripeto, il potenziale tematico era enorme e non partivo prevenuta. Non lo faccio mai. Ma la strategia a me sembra essere quella della forzata sequenza di spot informativi, che non approfondiscono e non appassionano, rimarcando la distanza tra il pubblico e i personaggi del mondo antico.

Lo sviluppo per sezioni tematiche funziona e anche la disposizione dei pezzi, non troppi, non troppo ammassati, gentilmente presenti, ma ci sarebbe voluta una vera narrazione, coinvolgente, capace di “provocare”, per citare Tilden.

7.L’engagement

Ne consegue che il coinvolgimento del pubblico è scarso. Va bene, io non sono tutto il pubblico, ma ce ne ho accompagnato alla mostra, persone di età, formazione e interessi diversi e in tutti ho notato lo stesso sguardo un po’ perso. La mia presenza di mediatore delle informazioni avrà aiutato ad andare incontro alla mostra, cercando di intrecciare le varie parti, ma penso a coloro che non possono avere un esperto che li accompagni. Peccato, davvero, perché Domiziano è un personaggio molto intrigante.

8.Il godimento

Il godimento, nel mio modo di intenderlo, è quella sensazione di piacere intenso, che provo quando una mostra mi acchiappa al primo istante in cui ci metto piede e mi percuote, mi attraversa, mi mette in difficoltà, mi regala conoscenza, colma le mie lacune, mi chiede di partecipare attivamente.

Volete sapere quale è una delle mostre più belle che io ricordi di aver visto? Quella su Darwin a Palazzo delle Esposizioni. Una cosa fenomenale. Interattiva, chiara, coinvolgente, biografica, scientifica, ingaggiante. Favolosa. Memorabile. Perché non proviamo ad ispirarci all’Europa e ad altri settori del sapere per fare le nostre mostre di archeologia? Se proprio dobbiamo evocare l’Europa ogni volta che riteniamo necessario dare un tono ai nostri prodotti, perché non andiamo a guardare cosa fanno, in Europa? Non sarebbe male svecchiare un po’ certi schemi mentali, limitati e obsoleti. E non parlo di tecnologia, per me non è uno schermo a farti capire meglio le cose. Ma di sicuro è il lavoro di costruzione del filo narrativo, della distribuzione delle informazioni, del percorso emotivo e conoscitivo che si intende proporre al pubblico e in relazione a quello, compiere la scelta dei pezzi. Non il contrario, come mia pare sia accaduto anche in questo caso.

9.Il catalogo

Non riesco a ricordare l’ultima mostra di archeologia che abbia prodotto un catalogo degno di questo nome. In passato, quando si allestiva una mostra si stava ad aspettarla come un oracolo, perché avrebbe portato con sé un catalogo, stampato rigorosamente in anticipo, ricco di approfondimenti scientifici e saggi, schede e sintesi. La vera novità della ricerca su un dato tema, che avrebbe accompagnato e nutrito la visita e lo studio specialistico negli anni a venire.

Ecco, se devo citarne uno, mi viene in mente il catalogo della mostra Costantino 313 d.C. allestita al Colosseo nel 2013, mostra che però era partita da Milano e a Milano le mostre le sanno fare. In quel catalogo furono scritte cose nuove, furono messe nero su bianco. Comprai entrambi i cataloghi, quello edito a Milano e quello poi riadattato all’allestimento romano. E grazie a quello fui pure intervistata in un documentario sull’imperatore, che ancora circola su TV2000…

Sono parecchi anni che non mi capita fra le mani un catalogo di mostre di archeologia fatte a Roma che abbiamo un senso acquistare. E ho notato con un certo orrore che da ultimo per catalogo si intende la stampa rimpiccolita dei pannelli della mostra. Quello non può essere considerato un catalogo, dai. Non può.

10.La missione

Forse mi sarò ripetuta trattando questi 10 punti, ma voglio concludere con un tema che riprende il primo: la missione. Quale è stata la missione di questa mostra? Quale intento scientifico, didattico e formativo intendeva perseguire? Ci si pone questa domanda nel momento in cui si progetta una mostra? Io sono certa di sì, ma non mi sfugge quando tale missione non viene compiuta. A forza di studiare e di raccontare al pubblico, si impara a costruire narrazione.

Mi auguro, quindi, che si voglia ancora tornare a parlare di Domiziano in termini storico-archeologici, urbanistici, artistici, letterari e anche post antichi. E spero davvero che si metta al centro dei pensieri progettuali il primo vero destinatario di tutto questo: il pubblico dei visitatori, locali, nazionali, internazionali, bambini, adolescenti e adulti. Tutti.

Spero di non avervi annoiato, né indisposto con le mie osservazioni. Ma credetemi: non dobbiamo accettare senza reagire tutto quello che ci viene proposto. E sarebbe anche ora che i Musei ci chiedessero cosa pensiamo di quel che ci offrono. D’altronde paghiamo e abbiamo tutto l’interesse a finanziare, con i nostri contributi e le nostre tasse, un buon uso delle risorse nella cultura. Ma che sia cultura, che sia scienza, che sia ricerca e non cose messe lì, tanto il pubblico che ne sa.

Il pubblico sa. Il pubblico sente. Il pubblico fa audience. E prima o poi lo si ascolterà.

Vi aspetto al prossimo articolo!

++PDF SCARICABILE++

Qui sotto vi lascio la mia lista dei 10 punti per affrontare una mostra da visitatore consapevole. Scaricatela, stampatela e portatela con voi alla prossima mostra!

Commenti

Una replica a ““Domiziano imperatore. Amore e Odio”. La mostra a villa Caffarelli: la mia recensione.”

  1. Avatar Mostra “Roma Medievale” a Palazzo Braschi a Roma: la mia recensione – Muri per tutti

    […] già messo in pratica con la mostra su Domiziano ai Musei Capitolini (trovate l’articolo qui https://muripertutti.wordpress.com/2023/01/24/la-mostra-domiziano-imperatore-amore-e-odio-la-mia-rec…). Provo quindi ad applicarla anche alla mostra “Roma medievale” e questa volta voglio […]

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